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Gli ultimi messaggi 59

2021-08-07 10:42:46 Gli dei di Calasso
Alberto Manguel
Robinson ~ n 244
07.08.2021

#DiVisteERiviste

Roberto Calasso è stato uno degli indispensabili maîtres-à-penser d’Europa: romanziere, saggista, critico, direttore editoriale della Adelphi, una delle case editrici più prestigiose del pianeta. Come scrittore, Calasso, al pari di Borges, al pari di George Steiner, inventava libri brillanti composti di ogni ingrediente possibile e immaginabile, tanto che una riflessione sui rituali del sacrificio, per esempio, poteva includere, con grande efficacia, Goethe, gli autori vedici, Emily Dickinson, i poeti aztechi, Freud, Simone Weil e Napoleone III. Senza curarsi delle banali convenzioni di nazionalità, scuole, età, Calasso faceva parlare fra loro i fantasmi che evocava, come antenati a cui poter rivolgere le domande essenziali: chi siamo? Che ci facciamo qui? Che cosa possiamo imparare?

In quest’epoca di svilimento attivo della cultura e perversa censura accademica, voci come quella di Calasso diventano una lettura necessaria.
Calasso non era un mero raccoglitore di saggezza, per quanto straordinario potesse essere il suo museo immaginario. Passava al setaccio i suoi testi, lucidava le sue fonti portandole alla luce, dissotterrava le sue glosse e commenti, comparava precedenti letture. Secondo il Talmud, ogni passaggio della Torah ha quarantanove gradini di significato (il titolo che diede a una delle sue raccolte di saggi). Per Calasso, questa strategia interpretativa serviva per qualsiasi testo catturasse la sua attenzione: quarantanove stava per l’infinito. «Le storie non vivono mai solitarie: sono rami di una famiglia», scrisse, «che occorre risalire all’indietro e in avanti».

Si potrebbe dire che per Calasso ogni lettura letteraria era allegori- ca, nel senso che il testo segue narrazioni dove il significato si trova al di fuori delle narrazioni stesse. Goethe (e più tardi Flaubert, Croce e Borges) rigettavano l’allegoria come un «errore estetico» (per usare le paro- le di Borges) e raccomandavano invece la coltivazione dei simboli; Chesterton difendeva l’allegoria comparandola, in modo poco convincente, a un segnale ferroviario. Benjamin ridiede dignità all’allegoria in nome dei suoi «valori primordiali».

Calasso abbracciava di buon grado tutte queste argomentazioni. «Non c’è una rigorosa distinzione», scriveva, «fra simbolo e allegoria, in quanto l’allegoria è la simbolica stessa in disfacimento, morta di ipertrofia». Spogliata della traduzione in significato, l’allegoria agisce su di noi nel reame dell’immagine pura, restituendo al simbolico la sua qualità antica e pericolosa, agendo come uno specchio oscuro che consente al lettore di guardare il sole senza accecarsi. «In allegoria», confessava Calasso, «scrittore è colui che assiste a tale scena», il testimone.
Calasso era il testimone dai miti dell’antica Grecia (Le nozze di Cadmo e Armonia e La letteratura e gli dei) alle varie letterature europee (La Rovina di Kasch, K., La follia che viene dalle Ninfe, Il rosa Tiepolo, La folie Baudelaire) e ai testi vedici dell’India antica (L’ardore, Ka). Secondo Calasso, per noi del XXI secolo, arrivati in ritardo rispetto ai miti della Grecia e dell’India, potrebbe essere impossibile inventare una storia.
43 views07:42
Aprire / Come
2021-08-07 07:43:59 Buongiorno e buon sabato, nella convinzione di aver fatto il massimo, di ciò che era nelle nostre possibilità, e che il resto poi verrà da sé

https://twitter.com/ventaglip/status/1423864824484728832?s=21
43 views04:43
Aprire / Come
2021-08-06 17:34:42 Italia, fantastico oro nella staffetta 4x100. Tris con Palmisano e Busà
Marco Bellinazzo
Il Sole 24 Ore
06.08.2021

#DiVisteERiviste #Olimpiadi2020

Emozione pura!!!

