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Fabrizio Cotza

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Indirizzo del canale: @cotzafabrizio
Categorie: Psicologia
Lingua: Italiano
Abbonati: 587
Descrizione dal canale

Il canale degli Imprenditori Sovversivi.

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Gli ultimi messaggi 5

2021-09-18 10:22:06 LE CONSEGUENZE DELLA SOSPENSIONE.
Per le grandi aziende con decine di migliaia di persone forse non cambierà molto. Sono abituate a trattare i dipendenti da numeri, ed è probabile che chi è al vertice neppure saprà il nome di coloro che verranno sospesi.

Il vero problema, tanto per cambiare, ce l’avranno le piccole imprese, dove i rapporti sono necessariamente più intimi e per le quali sostituire temporaneamente un collaboratore storico, con anni di esperienza, sarà un problema immenso, oltre che una violenza emotiva.

A prescindere dall’opportunità o meno di un provvedimento del genere, sostenere che “sarà possibile sostituire per qualche mese chi verrà sospeso” significa aver perso ogni contatto con la realtà, soprattutto con quel tessuto economico formato da centinaia di migliaia di artigiani e micro imprenditori, per i quali trovare personale qualificato è già adesso un problema.

Chi accetterà un lavoro a tempo determinato, sapendo che tra qualche mese (forse) tornerà chi è stato sospeso?
E come si potranno incrinare i rapporti tra titolare e persona sospesa in questi mesi di allontanamento forzato, sebbene nessuno dei due sia colpevole di questa imposizione?

Il rischio vero è un acuirsi di tensioni sociali, tra persone che per anni hanno collaborato assieme, che rappresenterà l’ulteriore spallata alle micro e piccole imprese. Le quali andranno sicuramente in difficoltà, se dovranno privarsi di alcune persone fidate ed esperte, a causa di una loro scelta personale e legittima.

Tutto questo è molto grave ed è evidente che chi ha stabilito una norma simile non ha preso in considerazione (o forse sì, ma sarebbe ancora più grave) le conseguenze derivanti dalla sospensione del 25% di lavoratori (ovvero un quarto del totale: oltre 5 milioni di persone).
Conseguenze che pagheranno, come sempre, i più piccoli e i più deboli.
Con buona pace dei sindacati.
293 views07:22
Aprire / Come
2021-09-18 10:22:02
287 views07:22
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2021-09-09 11:53:20 Quello che verrà sarà esattamente ciò di cui abbiamo bisogno.
184 views08:53
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2021-09-09 11:53:20 MI SONO AMMALATO.
Ed immagino sia facile capire di cosa, visto che ormai esiste solo una malattia al mondo. E no, non è quella che fa più vittime.

Ma adesso che sono guarito posso dire che è stato utile, per tanti motivi, che tenterò di sintetizzare in questi 6 punti.

Primo punto: per due anni mi sono sentito dire “se ti ammalassi non parleresti così”. Bene, ora posso parlare, anche perché ho capito il vero motivo per cui alcuni vengono intubati o muoiono: forse sono stato sfortunato, ma a me davvero il medico di base (gentilissimo e disponibile) ha dato come cura la mitica “Tachipirina e vigile attesa”. Poi quando sono peggiorato mi ha “affidato” all’Usca.
E cosa è cambiato? Nulla. Mi chiamavano -anche loro molto gentilmente- solo per farmi le stesse domande burocratiche. Alla mia richiesta di essere visitato rispondevano “oggi io non posso, ma verrà sicuramente il mio collega domani”. Ebbene, non è venuto nessuno in due settimane. NESSUNO!

Secondo punto: Per fortuna ad un certo punto ho deciso di contattare alcuni medici che conosco personalmente e che fanno parte di un mio progetto. Quelli spesso offesi dai giornalisti perché non ortodossi o non allineati ai protocolli ufficiali, tanto per intenderci. È bastata una mezza telefonata e loro da quel momento mi hanno davvero preso in cura. Nel senso più ampio del termine. Gratuitamente. Da oggi chiunque oserà dire mezza parola contro i medici che fanno i veri medici perderà tutto il mio rispetto. Perché solo chi ignora la situazione o è in cattiva fede potrebbe accusare queste persone. Grazie soprattutto a Stefano e a Mattia, siete stati grandi.

Terzo punto: Essermi preso una pausa dai social è stata, anch’essa, una cura. Per la mia anima. Ho visto con molta più lucidità quanto tempo perdiamo tutti quanti a fare i tifosi, senza che questo porti alcun beneficio. Anzi, in alcuni casi contribuiamo inconsapevolmente a peggiorare le cose. E questa pausa è arrivata al momento giusto, quando stava crescendo nei miei confronti una forma di consenso pericoloso. Ovvero quello che lusinga, come nel film “l’avvocato del diavolo”.

