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ISPI - Istituto per gli Studi di Politica Internazionale

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Il mondo in tasca

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Gli ultimi messaggi 2

2023-06-29 19:36:29
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2023-06-29 19:36:24 CONSIGLIO EUROPEO: STESSA STORIA, STESSO POSTO, STESSO MES

MES: Meglio Estendere lo Stallo?
Aiuti all’Ucraina, migrazioni e Meccanismo Europeo di Stabilità (MES). Questi i temi principali sul tavolo a Bruxelles, dove si è aperto oggi il Consiglio Europeo. Non tutti e tre, però, prioritari per chiunque. Il primo è un punto cardine per l’intera UE, mentre il secondo è particolarmente caro all’Italia. Il terzo, infine, è una questione spinosa che malvolentieri Roma si trova a dover affrontare. Di nuovo.
Che il MES sia per l’Italia motivo di discussione non è una novità. Ieri, il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha ribadito con determinazione l’orientamento dell’esecutivo durante i suoi interventi parlamentari: “Discutere adesso questo provvedimento non è nell’interesse dell’Italia”, ha spiegato la premier. Probabile dunque che il MES torni in Parlamento non prima di qualche mese. Ma quali decisioni sono in ballo?

Roma nun fa’ la stupida...
Il MES è un organismo istituito nel 2012 che riunisce i 20 Paesi dell’area euro. La sua funzione è semplice: fornire assistenza ai Paesi in difficoltà finanziaria, subordinandola però al rispetto di condizioni legate, tra le altre cose, al controllo del debito pubblico. A fronte di un capitale versato (dagli Stati membri) di 80 miliardi di euro, il MES può fornire prestiti fino a 500 miliardi. Per fare un paragone, i salvataggi di tutti i Paesi Ue dal 2011 a oggi sono costati 550 miliardi (di cui 300 per la Grecia).
Il pomo della discordia tra Roma e Bruxelles è una riforma del MES di cui si discute dal 2017. L’Italia resta infatti l’unico membro a non averla ratificata. Rischiando così di far saltare il banco, visto che l’approvazione richiede l’unanimità. Come si spiega questa esitazione, che rischia di costare cara e che è già ora causa di screzi? Forse l’astio italiano non riguarda il contenuto della riforma, che non ha grandi ripercussioni sulle capacità europee di sorveglianza.

Tranelli d’Italia
Piuttosto, l’impressione è che il rifiuto abbia motivi politici. Un po’ come nel 2020, quando l’Italia rifiutò 36 miliardi di fondi a tassi vantaggiosi dal MES. In quell’occasione, prevalse la volontà di difendere l’indipendenza nazionale, anche se il prestito avrebbe consentito un risparmio di oltre 4 miliardi.
La mancata ratifica della riforma sarebbe coerente con le posizioni assunte dai partiti di maggioranza quando erano all’opposizione, ma isolerebbe l’Italia dagli stati membri. Oltretutto, Roma è già sotto la lente di Bruxelles per l’elevato debito pubblico (oltre 2.800 miliardi) e rischierebbe di esporsi ad attacchi speculativi. Non a caso, il ministro dell’economia Giorgetti si è espresso in favore della ratifica. Per ora, Meloni prende tempo. Ma prima o poi...

Nei prossimi cinque anni le temperature globali potrebbero raggiungere picchi mai visti, superando anche la temuta soglia di 1,5 °C. Riuscirà la diplomazia internazionale a stringere gli accordi necessari per evitare la catastrofe climatica? Ne parliamo oggi alle 18:30 nel secondo incontro del nostro Ispi Summer Festival. Registrati qui: https://www.ispionline.it/it/evento/summer-festival-5-incontri-sui-nuovi-trend-globali-cambiamenti-climatici
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2023-06-28 18:57:15
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2023-06-28 18:57:08 BATTERIE CARICHE E PRONTI AL VIA 

L’India accende le batterie 
Il governo indiano sta discutendo il lancio di un sussidio per far crescere nel paese l’industria delle batterie. Il programma di incentivi sul tavolo del premier Narendra Modi prevede uno stanziamento di circa 2,6 miliardi di dollari da qui al 2030 per tutte le aziende che apriranno in India impianti manifatturieri che producano celle per batterie. 
Questa misura potrebbe offrire un grosso aiuto ai piani indiani di transizione energetica e climatica. Modi ha infatti posto come obiettivo la soglia dei 500 gigawatt di energia elettrica da fonti rinnovabili entro la fine del decennio. Per garantire un flusso costante, però, una rete che voglia appoggiarsi a rinnovabili come eolico e solare ha bisogno di molta capacità di stoccaggio. Ed è qui che entrano in gioco le batterie. 