Il quartetto regala il decimo oro dopo le vittorie di Antonella Palmisano nella marcia e Luigi Busà nel karate. Per gli azzurri è record di medaglie (38)

Con una prestazione magistrale l’Italia si aggiudica il suo primo, storico oro sul filo di lana nella staffetta 4x100, bruciando di un centesimo la Gran Bretagna e poi il Canada. Il quartetto azzurro - composto da Lorenzo Patta, Marcell Jacobs, Eseosa Desalu, Filippo Tortu - ha chiuso la gara con il tempo di 37’50 davanti a tutti mettendo a segno un risultato sognato ma non certo preventivabile alla vigilia, con un gruppo di avversari teoricamente più quotati come lo stesso Regno Unito, il Canada (dato per favorito), la Giamaica.

Azzurri da record
Con l’oro della staffetta sommato a quelli conquistati da Antonella Palmisano nella marcia e Luigi Busà nel karate salgono a 10 le medaglie più pregiate per la spedizione azzurra che segna anche il recordo di 38 medaglie. Per l’Italia è anche la quinta medaglia d’oro nell’atletica leggera in questa edizione dei Giochi, un altro record. Seconda medaglia d’oro personale per Jacobs, dopo quella fantastica conquistata nei 100 metri.

Con una prestazione di assoluto spessore Antonella Palmisano ha vinto l’oro olimpico dei 20 km di marcia a Sapporo nel giorno del suo trentesimo compleanno. Al secondo posto, argento, la colombiana Sandra Arenas, terza e bronzo la cinese Hong LiuCon l’oro di Antonella Palmisano nella 20 km di marcia, l’Italia era salita a quota 36 medaglie complessive eguagliando il suo record assoluto, che era stato raggiunto a Los Angeles 1932 e a Roma 1960. È trascorsa appena qualche ora per il record assoluto di 37 (poi diventate 38 con la staffetta), grazie a Luigi Busà, medaglia d’oro nella specialità kumite 75 chili di karate. Nella finale per il primo posto l’azzurro ha sconfitto l’azero Rafael Aghayev.

La gara di marcia
La Palmisano ha sferrato l’attacco decisivo al quindicesimo chilometro, con un cambio di ritmo devastante che ha piegato la resistenza delle tre rivali cinesi Liu, Yang e Qieyang, favoritissime alla vigilia. Ha così tagliato il traguardo in 1 ora 29 minuti e 12 secondi. Il suo coach Patrizio Parcesepe a sua volta firma l'impresa storica di due ori olimpici in due giorni essendo anche l’allenatore di Stano. L'argento è andato alla colombiana Arenas (1h29:37), bronzo alla cinese Liu Hong (1h29:57). L'atletica italiana non aveva mai vinto quattro ori olimpici nella storia delle Olimpiadi: erano stati al massimo tre, nelle edizioni di Mosca 1980 e di Los Angeles 1984.«La scia di Marcell Jacobs e Gianmarco Tamberi, e poi anche la vittoria degli Europei di calcio: per l’Italia è un momento magico». Sono state queste le prime parole, a RaiSport, di Palmisano. «Le vittorie di Jacobs e Tamberi - ha aggiunto - mi hanno fatto venire i brividi e mi hanno dato una grande carica».

Lotta e Karate
Nella lotta l’azzurro Abraham Conyedo Ruano anche lui cubano naturalizzato, come Chamizo atteso nella finale per bronzo, è passato ai quarti del torneo di Tokyo 2020, dopo aver battuto agli ottavi il romeno Albert Saritov 6-1, ma ha perso con l’americano Kyle Frederik Snyder e ora spera nel ripescaggio. Fuori, invece, nel kata uomini, specialità del karate (è quella contro un rivale immaginario), Mattia Busato, che non è riuscito a ottenere la qualificazione per la seconda fase. Mentre sul tatami Luigi Busà ha arricchito il medagliere italiano con un’altra medaglia d’oro: la nona.
21 views14:34
Aprire / Come
2021-08-06 13:06:04 Titolo: Belladonna
Autore: Annalena McAfee
Traduttore: Daniele Petruccioli
Editore: Einaudi
Genere: narrativa
Data: 22 giugno 2021

Leggi l'anteprima

#recensione

Colori e passione, ma attenzione, perché poi è un attimo per confondere un'illusione con la realtà delle cose.