Quarto punto: mentre stavo male avevo un solo timore. Che un giorno la mia storia potesse essere usata da qualche giornalista sciacallo, per raccontare la triste fine dell’ennesimo pseudo “no-qualcosa” pentito, che supplicava a tutti di non fare il suo errore. Ecco, voglio dirlo con forza: tutte queste storie riportate dai giornali sono il simbolo del degrado comunicativo in cui ci troviamo. Esattamente come quelle che strumentalizzano i malori o le morti di chi ha deciso di inocularsi il siero. Stessa immondizia: sia chi le pubblica che chi le commenta esprimendo soddisfazione per le disgrazie altrui.

Quinto punto: in queste due settimane ho capito che c’è una via d’uscita per tutta questa follia collettiva. Non credo che i social servano a “risvegliare” o ad unire grandi masse di individui. Le soluzioni si creano solo tramite rapporti veri, in piccoli gruppi di persone molto affiatate, come quello di cui faccio parte. Uscirò da tutte quelle aggregazioni virtuali che raccolgono decine di migliaia di persone, solo apparentemente unite da qualcosa. Se non si traducono in azioni concrete non servono a niente, solo a sfogarsi oppure a fomentare le tifoserie.

Sesto punto: per quanto detto sopra, anche questo appena scritto è un post inutile. Ma sappiate che l’ho scritto per me. Per ricordarmi quanto è stato importante provare sulla mia pelle questa malattia, che se non curata in tempo può davvero rivelarsi pericolosa.
Non ne sono uscito migliore o peggiore, solo più consapevole di ciò che sta accadendo realmente, e che non corrisponde con la narrazione psicotica che ci viene inculcata quotidianamente, spacciandola per “scientifica” o “razionale”.

Ora so che la via d’uscita c’è. Ed è davanti ai nostri occhi. Ma nessuno può indicarla a qualcun altro, perché è diversa per ciascuna persona.
Cerchiamo solo di salvaguardare il nostro equilibrio emotivo e di circondarci di poche persone vere, competenti e disposte al confronto.
279 views08:53
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2021-08-26 10:51:48 Ma non credo ci possa essere una strada diversa da quella legata all’azione concreta, con una visione a breve-medio-lungo periodo, sia per la sfera professionale che per quella personale.
Questa attività la svolgerò principalmente dalla mia pagina professionale facebook “Fabrizio Cotza - Mentore Sovversivo” e qui su Telegram, mentre sul profilo privato “Faber Cotza” mi concederò ancora le mie “Cotzate” ispirate dagli “Illuminabili”.
Perché ogni tanto anche sorridere e prendersi un po’ in giro fa bene ;)
378 views07:51
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2021-08-26 10:51:48 IL NOSTRO MOMENTO.
Ci piace stare con chi la pensa come noi. È normale, perché ci tranquillizza un po’, rispetto alla confusione (inevitabile) da cui siamo circondati.
Per questo togliamo l’amicizia a chi ha opinioni diverse su questioni per noi importanti e accogliamo i nuovi amici se leggiamo nelle loro bacheche che in linea di massima sono d’accordo con noi. Io l’ho fatto, lo ammetto.

Eppure le conversazioni più interessanti le ho avute, rigorosamente in privato, con chi la pensava diversamente da me. Uno di loro lavora per una multinazionale del farmaco. E più di una volta ha commentato in maniera dura o piccata i miei post. Ed io i suoi.
Però poi in privato la conversazione è sempre stata educata e a tratti persino accogliente, da parte di entrambi. Con le sue obiezioni mi ha spinto a cercare nuove fonti, e lo stesso ho fatto io con lui. Trovando un accordo? Raramente. Ma ci ha spinti a non accontentarci delle informazioni e dei pensieri che già avevamo.
Quindi le nostre posizioni non sono cambiate, ma come esseri umani, probabilmente, siamo entrambi cresciuti perché abbiamo compreso che chi la pensa diversamente non è per forza un nemico.

Diverso è chi arriva senza sapere nulla di te, a volte persino fraintendendo un post, per accusare oppure offenderti. E questo, badate bene, mi è accaduto in misura uguale con gli appartenenti ad entrambe le “fazioni”. A riprova del fatto che l’intelligenza, le buone maniere, il rispetto e la condivisione sono qualità TRASVERSALI.
Quindi non basta essere da una parte o dall’altra per appartenere ai “risvegliati”, agli amanti della “scienza” o semplicemente alla categoria dei più intelligenti e colti.

