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ISPI - Istituto per gli Studi di Politica Internazionale

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Il mondo in tasca

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Gli ultimi messaggi 4

2023-06-05 19:18:29
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2023-06-05 19:18:21 PETROLIO: DIAMOCI UN TAGLIO 

Provaci ancora, OPEC 
Un milione di barili al giorno in meno, a partire da luglio, per almeno un mese. È il taglio alla produzione di petrolio annunciato ieri dall’Arabia Saudita, a seguito di un incontro tra i Paesi membri dell’OPEC+, l’organizzazione che riunisce i principali esportatori di greggio. Lo scopo della mossa è chiaro: contrastare la discesa del prezzo del petrolio e riportarlo a livelli vantaggiosi, per Riyadh e per gli altri Paesi che fanno parte del cartello. 
Si tratta della terza "azione di mercato” dell’OPEC+ in otto mesi. Già ad aprile scorso e a ottobre 2022, l’organizzazione aveva annunciato tagli sostanziali alla produzione di petrolio. Senza però riuscire a evitare che il suo prezzo si riducesse di quasi il 25% negli ultimi otto mesi. Che sia questa la volta buona? 

Economia in riserva 
Effettivamente, stamattina i prezzi del petrolio si sono alzati: +1% per il Brent, lo standard globale, che sfiora i $77 al barile, e +1,2% per lo statunitense WTI, che si avvicina ai $73. Non una sorpresa, considerando l’importanza dell’OPEC+ (i cui membri producono più del 40% del greggio globale) e in particolare dell’Arabia Saudita (che al momento, con 10 milioni di barili al giorno, copre circa il 10% della produzione mondiale). 
Eppure, una nuova graduale diminuzione, come nei mesi scorsi, sarebbe possibile. Gli Stati Uniti alle prese con una stretta al credito che ha già portato a fallimenti bancari, la Cina che cresce a rilento, l’Europa che stenta a riprendersi dalla crisi energetica... In un’economia mondiale malandata, tagliare la produzione di petrolio sembra non bastare per sollevarne il prezzo. 

Un taglio... a doppio taglio 
Il taglio annunciato da Riyadh potrebbe quindi avere conseguenze contrastanti. Se l’aumento del prezzo potrebbe in effetti aumentare i ricavi sauditi, di contro rischia di causare una generale contrazione dell’economia globale e, così, far nuovamente crollare il prezzo, con effetti dannosi per tutti. Ma, forse, l’economia è solo parte dell’equazione. 
L'impressione, infatti, è che ci sia un valore politico in questo annuncio. Che, non a caso, arriva due giorni prima della visita in Arabia Saudita di Antony Blinken, Segretario di Stato USA. Tra l’amministrazione Biden e il governo di Bin Salman i rapporti non sono certo idilliaci – complice anche il recente avvicinamento tra Riyadh e Pechino, mediatore dello storico accordo con Teheran. E il taglio annunciato ieri potrebbe rivelarsi un duro colpo alla già instabile economia statunitense. Nuove tensioni in vista? 

Ieri mezzo milione di polacchi sono scesi in piazza contro il carovita e per la democrazia. L’opposizione punta alle legislative di ottobre per una svolta. Ne parliamo nell’ISPI Daily Focus di oggi: https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/polonia-opposizione-in-marcia-130728
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2023-06-01 19:51:15
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2023-06-01 19:51:07 STATI UNITI: LA CAMERA SCOPERCHIA IL TETTO (SUL DEBITO) 

L’accordo bipartisan 
Anche questa volta gli Stati Uniti dovrebbero evitare il default. per un pelo, visto che il tetto sul debito sarà toccato entro pochi giorni. L’accordo raggiunto da Joe Biden e dallo speaker repubblicano Kevin McCarthy, che sospende il limite massimo all’indebitamento fino a inizio 2025, è stato votato alla Camera dei Rappresentanti: 314 a favore (65 democratici e 149 repubblicani), 117 contrari. 
La parola ora passa al Senato, che nei prossimi giorni dovrebbe approvare la misura. Il tempo stringe. Secondo le stime, il 5 giugno il governo federale avrà esaurito i soldi: se entro allora la norma non sarà pronta per la firma di Biden, Washington non avrà più denaro a disposizione per pagare gli stipendi e i servizi pubblici. 
 
