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MI SONO AMMALATO. Ed immagino sia facile capire di cosa, visto | Fabrizio Cotza

MI SONO AMMALATO.
Ed immagino sia facile capire di cosa, visto che ormai esiste solo una malattia al mondo. E no, non è quella che fa più vittime.

Ma adesso che sono guarito posso dire che è stato utile, per tanti motivi, che tenterò di sintetizzare in questi 6 punti.

Primo punto: per due anni mi sono sentito dire “se ti ammalassi non parleresti così”. Bene, ora posso parlare, anche perché ho capito il vero motivo per cui alcuni vengono intubati o muoiono: forse sono stato sfortunato, ma a me davvero il medico di base (gentilissimo e disponibile) ha dato come cura la mitica “Tachipirina e vigile attesa”. Poi quando sono peggiorato mi ha “affidato” all’Usca.
E cosa è cambiato? Nulla. Mi chiamavano -anche loro molto gentilmente- solo per farmi le stesse domande burocratiche. Alla mia richiesta di essere visitato rispondevano “oggi io non posso, ma verrà sicuramente il mio collega domani”. Ebbene, non è venuto nessuno in due settimane. NESSUNO!

Secondo punto: Per fortuna ad un certo punto ho deciso di contattare alcuni medici che conosco personalmente e che fanno parte di un mio progetto. Quelli spesso offesi dai giornalisti perché non ortodossi o non allineati ai protocolli ufficiali, tanto per intenderci. È bastata una mezza telefonata e loro da quel momento mi hanno davvero preso in cura. Nel senso più ampio del termine. Gratuitamente. Da oggi chiunque oserà dire mezza parola contro i medici che fanno i veri medici perderà tutto il mio rispetto. Perché solo chi ignora la situazione o è in cattiva fede potrebbe accusare queste persone. Grazie soprattutto a Stefano e a Mattia, siete stati grandi.

Terzo punto: Essermi preso una pausa dai social è stata, anch’essa, una cura. Per la mia anima. Ho visto con molta più lucidità quanto tempo perdiamo tutti quanti a fare i tifosi, senza che questo porti alcun beneficio. Anzi, in alcuni casi contribuiamo inconsapevolmente a peggiorare le cose. E questa pausa è arrivata al momento giusto, quando stava crescendo nei miei confronti una forma di consenso pericoloso. Ovvero quello che lusinga, come nel film “l’avvocato del diavolo”.

Quarto punto: mentre stavo male avevo un solo timore. Che un giorno la mia storia potesse essere usata da qualche giornalista sciacallo, per raccontare la triste fine dell’ennesimo pseudo “no-qualcosa” pentito, che supplicava a tutti di non fare il suo errore. Ecco, voglio dirlo con forza: tutte queste storie riportate dai giornali sono il simbolo del degrado comunicativo in cui ci troviamo. Esattamente come quelle che strumentalizzano i malori o le morti di chi ha deciso di inocularsi il siero. Stessa immondizia: sia chi le pubblica che chi le commenta esprimendo soddisfazione per le disgrazie altrui.

Quinto punto: in queste due settimane ho capito che c’è una via d’uscita per tutta questa follia collettiva. Non credo che i social servano a “risvegliare” o ad unire grandi masse di individui. Le soluzioni si creano solo tramite rapporti veri, in piccoli gruppi di persone molto affiatate, come quello di cui faccio parte. Uscirò da tutte quelle aggregazioni virtuali che raccolgono decine di migliaia di persone, solo apparentemente unite da qualcosa. Se non si traducono in azioni concrete non servono a niente, solo a sfogarsi oppure a fomentare le tifoserie.

Sesto punto: per quanto detto sopra, anche questo appena scritto è un post inutile. Ma sappiate che l’ho scritto per me. Per ricordarmi quanto è stato importante provare sulla mia pelle questa malattia, che se non curata in tempo può davvero rivelarsi pericolosa.
Non ne sono uscito migliore o peggiore, solo più consapevole di ciò che sta accadendo realmente, e che non corrisponde con la narrazione psicotica che ci viene inculcata quotidianamente, spacciandola per “scientifica” o “razionale”.

Ora so che la via d’uscita c’è. Ed è davanti ai nostri occhi. Ma nessuno può indicarla a qualcun altro, perché è diversa per ciascuna persona.
Cerchiamo solo di salvaguardare il nostro equilibrio emotivo e di circondarci di poche persone vere, competenti e disposte al confronto.