Abbiamo perciò una sola speranza: unire le persone più equilibrate e ragionevoli, a prescindere dalle loro opinioni, e chiederci in maniera netta e senza compromessi: che tipo di società stiamo contribuendo a creare? Che esempio stiamo dando ai ragazzi? Che cosa avrò lasciato io stesso, con il mio esempio, se in un momento così delicato e difficile per tutti, non avrò dimostrato di sapermi mettere nei panni altrui, urlando solo la mia paura e rabbia?

Eccolo, il momento giusto. Quello che potrebbe determinare il ricordo che avrai di te stesso quando sarai anziano, o in fin di vita.
Avrai fatto parte di coloro che hanno contribuito a trovare una soluzione che rispetti tutti, oppure avrai aderito ciecamente ad una tifoseria di urlatori decerebrati?
Ricorderai questi mesi come quelli che hanno dato una svolta positiva alla tua esistenza, o quella in cui hai semplicemente vinto o perso, tentando di schiacciare qualcun altro?

E lo dico in particolare alle donne e alle mamme, che più di chiunque altro possono mettere da parte gli aggressivi egoismi di molti maschietti, e che hanno dimostrato più volte, in passato, di ribaltare meccanismi che ormai sembravano impossibili da scalfire. Come quando hanno iniziato a rivelare i segreti di mafia, permettendo di sgominare intrecci malavitosi che andavano avanti da generazioni. Perché avevano fatto del male ai loro bambini.

Sarai tu quella mamma che metterà a rischio la propria esistenza, pur di far crollare la narrazione ipnotica in cui siamo tutti immersi? Sarai tu quella persona, insospettabile o con un ruolo di potere, che avrà il coraggio di mettere quel granello di sabbia che farà inceppare tutto il meccanismo?

È il tuo momento. È il mio momento. È il nostro momento.
Senza strategie politiche e senza leader.
Guidati solo da ciò che tutti noi, nel nostro intimo, sappiamo essere giusto. E che potrà fermare questo massacro sociale, psicologico ed emotivo.

Post scriptum:
Il tempo delle analisi è concluso. Ormai le informazioni sono ovunque e ciascuno di voi ha già fatto la propria scelta. Da adesso in poi parlerò principalmente di azioni e possibili soluzioni, condividendo con voi il lavoro che, silenziosamente, sto portando avanti con vari gruppi di amici. I confronti avuti con tutti voi fino ad oggi sono serviti per capire anche i miei errori. E probabilmente non tutto quello che proverò a condividere in futuro sarà esatto o corretto.
387 views07:51
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2021-08-22 12:24:41 NOI NON CI ADEGUIAMO.
Una delle operazioni di manipolazione più riuscite è stata quella di far credere alle persone di essere colpevoli per quello che subivano.
Prendete ad esempio la famosa frase, tanto cara ai motivatori: “Non è la specie più forte che sopravvive, ma quella che si adatta più velocemente all’ambiente”.

Frase perfetta per fare colpo su una platea di schiavi, che inevitabilmente applaudiranno pensando “Devo adattarmi anche io all’ambiente, altrimenti morirò. E se non mi adatterò sarà tutta colpa mia”.

Prendendo per vera questa frase, ne deriva che se “l’ambiente” ti convince che per sopravvivere devi infilarti un piccolo paletto di frassino nel deretano (e molti iniziano a farlo nella convinzione di salvarsi e di salvare persino gli altri) improvvisamente chi non lo fa rischia davvero di trovarsi escluso da quell’ambiente e di andare in difficoltà. Confermando così la teoria iniziale.

Un po’ quello che accade in un ambiente mafioso. Chi si adatta, pagando il pizzo e baciando le mani a chi glielo chiede, in effetti campa molto più a lungo di chi si ribella e denuncia quello schifo. L’ambiente circostante diventerà molto ostile e verrà disprezzato da chi si è perfettamente adattato. Anche perché la sua presenza ricorderà loro, inconsciamente, quanto sono stati pavidi nella vita.

E nella politica non è forse così? Che fine fa il politico onesto, che non si lascia ricattare, che mantiene saldi i propri valori e le promesse fatte in campagna elettorale? Semplice: viene immediatamente escluso. L’ambiente lo riconoscerà come “corpo estraneo” e a quel politico non resterà che ritirarsi, disprezzato persino da chi avrebbe dovuto tutelarlo e premiarlo per la sua coerenza.