Storia di un debito annunciato 
Ma quanto sono in rosso gli Stati Uniti? Oggi il debito del governo federale ammonta a circa 31,4mila miliardi di dollari. Una cifra enorme ed esplosa dopo la pandemia, che, secondo il Fondo Monetario Internazionale, ha ormai sorpassato il PIL: oggi il rapporto tra i due è di circa 115%. 
Sospendendone il tetto, per gli Stati Uniti si prospetta una nuova stagione di aumento del debito. Secondo il Congressional Budget Office, entro il 2032 potrebbe aumentare fino 40,2mila miliardi, seppur rimanendo sul 110% del PIL. Ma alcune proiezioni pessimistiche arrivano a stimare un debito di ben 50,3 mila miliardi entro lo stesso anno. 
  
Una vittoria di chi?  
McCarthy, che guida la maggioranza repubblicana alla Camera, ha presentato l’accordo come un “piccolo passo che ci mette sulla giusta strada”. Come contropartita, i repubblicani sono riusciti a ottenere alcuni tagli e limiti alla spesa pubblica (tranne che per il budget militare). Misure care al partito, ma probabilmente non abbastanza coraggiose per l’ala più radicale, che infatti si è rifiutata di sostenere la proposta. 
Ironia della sorte, nonostante la maggioranza repubblicana nella Camera, i votanti a favore erano in gran parte democratici. McCarthy è riuscito così ad assemblare un gruppocentrista per sconfiggere i compagni di partito alla sua destra (71 repubblicani hanno votato contro). Ma in vista delle primarie, si continua a dibattere ardentemente l’accordo, con Donald Trump che ha dichiarato che piuttosto avrebbe lasciato andare il paese in default. Mentre il resto del mondo, preoccupato, non può che restare a guardare. 

La guerra in Ucraina rilancia la ‘voglia di Occidente’: oggi i leader della Comunità politica europea si sono così riuniti in Moldavia. Ne parliamo nell’ISPI Daily Focus di oggi: https://www.ispionline.it/en/publication/summit-di-chisinau-leuropa-tra-sicurezza-e-allargamento-130351
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2023-05-31 19:06:22
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2023-05-31 19:06:17 SUDAFRICA: NELL’OCCHIO DEL CICLONE DIPLOMATICO

Tra contesa e (buona) speranza
È un anno intenso per il Sudafrica, che detiene la presidenza a rotazione dai BRICS, il foro che accomuna Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica. A Cape Town inizierà domani il meeting dei ministeri degli affari esteri dei BRICS, dove tra le altre cose si discuterà dell’allargamento ad altri paesi. Ad agosto, poi, è programmato il Summit dei capi di Stato – tra cui, in teoria, il presidente russo Vladimir Putin.
Un appuntamento che ha messo il Sudafrica in una posizione scomoda: a marzo, la Corte Penale Internazionale ha emanato un mandato di arresto contro il presidente russo, con accuse di crimini contro l’umanità nel contesto della guerra in Ucraina.

To arrest or not to arrest
Pretoria si è trovata quindi in un dilemma diplomatico: attenersi al diritto internazionale o rischiare di sacrificare i propri legami con Mosca. Ieri, infine, il governo ha dichiarato che garantirà l’immunità diplomatica per i funzionari internazionali che parteciperanno al Summit. Anche se è stata presentata come una procedura standard per questo tipo di incontri, l’opposizione ha già presentato ricorso.
Il dibattito interno riflette la complicata posizione internazionale del Sudafrica: mantenendo una posizione di “non allineamento attivo” riguardo alla guerra in Ucraina, Pretoria ha rifiutato di condannare il Cremlino e nel corso dei mesi si è mostrata sempre più in linea con Mosca. A metà maggio, ad esempio, gli Stati Uniti hanno accusato il Sudafrica di fornire armi a Mosca.