Eve Laing è una donna sessantenne che prova a scrostarsi di dosso l'immutabilità di quell'istante che l'ha immortalata, da giovane, come musa di un pittore famoso. Ma Eve è altro. Eve è un'artista che ha qualcosa da dire, da esprimere. E lei sa che ci vuole solo tempo perché la tela catturi la sua essenza, come artista, come donna.

“Ma non le è bastato per emergere. Scopo dell’artista dev’essere la purezza d’intenti, diceva sempre Florian. «Colori e passione», non serve altro. Un’unica opera senza macchia è da sempre la sola speranza di Eve o, in mancanza, un unico colore purissimo, come Yves Klein che un giorno, dopo avere posato gli occhi sul limpido cielo estivo di Francia, ha immaginato una tonalità talmente luminosa e ovvia che era un miracolo se nessuno l’aveva scoperta prima di lui: il blu Klein.”

E così prova a estrarre il colore dai pigmenti delle piante, come la belladonna, una pianta dal colore intenso, ma anche molto tossica.
Eve si dedica al suo progetto che ha per temi i florilegi: “La seconda tela andava riempita con un’immagine crepuscolare delle campanule striate di Atropa belladonna, micidiale con le sue lucide bacche scure il cui pungente sentore di pomodori acerbi allettava fatalmente i bambini e gli escursionisti incauti.”

La sete di riscatto, di giovinessa, di vividezza e di vita si impossessa di Eve e la travolge con l'arrivo di Luka, un giovane artista che la seduce e la fa capitolare.

Per quasi tutto il romanzo, la narrazione scorre liscia, senza troppi colpi di scena, fino ad arrivare agli ultimi capitoli. Ed è ecco che le si palesa la verità, per un caso fortuito: e lei si ritrova oggetto inamovibile davanti a una forza inarrestabile che la travolge e le manda in frantumi tutta l'illusione di cui si era cibata nei mesi precedenti. Il desiderio si tramuta in odio, la vita in morte e il sangue scorre via, lontano da quell'uomo che l'aveva sedotta con l'inganno. E davanti al precipitare degli eventi cosa fa Eve? L'unica cosa che pensa di saper fare, cioè dipingere. In un momento surreale, lei dipinge e ultima così la sua tela.

“Eve prese il sottile pennello in setole di zibellino e si riaccucciò a immergerlo nella pozza di sangue che si andava allargando, un cinabro denso, ricco, con grana di ematite.
Si rialzò, cominciò a lavorare. Eccola, la sfumatura espressiva che cercava, il colore che creava la terza dimensione, grazie al quale le piantine saltavano fuori dalla tela: pareva di potersi pungere le dita, su quelle capsule spinose.”

Ed ecco che ciò Eve aveva a lungo cercato è lì, finalmente, immortalato sulla tela.

“C’è la sua opera. Quella ci sarà sempre. Un’unica opera perfetta. Colori e passione. Non serve altro. Poi, se ti va bene, te ne vai anche tu e richiudi piano la porta alle tue spalle.
Si aggrappa alla ringhiera. Non può far altro che cedere alla forza gravitazionale e cadere a capofitto nel futuro. Un passo, una deliziosa, capitombolante resa e la vecchia vita svanirà, scorrendoti accanto rapida mentre precipiti. Quanto è facile lasciarsi andare.
Fermo immagine. Indietro veloce.”

In fondo, lo sapeva, lo sapeva sin dall'inizio: “Al fiore e alle bacche di belladonna sono da ascrivere piú morti di tutte le altre piante messe insieme."