La dinamo cinese 
La corsa alle batterie sta prendendo slancio un po’ ovunque, ma l’osservato speciale non può che essere la Cina. Le aziende del gigante asiatico che hanno investito in progetti di stoccaggio di energia sono più che raddoppiate negli ultimi 3 anni, arrivando a sfiorare quota 109mila secondo alcuni dei dati disponibili. 
Pechino sta puntando molto sul settore. I fondi stanziati dal governo per sostenere la transizione energetica fanno decisamente gola alle aziende cinesi: per raggiungere i propri obiettivi entro il 2030, la Cina avrà bisogno di almeno 410 gigawatt di batterie da collegare alla rete elettrica (circa 70 volte la capacità disponibile nel 2021) e la determinazione di Pechino nel sostenere l’industria ha convinto molte società cinesi a scommettere sul settore.  

L’Asia verso la decarbonizzazione 
La transizione energetica è una questione di necessità per l’Asia. Ad oggi, l’aumento dei consumi di elettricità dell’India è tra i più alti al mondo, con ricadute ambientali disastrose. Circa tre quarti dell’energia prodotta nel paese provengono dal carbone, che tra i combustibili fossili è il più inquinante. Percentuali simili riguardano anche la Cina. 
Ma la transizione è anche un affare economico. Secondo uno studio realizzato da Deloitte, la decarbonizzazione dell’economia potrebbe generare fino a 47mila miliardi di dollari nei prossimi cinquant’anni, creando circa 180 milioni di nuovi posti di lavoro. A beneficiare maggiormente di questa opportunità dovrebbero essere proprio Cina e India, ma la corsa è appena cominciata e le batterie sono appena state messe in carica.  

Quali conseguenze avrà la rivolta del leader del gruppo Wagner Yevgeny Prigozhin sulla Russia e sulla leadership di Putin? Ne parliamo oggi alle 18:00 nella nostra tavola rotonda settimanale: https://www.ispionline.it/it/evento/rivolta-wagner-cosa-cambia-in-russia-ora
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2023-06-27 19:26:03
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2023-06-27 19:25:57 MATERIE PRIME IN EUROPA: ACCORDI CRITICI

Un passo avanti...
Per una volta sono tutti d’accordo. I ministri dell’economia e dell’industria di Germania, Francia e Italia si sono incontrati ieri a Berlino per discutere su come rafforzare la capacità europea di garantirsi l’approvvigionamento di materie prime “critiche”, ovvero quelle indispensabili alla transizione energetica e digitale.
Sulla scia del Critical Raw Material Act, proposto dalla Commissione europea a marzo, i ministri e alcuni leader industriali si sono impegnati a definire progetti strategici comuni e a costituire le prime scorte strategiche europee.
Cosa c’è dietro quello che il ministro dell’economia tedesco, Robert Habeck, ha definito un “importante primo passo”?

… o indietro?
Per decenni, l’Ue è stata l’alfiere della globalizzazione e del libero commercio come canali di pace e prosperità. Ora, però, l’invasione russa ha rimescolato le carte. Vero, le forniture da Mosca (il 40% dei consumi europei, prima dell’invasione) hanno permesso di tenere basso il prezzo del gas naturale in Europa per oltre un decennio. Ma nel 2022 è stata proprio quell’interdipendenza a permettere al Cremlino di mettere l’Europa spalle al muro, tagliando fino al 75% delle forniture di gas e al contempo triplicando gli incassi dalle vendite del gas residuo.
È dunque normale che i Paesi europei spostino lo sguardo verso la Cina. Già, perché su alcuni mercati di materie prime critiche essenziali per la transizione, Pechino esercita un quasi monopolio: il 95% delle terre rare consumate dall’UE viene dalla Cina. E anche se il litio arriva in Europa da Australia e Cile, Pechino ne controlla il 70% dell’offerta mondiale.