Ebbene, in questo preciso momento storico ciascuno di noi sta decidendo se “adattarsi” o meno ad un ambiente che porterà ad una progressiva discriminazione dei “disadattati”, nella speranza che questo garantisca la sopravvivenza della (sua) specie. Che non è detto sia la migliore, visto l’ambiente in cui si trovano a loro agio e nel quale hanno persino successo.
Basti vedere chi, tra i cosiddetti rappresentanti della scienza e della medicina, finisce col diventare una star e chi viene portato alla disperazione e al suicidio.

Ecco, sappiate che noi Sovversivi non ci adegueremo mai ad un mondo di merda per diventare mosche di successo.
E continueremo a denunciare le storture che vediamo attorno a noi, consapevoli del fatto che questo ambiente farà di tutto per escluderci e farci apparire come quelli sbagliati, egoisti e persino un po’ coglioni.

Forse ci estingueremo come specie, o forse costruiremo un ambiente più adatto a noi, separato da quello tanto caro a chi nel frattempo si sarà adeguato.
E probabilmente anche più bello

*Postilla:
Se vi hanno sempre spacciato “Non è la specie più forte che sopravvive, ma quella che si adatta più velocemente all’ambiente” come frutto del pensiero di Darwin, ebbene sappiate che è falso.
La frase fu inventata da un tale Leon C. Megginson, che non a caso si occupava di marketing e management, non di teorie evoluzionistiche della specie.
183 views09:24
Aprire / Come
2021-08-21 09:14:59
Dopo tanti mesi di pausa sono tornato a parlare da un palco.
In un posto davvero magico: la Chiesa sconsacrata di Tricalle, a Chieti.
Spaziando da “il lavoro rende liberi” scritto fuori dai campi di concentramento, alla differenza tra labor e opus. Per poi affrontare la grande differenza tra successo e realizzazione o tra scopo e obiettivi.
Ho ricordato il grande sociologo Ivan Illich, le bugie su Darwin e i folli incitamenti di Steve Jobs.
Abbiamo riso spesso, ma ci sono stati anche dei lunghi attimi di silenzi eloquenti.
Insomma, una bella serata Sovversiva, in compagnia di splendide persone.
Senza limitazioni e lasciapassare per nessuno.

#coraliafest
199 views06:14
Aprire / Come
2021-08-17 09:57:19 Parlerò dopodomani (giovedì 19 agosto) di questo argomento, e in generale di come poter trasformare il proprio lavoro, da meccanismo di (auto)schiavitù a strumento di (auto)realizzazione.

https://facebook.com/events/s/coralia-fest-dialogo-con-fabri/1357938621273675/
97 views06:57
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2021-08-17 09:51:03 IL “LIBERO” PROFESSIONISTA.
È interessante osservare come alcune parole vengano utilizzate senza alcun collegamento con la realtà.
È il caso di “libero professionista”, che dovrebbe indicare appunto qualcuno che svolge la propria attività senza alcun vincolo o costrizione, non avendo sopra di sé nessuno con gli dà ordini o lo controlla.
Ma è davvero così?

Beh, basta osservare la realtà di quello che accade.
Nella maggior parte dei casi il libero professionista fa fatica a staccare completamente dal suo lavoro. Anche quando è a casa o in vacanza riceve telefonate di lavoro, risponde alle email o semplicemente pensa a quello che dovrà fare una volta tornato in ufficio.

Non ha fisicamente qualcuno che lo vincola, semplicemente lo fa in autonomia. In poche parole in lui coesistono entrambe le figure classiche del capitalismo: il padrone e lo schiavo, in un gioco delle parti che per certi aspetti ricorda patologie pericolose quali il disturbo bipolare o la schizofrenia.

Ovviamente per poter interpretare al meglio il proprio ruolo ha bisogno anche di auto assegnarsi dei premi di produzione, rappresentati dai famosi obiettivi. Se li raggiunge, per un breve momento, si sente euforico. Se invece fallisce inizia a colpevolizzarsi, fino ad arrivare a vere e proprie forme di autoinvalidazione (non valgo nulla, sono un perdente etc.).

Per alcuni la “libera” professione è così stressante che dopo alcuni anni preferiscono tornare a fare i dipendenti. E nonostante debbano sottostare a qualcuno, spesso dichiarano di aver riacquistato la loro libertà!

Ovviamente questa non è una condizione percepita o vissuta da tutti.
Alcuni, per fortuna, si rendono conto che la vera libertà è un valore da riconquistare ogni giorno, spesso dovendo rinunciare a qualcosa in termini di fatturato, utili o nuovi clienti.

Tutelare il proprio spazio sacro, senza farsi fagocitare dal meccanismo del successo, è il primo passo per diventare veri “liberi” professionisti.
109 views06:51
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