Su Goodreads
https://www.goodreads.com/review/show/4157953763
34 views10:06
Aprire / Come
2021-08-06 08:40:33 Buongiorno e buon venerdì con i versi di Adonis

“Il re dei venti

Il limite estremo è il mio vessillo senza amicizia né incontri
il limite estremo sono i miei canti.

Eccomi a radunare i fiori e a chiamare al combattimento gli alberi,
a innalzare il baldacchino del cielo
e amo, vivo, nasco nelle mie parole.

Eccomi ad ammassare farfalle sotto lo stendardo del mattino
a crescere alberi da frutto
a trascorrere la notte con la pioggia
tra le nubi e i loro campanelli, nei mari.

Eccomi a brandire le stelle gettando l’ancora
e proclamandomi
re dei venti.”

Memoria del vento ~ Adonis
Guanda Editore


https://twitter.com/ventaglip/status/1423518566356340741?s=21
40 views05:40
Aprire / Come
2021-08-05 19:45:18 Titolo: Palude
Autore: Antonio Pennacchi
Letto da: Alberto Rossatti
Audible
2015
Editore: Baldini + Castoldi
Genere: narrativa
Data: 14.03.2014

#recensione

Oggi, 5 agosto 2021, si sono svolti i funerali di Antonio Pennacchi nella cattedrale di San Marco, in Piazza San Marco a Latina. L'autore è stato stroncato da un infarto il 3 agosto: aveva 71 anni.

Il caso ha voluto che in uno dei suoi romanzi abbia predetto di che morte sarebbe morto. Il protagonista di Palude è un uomo grande e grosso, un operaio, che aveva preso il soprannome dal ruolo che aveva quando giocava a calcio: faceva il portiere e pur di parare il pallone, era disposto a tutto, anche ad andare a finire nel fango.
Ma Palude è anche la palude dell'Agro Pontino che fu bonificata durante il Fascismo e dalla cui bonifica nacque Latina, all'epoca nominata Littoria.

Latina, la palude pontina e Palude sono un po' i tre protagonisti di questo romanzo: è il primo che leggo di Antonio Pennacchi. È da tantissimo tempo (anni) che voglio leggerlo e doveva arrivare la sua morte per spingermi a farlo. Lo stile è arguto ed emerge la cultura e la sofferenza dell'autore che ha spasimato tanto prima di farsi pubblicare da un editore.
Palude è l'alterego di Pennacchi. E anche Palude si ammala di cuore a tal punto da dover subire un trapianto, per guarire.

“E c'è infine Palude che ne ha bisogno, Palude che quando era ancora in forze ti alzava con una mano sola, se non stavi zitto. Adesso ha il cuore stanco. Peccato solo che sia un operaio rosso e comunista. Ma non importa, è deciso: il trapianto si farà. Per procurarsi un donatore basta in fin dei conti spargere una latta d'olio sopra la Pontina. Anche se a volte, insieme al cuore, al trapiantato cambia pure l'anima...”

L'abilità di Pennacchi è (era) quella di farti ridere, riflettere e al tempo stesso commuovere, di parlarti di Storia nella storia della gente comune.

Davvero tanti i temi trattati e il fantasma del Duce in giro in motocicletta per Latina è uno spasso.
E leggere parti in dialetto veneto mi ha fatta sorridere, perché non me le aspettavo di trovarle in un romanzo scritto da un autore di Latina.

Se ne è andato così, il suo cuore non è riuscito più a battere come l'Orient-Exprès. In fondo, lo aveva scritto e predetto pure lui: doveva finire qua.

“... non c'è niente da fare, lo mettono in una stanza e il cuore fa solo «Gnèu gnèu t...» ogni tanto, poi all'improvviso entra Hodjà il siriano dagli occhi azzurri, gli tocca la mano, e il cuore riparte a tutta callara: «Tututùm tututùm tututùm» come l'Orient-Exprès. Ecco, doveva finire qua e secondo me era pure meglio.”

