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2021-09-20 16:56:16 «… Sappiamo di non sognare; per quanto siamo impotenti a darne le prove con la ragione, questa impotenza ci porta a concludere per la debolezza della nostra ragione, ma non per l'incertezza di tutte le nostre conoscenze […]. Infatti la conoscenza dei principi primi […] è più salda di qualunque altra che ci viene dai nostri ragionamenti. E proprio su tali conoscenze del cuore e dell'istinto la ragione deve appoggiarsi, e su di esse fondare tutto il suo ragionamento. […] Questa impotenza non deve dunque servire ad altro che a rendere umile la ragione -la quale vorrebbe giudicare di tutto-, ma non già a combatter la nostra certezza […].»

Blaise Pascal, Pensieri

Per Pascal la scienza e la filosofia non hanno due direzioni totalmente differenti, né tanto meno si avversano l'un l'altra, ma sono l'una il completamento dell'altra. Pascal è dunque uno dei primi pensatori che hanno tentato di conciliare la scienza (che si fonda sullo "spirito di geometria") e la fede (che si fonda sullo "spirito di finezza"), ponendo i due campi complementari e necessari l'uno all'altro. Pascal dice che lo "spirito di geometria" non è sufficiente per comprendere la realtà, poiché non arriva a capire i fondamenti dell'esistenza umana, ed è così limitato; infatti, ogni scienza che non consideri l'uomo è una scienza inutile, se non addirittura dannosa. Per comprendere i temi esistenziali dell'uomo si ha invece bisogno del "cuore", che per Pascal non è nulla di romantico o irrazionale, ma è il centro pulsante dell'interiorità umana, lo strumento dello "spirito di finezza".

«Il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce […]. Io dico che il cuore ama l'Essere universale naturalmente, e ama se stesso naturalmente, […] e s'indurisce contro l'uno o l'altro, a sua scelta. …»

Dunque, il cuore non agisce irrazionalmente, ma ha dei precisi procedimenti che seguono un'altra specie di "ragione", differente dalla "ragione scientifica".

«Conosciamo la verità non solo con la ragione, ma anche col cuore; ed è in questo secondo modo che conosciamo i principi primi, e inutilmente il ragionamento, che non vi ha parte, s'industria di combatterli. …»

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2021-09-18 16:11:10 ⁣«La sofferenza, ovviamente, non è né piacere né godimento; ma non è nemmeno il loro opposto; non possiamo contraddistinguere più del dovuto i fenomeni che riguardano l’esistenza dal flusso della vita e valutarli in modo antitetico su un piano puramente razionale. La sofferenza deriva dal vissuto e lo fonda nella sua autenticità. […] La sofferenza è sofferenza e lo è in un’esistenza umana

E. Minkowski, La sofferenza umana. Aspetto patico dell’esistenza

Eugène Minkowski, psichiatra e fenomenologo franco russo di origine polacca, considerato uno dei più importanti esponenti francesi della psichiatria fenomenologica del Novecento.
Egli sosteneva che la sofferenza non è intesa come dolore fisico, ma come aspetto dell’esistenza, ragion per cui non si tratta di masochismo, né tantomeno di pessimismo leopardiano:

«La sofferenza umana tocca nel profondo l’essere umano che la vive ed è uno dei fattori costitutivi dell’esistenza.»

Pertanto, non può essere ovviata, né guarita, ma soltanto alleviata. 

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335 views13:11
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2021-09-18 09:47:04 ⁣#accaddeoggi

"Morire è solamente tornare a essere come eravamo prima di essere nati: nessuno prova alcun rimorso, o rimpianto, o ripugnanza, nel contemplare quest’ultima idea".

Oggi nel 1830 moriva il saggista, critico, filosofo William Hazlitt, considerato uno dei sommi critici e saggisti in lingua inglese, assieme a Samuel Johnson e George Orwell.

Jean-Jacques Rousseau influenzò il suo pensiero, tale da elaborare un trattato sul «naturale disinteresse della mente umana», teso a confutare l'idea che l'uomo sia naturalmente egoista, un concetto fondamentale nella maggior parte della filosofia del tempo, anche se mai ultimato.