Il “motore” d’Europa è tornato?
La proposta di marzo della Commissione europea per ridurre la dipendenza dall’estero pone degli obiettivi sulle materie prime critiche: estrarne in UE il 10% dei consumi, e lavorarne il 40%. La Commissione non ha esposto il cartellino del prezzo, evitando di stimare i costi di questa maggiore autonomia.
Così ieri Italia, Francia e Germania si sono impegnati a investire 2,5 miliardi di euro. Cifre non esattamente entusiasmanti: basterebbero a coprire i consumi europei del solo litio per meno di due anni. Ma si tratta, appunto, di un primo passo.
E poi, dopo le molte tensioni tra i tre “grandi” d’Europa (sui migranti tra Francia e Italia, su nucleare e industria della difesa tra Francia e Germania), potrebbe essere il momento giusto per spingere sul pulsante del “reset”.

Quali conseguenze avrà la rivolta del leader del gruppo Wagner Yevgeny Prigozhin sulla Russia e sulla leadership di Putin? Ne parliamo domani alle 18.00 nella nostra tavola rotonda settimanale: https://www.ispionline.it/it/evento/rivolta-wagner-cosa-cambia-in-russia-ora
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2023-06-26 19:33:10
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2023-06-26 19:33:03 LA GRECIA SEMPRE PIÙ A DESTRA  

Lascia e raddoppia 
40,6% dei voti e 158 seggi su 300. Ieri il Primo Ministro greco, Kyriakos Mitsotakis, si è aggiudicato la maggioranza assoluta alle elezioni seconde elezioni legislative nel giro di un mese. Il suo partito, Nuova Democrazia (ND) riconferma il centro-destra alla guida del paese
Era stato lo stesso Mitsotakis a sciogliere il Parlamento malgrado la vittoria (ma non assoluta) di maggio, per approfittare dell’entrata in vigore della nuova legge elettorale (che “regala” 50 seggi al primo partito). Non ha aiutato, anche stavolta, la frammentazione dell’opposizione di sinistra, guidata da Syriza, che si è fermata al 18%, perdendo ben 23 seggi, e i socialisti di PASOK, al 12%. A sorprendere è stato però l’exploit dell’estrema destra con Spartani, Soluzione Greca e Niki complessivamente oltre il 12%.  

È l’economia, bellezza? 
Insomma, gli eventi che hanno toccato la Grecia negli ultimi mesi, tra cui il tragico naufragio di una imbarcazione di migranti al largo di Pylos lo scorso 13 giugno, non hanno intaccato la performance di Mitsotakis: in un voto che conferma gli equilibri del primo turno, i greci hanno scelto la stabilità, con l’economia come priorità. Non è un caso che Mitsotakis abbia promesso di far riguadagnare ad Atene lo status di Paese investment grade nel 2023, dopo 12 anni durante i quali il suo debito è stato classificato “spazzatura”
I risultati delle elezioni danno al governo di Atene un mandato “forte” e, ha detto Mitsotakis, “ND è il partito di centrodestra più forte in Europa”. Il premier greco ha annunciato una riforma della pubblica amministrazione e interventi sulla giustizia, sanità e istruzione. Ma se le premesse sono buone, Mitsotakis dovrà dimostrare di saper gestire il mix di forze nel suo parlamento, dai partiti di sinistra in difficoltà, a quelli in crescita alla sua destra.  

Destre europee in marcia 
La vittoria della destra in Grecia si inserisce in un più ampio spostamento a destra del baricentro dell’Unione europea. Lo si è visto nelle elezioni nazionali in Svezia e Finlandia, e in quelle amministrative in Spagna, che potrebbero preannunciare i risultati delle imminenti elezioni legislative di luglio. Poche sorprese attendono le parlamentari polacche di fine anno, mentre in Germania l’estrema destra di AfD vola al 18%. 
Anche la premier Meloni, alla guida di un’Italia solidamente a destra dall’anno scorso, è sempre più attiva in Europa. Solo la settimana scorsa ha incontrato Macron, forse cercando una sponda “moderata” per le elezioni europee del 2024, che si avvicinano rapidamente. Il voto di questo weekend rafforza il vento che porta l’Europa a destra. Continuerà a soffiare da qui a giugno 2024?   