Pressione straordinaria
Nel frattempo, continua il tour africano del ministro degli esteri Sergey Lavrov. Significativamente il viaggio, il terzo dall’inizio dell’anno, ha luogo pochi giorni dopo quello del suo corrispettivo ucraino Dmytro Kuleba (Etiopia, Marocco e Ruanda), a dimostrare il bisogno di entrambe le parti di rafforzare i legami con partner africani. Lavrov si è recato in Kenya, Burundi e Mozambico, ultima tappa verso l’appuntamento di domani a Città del Capo.
Insomma, tutti gli occhi sono puntati sul Sudafrica: il presidente Cyril Ramaphosa ha denunciato una “pressione straordinaria” nei confronti del suo paese per abbandonare la sua supposta posizione neutrale. Ma la pressione è anche di altro tipo: affossato anche dalle tensioni diplomatiche, il Rand sudafricano è crollato rispetto al dollaro, perdendo quasi il 15% dall’inizio dell’anno, mentre la crisi energetica del paese continua a peggiorare, minacciandone l’economia.
Insomma, per il paese più industrializzato dell’Africa, si profilano mesi ad alta tensione.

Oggi alle 18.30 all’ISPI parleremo di microchip, di come USA e Cina si stiano facendo la guerra per il loro controllo e del perché questo sia un problema che riguarda anche l’Europa. Partecipa alla tavola rotonda online o in presenza: https://www.ispionline.it/it/evento/guerra-dei-microchip-chi-vince-e-chi-perde
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2023-05-30 19:30:37
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2023-05-30 19:30:29 ELEZIONI IN SPAGNA: VERSO UN’ESTATE CALIENTE
 
Di nuovo al voto 
Dopo le elezioni amministrative e regionali di domenica, la Spagna tornerà al voto. E lo farà prima del previsto. Ieri, il premier Pedro Sánchez ha annunciato di voler anticipare le elezioni generali, inizialmente programmate per dicembre, al 23 luglio 2023.  
Il risultato delle elezioni di questo fine settimana è stato un vero e proprio disastro per il governo di Sánchez, leader del Partito Socialista Operaio Spagnolo (PSOE) in carica dal 2018. Il Partito Popolare (PP), formazione di centro-destra, ha infatti trionfato a livello sia comunale, sia regionale. Con oltre il 31% dei consensi nelle elezioni municipali, i popolari si profilano prima forza del paese, rispetto al 28% di un Partito Socialista che ha perso quasi 400.000 voti in quattro anni.  

No es la economia 
E dire che il governo Sánchez ha avuto una performance economica invidiabile. Il PIL spagnolo cresce più della media Ue (+1,9% la stima per il 2023, contro l’1% dell’Europa) e la disoccupazione è ai minimi dal 2008. Inoltre, scollegando il prezzo del gas da quello dell’elettricità, Madrid ha limitato i costi della crisi energetica. Ed è notizia di oggi che l’inflazione spagnola è scesa al 2,9%, il dato più basso dell’ultimo biennio. 
Eppure, alla fine sarà lo scacchiere politico a fare la differenza. Dal 2020, il PSOE governa in coalizione con la sinistra radicale di Podemos. Un connubio non semplice, come dimostrato dai risultati di domenica. Dall'altro lato, le sorti del PP dipenderanno in larga misura dal rapporto con Vox, partito di destra dai tratti fortemente conservatori. Già in questi giorni, i popolari si trovano a dover dialogare con Vox per assicurarsi il controllo dei municipi in cui hanno solo la maggioranza relativa. Prove generali in vista di una collaborazione a luglio? 

Influenza spagnola 
Adesso, con la decisione di anticipare le elezioni, Sánchez ha alzato la posta in gioco. Mentre quella che si prospetta una calda estate spagnola potrebbe avere conseguenze ben oltre i confini iberici. 

Il 1° luglio, infatti, la Spagna inizierà il suo semestre di presidenza a rotazione del Consiglio dell’Unione Europea. Sulla scia delle elezioni del 23 luglio non è da escludersi uno scenario in cui, a una presidenza inaugurata da Sánchez, possa subentrare il leader del PP Núñez Feijóo. Un avvicendamento che potrebbe distrarre i lavori, a meno di un anno dalle elezioni europee del 2024. Tempismo imperfetto? 