IMMAGINE BY UNAM

#buongiorno #approfondimento #citazione #enciclopediafilosofica
47 views06:47
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2021-09-17 14:05:57 "Ecco allora che la vita viene poi spacciata come un dono, mentre è chiaro come la luce del giorno che chiunque, se avesse potuto esaminare e saggiare anticipatamente il dono, lo avrebbe rifiutato con tante grazie; lo pensava anche Lessing , il quale provava ammirazione per l’intelligenza di suo figlio: questi non voleva in alcun modo venire al mondo e lo si dovette tirar dentro a forza con il forcipe; ma, non appena ebbe fatto il suo ingresso nel mondo, si affrettò ad andarsene. È ben vero, per contro, che si dice anche che la vita dovrebbe essere, dall’inizio alla fine, solo una lezione; ognuno però potrebbe replicare: «Proprio per questo avrei voluto che mi si lasciasse tranquillo nella quiete del mio modesto nulla, dove non avrei avuto bisogno né di lezioni né d’altro». Se poi si aggiungesse per sovrappiú che egli un giorno sarà chiamato a rendere conto di ogni ora della sua vita, allora sarebbe lui, piuttosto, ad avere il diritto di chiedere conto del perché lo si sia strappato a quella quiete per trapiantarlo in una condizione cosí critica, oscura, angosciosa e penosa. A questo dunque conducono dei presupposti sbagliati. Giacché l’esistenza umana, ben lungi dal possedere il carattere di un dono , ha in tutto e per tutto quello di un debito che è stato contratto. La riscossione di questo debito si mostra nella forma dei bisogni impellenti, dei desideri assillanti e della miseria senza fine che derivano dall’esistenza stessa. Per pagare questo debito serve, di regola, l’intera durata della vita; anche cosí, però, si cancellano solo gli interessi. Il pagamento del capitale avviene con la morte. – E quando è stato contratto questo debito? Al momento della generazione."

Tratto da "Supplementi al Mondo come volontà e rappresentazione" di Schopenhauer

"Il Mondo come volontà e rappresentazione
Mondo" viene arricchito da un secondo volume, nel quale Schopenhauer raccoglie un cospicuo numero di Supplementi che riprendono e approfondiscono, passo dopo passo, i grandi temi dell'opera principale. Sono pagine ancora oggi sorprendenti per incisività, vivacità e, soprattutto, per la ricchezza di prospettive che aprono a partire dai risultati raggiunti dal giovane Schopenhauer nell'opera principale. I Supplementi non sono dunque un puro e semplice approfondimento del "Mondo come volontà e rappresentazione", ma quasi una nuova opera a sé stante che dà voce alla maturità di Schopenhauer, senza mai abbandonare la freschezza della giovinezza.

Noi siamo anche corpo, che per il soggetto conoscente non è soltanto un oggetto come gli altri ma esso è
«anche qualcosa di immediatamente conosciuto da ciascuno e che viene designato con il nome di volontà». Schopenhauer considera l'uomo non solo come soggetto conoscente ma anche come essere dotato di un corpo, sede di un senso interno che ci mostra immediatamente la nostra coincidenza con una forza, un impulso, che è la volontà.
Attraverso l'esperienza di sé stessi come corpo, l'uomo può giungere al noumeno, alla cosa in sé senza ricorrere alle forme a priori della conoscenza e scopriamo che la realtà delle cose ci concerne, siamo nel mondo come una sua parte; difatti vogliamo, desideriamo certe cose e certe altre le evitiamo, rifuggiamo il dolore e ricerchiamo il piacere. Proprio questo ci permette di squarciare il velo del fenomeno e cogliere la cosa in sé. Infatti, ripiegandoci in noi stessi, scopriamo che la radice noumenica del nostro io è la volontà: noi siamo volontà di vivere, un impulso irrazionale che ci spinge, malgrado noi stessi, a vivere e ad agire.

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2021-09-16 21:30:01 Pretendi il meglio

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2021-09-16 17:17:22 «La depressione non equivale al dolore; il vero depresso ringrazierebbe il cielo se riuscisse a provare dolore. La depressione è l'incapacità di provare emozioni. La depressione è la sensazione di essere morti mentre il corpo è ancora in vita. Non equivale affatto alla pena e al dolore, con i quali anzi non ha niente in comune. Il depresso è incapace di provare gioia, così come è incapace di provare dolore. La depressione è l'assenza di ogni tipo di emozione, è un senso di morte che per il depresso è assolutamente insostenibile. È proprio l'incapacità a provare emozioni che rende la depressione così pesante da sopportare. »

Erich Fromm, “I cosiddetti sani”

All'inizio degli anni Cinquanta, 
Erich affrontò il  problema della salute psichica dell'individuo nella società industriale. Nel saggio "I cosiddetti sani", parla di salute psichica e delle principali forme di patologia della normalità.  Per Fromm, la personalità è l'insieme delle qualità psichiche ereditarie ed acquisite dell'individuo che ne definiscono prima il temperamento, quindi il carattere attraverso un processo evolutivo di adattamento quale compromesso tra i bisogni interni e le richieste esterne. Il carattere dell'uomo è quindi inteso come il modo in cui l'individuo usa la propria energia psichica in funzione delle proprie esigenze individuali in un dato contesto sociale ed ambientale. Il processo di formazione ha due principali dimensioni:
- quella sociale;
- quella individuale.

L'uomo instaura poi relazioni positive con il mondo attraverso:
-l'assimilazione (acquisizione dell'ambiente);
-la socializzazione (tensione verso l'altro).

La socializzazione può essere tuttavia turbata dalla comparsa di almeno uno di quattro ben precisi atteggiamenti che Fromm identifica nel masochismo, nel sadismo, nella distruttività e nel conformismo.

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2021-09-15 21:45:11
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