L’Intelligenza artificiale cambierà il mondo? E che impatto avrà sulla geopolitica? Scoprilo nel secondo incontro del nostro Summer Festival, in diretta oggi dalle 18.30. Collegati qui per seguire la tavola rotonda: https://www.ispionline.it/it/evento/summer-festival-intelligenza-artificiale  

La rivolta di Prigozhin ha il potere di una rivelazione devastante: su Putin, sull’esercito russo e su un paese in cui lo Stato è ridotto a scontro tra fazioni. Ne parliamo nell’ISPI Daily Focus di oggi: https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/russia-cosa-resta-della-rivolta-wagner-133638
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2023-06-23 19:43:39
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2023-06-23 19:43:34 Turchia: è la fine di Erdoğanomics?

Inversione a U
Da 8,5 a 15 punti percentuali. È del 6,5% l’aumento dei tassi di interesse deciso ieri dalla Banca centrale turca. Ankara inverte di colpo la rotta segnata dalla “Erdoğanomics”. La poco ortodossa dottrina di Erdoğan, che ha mantenuto i tassi d’interesse bassi per combattere l’inflazione galoppante e stimolare la crescita economica, in contrasto con le teorie economiche tradizionali e in controtendenza rispetto alle decisioni prese dalle maggiori banche centrali dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, non ha pagato. L'inflazione ha toccato il picco dell’85,5% nell’ottobre scorso, mentre da inizio anno la lira turca si è svalutata di oltre il 30% rispetto al dollaro. Con la mossa di ieri, la Banca di Ankara opta per un più rassicurante percorso di deflazione sostenibile. Ma con un innalzamento dei tassi più timido del previsto, la strada non è ancora del tutto tracciata.

L’economia prima di tutto
La svolta in politica monetaria non arriva in un momento casuale. Poco meno di un mese fa, Erdoğan è stato rieletto per il terzo mandato (il secondo da quando è entrato in vigore il sistema presidenziale nel 2018) con il 52% delle preferenze. Dati elettorali alla mano, ha mantenuto un supporto abbastanza trasversale nel paese, ma l’economia rimane la prima fonte di malcontento per i turchi. E l’Erdoğanomics è il principale imputato. La crescita annua del Pil è precipitata a 2,7% nel 2023 dopo il picco post-pandemico. Il tasso di disoccupazione è in crescita e tocca l’11%, gli investitori esteri latitano e le casse dello stato sono in difficoltà. Solo nel 2023 sono stati spesi più di 26 miliardi di dollari per sostenere la propria moneta, drenando le riserve di valuta estera. Mentre il terremoto a febbraio ha ulteriormente aggravato la situazione.

Nomine cuscinetto
Con la sfida economica, la presidenza Erdoğan riparte in quarta. Lo ha mostrato con le nomine di due figure investor-friendly: il nuovo ministro della Finanze, Mehmet Şimşek (che aveva già ricoperto il ruolo nel segno dell’ortodossia economica tra il 2015 e il 2018) e la neo governatrice della Banca centrale, Hafize Gaye Erkan. Più che un cambio di rotta, potrebbe essere una scelta strategica per rassicurare gli investitori, assorbendo il peso di politiche monetarie e fiscali impopolari. Ma se questo nuovo corso sarà affidabile, sarà solo il tempo a dirlo. “Il cambiamento sarà graduale” avvertono e rassicurano Erkan e Şimşek, ma i mercati non sono del tutto convinti: è davvero la fine di Erdoğanomics?

La Sierra Leone va al voto pensando alla crisi economica. Ma a contendersi la presidenza sono gli stessi nomi del 2018: Maada Bio e Samura Kamara. Ne parliamo nell’ISPI Daily Focus di oggi: https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/sierra-leone-al-voto-ma-la-sfida-e-leconomia-133440
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