Con le elezioni amministrative spagnole si sta chiudendo un ciclo nella storia recente della Spagna, sancendo il ritorno a un sistema che ruota attorno due soli partiti? E a cosa punta Sánchez con la decisione di convocare elezioni anticipate? Per approfondire, Ne abbiamo parlato qui e qui.

Trenta soldati della Nato sono rimasti feriti in scontri nel nord del Kosovo e la Serbia ha schierato i suoi militari. L’Europa guarda con preoccupazione a una nuova fiammata nei Balcani. Ne parliamo nell’ISPI Daily Focus di oggi: https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/escalation-kosovo-130182
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2023-05-29 19:10:03
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2023-05-29 19:09:56 IRAN-AFGHANISTAN: UN FIUME DI TENSIONE

Cattive acque
È stato un sabato di fuoco a Sasuli, piccola località di frontiera nell’Iran orientale, a pochi passi dall’Afghanistan. Proprio in questo remoto territorio di confine si sono verificati violenti scontri tra alcuni talebani e le guardie di frontiera iraniane. Nonostante domenica l’allarme fosse già rientrato, tre persone avrebbero perso la vita nella schermaglia.
Seppur non sia chiaro chi abbia sparato per primo, l’episodio è indicativo delle crescenti tensioni tra Iran e Afghanistan. A gettare benzina sul fuoco è una questione idrica irrisolta: quella del fiume Helmand, un corso d’acqua che si snoda nelle regioni sud-occidentali dell’Afghanistan, per poi entrare nell’Iran orientale. Ma cosa ha scatenato queste violenze?

La tensione torna a galla
Qualche settimana fa, durante una visita nelle regioni più esposte al rischio siccità, il presidente iraniano Raisi ha ricordato il trattato sancito nel 1973, che garantisce a Teheran il diritto di supervisionare l’afflusso d’acqua verso i propri territori. Tuttavia, già nel 1998 l’Afghanistan governato dai talebani aveva deviato il corso del fiume, con conseguenze devastanti per la sicurezza idrica di questa parte dell’Iran. Al momento, tre sono le dighe costruite in territorio afghano lungo il fiume Helmand, di cui l’ultima inaugurata nel 2021.
La questione è poi riemersa nell’estate del 2021, quando gli agricoltori iraniani diedero vita a una serie di proteste causate dalla progressiva desertificazione. All’epoca, secondo l’Organizzazione Meteorologica Iraniana, il 97% del paese stava facendo i conti la siccità. Mentre si stima che anche il 79% circa delle famiglie afghane non abbia acqua a sufficienza per i fabbisogni quotidiani. Insomma, i recenti cambiamenti climatici si aggiungono a un quadro idrico già di per sé problematico.

La goccia che fa traboccare il vaso?
Sarà escalation? In effetti, i motivi di tensione tra Kabul e Teheran non mancano. A cominciare dalla spinosa questione dei rifugiati afghani in Iran dopo l’agosto 2021, che ha già causato screzi in diverse occasioni. Tuttavia, un vero e proprio conflitto sembra improbabile. Un’ulteriore destabilizzazione della regione non gioverebbe né ai diretti interessati, né a paesi terzi convolti nella regione.
Si pensi in primis alla Cina, che ha bisogno di un Afghanistan il più stabile possibile per avere accesso ai minerali e alle pietre preziose del territorio. Pur non riconoscendo ufficialmente il governo talebano, sia Teheran che Pechino hanno intrattenuto diversi colloqui con i rappresentanti talebani. La volontà di mantenere un canale di dialogo aperto è dimostrata anche dalla scelta di tenere le rispettive ambasciate a Kabul aperte. Basterà tutto ciò a gettare acqua sul fuoco?

In Turchia Erdogan ha vinto al ballottaggio delle elezioni presidenziali, e l’Occidente si interroga su cosa aspettarsi nei prossimi 5 anni. Ne parliamo nell’ISPI Daily Focus di oggi: https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/turchia-erdogan-ricomincia-da-tre-130123
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