Su Goodreads
https://www.goodreads.com/review/show/4153899635
25 views16:45
Aprire / Come
2021-08-05 11:30:32 Titolo: La casa in collina
Autore: Cesare Pavese
Pubblicazione: Novembre 1948
Genere: Romanzo
Edizione: Einaudi Edizioni
21 luglio 2021 - 03 agosto 2021 - Lettura condivisa on Twitter

#recensione gentilmente offerta da Francesca

È la voce narrante dell’autore che emerge in tutto il romanzo: il prof. Corrado che assiste alla guerra, la vede, l’ascolta, la narra ma non partecipa, anzi sfugge ad essa così come alla partecipazione attiva alla Resistenza. È mero spettatore, angosciato da ciò che vede e vive, con grande senso di colpa e di solitudine, - “Conta quello che si fa, non che si dice.” -

Il racconto si snoda tra la città di Torino dove Corrado è il professore e le colline del Pino a lui care, luoghi d’infanzia dove ritrova se stesso, il suo lato codardo e gli amici partigiani.
Le descrizioni dei luoghi sono toccanti, si assapora il vissuto dello scrittore nella precisione dei dettagli della luce sui prati, sulle creste delle colline, delle valli verdeggianti o pronte ad accogliere la neve invernale.
Le vie percorse sono le sue, quelle di sempre “Di là da quei boschi ero a casa”.
Solo i luoghi del cuore rimbalzano tra le pagine e catturano l’attenzione del lettore, si respira aria di bosco, “l’aria buona”
“Già in altri tempo si diceva la collina come avremmo detto il mare o la boscaglia. Ci tornavo la sera, dalla città che si oscurava, e per me non era un luogo tra gli altri, ma un aspetto delle cose, un modo di vivere”

La storia si svolge in tutta la drammaticità del momento storico, tra la caduta del fascismo e la nascita della Resistenza, eppure Pavese riesce a far stare il lettore sempre un passo indietro, a “vedere” sempre un attimo dopo, quasi come nascosto tra i canneti delle Langhe. Si percepisce facilmente il turbamento, l’angoscia e la solitudine dell’indecisione di fronte all’impegno civile e storico.
“E dei caduti che facciamo? perché sono morti?
Io non saprei cosa rispondere. Non adesso, almeno. Né mi pare che gli altri lo sappiano. Forse lo sanno unicamente i morti, e soltanto per loro la guerra è finita davvero.”

Struggente e malinconico, in alcuni capitoli è immenso.

Felice lettura
F. C.
15 views08:30
Aprire / Come
2021-08-05 08:57:16 Buongiorno e buon giovedì, con i versi di Adonis

https://twitter.com/ventaglip/status/1423156853891076098?s=21
32 views05:57
Aprire / Come
2021-08-04 20:02:29 Titolo: L' inverno dei Leoni. La saga dei Florio
Autore: Stefania Auci
letto da Ninni Bruschetta
Audiolibri Salani
01.08.2021
Editore: Editrice Nord
Genere: romanzo storico
Data: 24.05.2021

Leggi l'anteprima

#recensione

Questo secondo e ultimo volume della saga abbraccia il periodo storico che va dal 1868 al 1950. È la Storia Universale che di nuovo si intreccia con quella particolare della famiglia Florio e della Sicilia.

Ignazio spinge la famiglia verso il periodo d’oro, tanto che i tempi della miseria sembrano distanti. Ha sacrificato l’Amore per la Famiglia: Giovanna le è fedele e accetta con sottomissione l’essere la moglie di Ignazio Florio.

Dalle spezie alla flotta navale, attratti dal potere del mare:
“Per i siciliani, il mare è padre. E se ne accorgono quando ne sono lontani, quando non possono sentire quell’odore forte di alghe e sale che li avvolge nel momento in cui il vento si alza, portandolo fin nei vicoli delle città.
Per i siciliani, il mare è madre. Amato e geloso. Imprescindibile. Talvolta crudele.
Per i siciliani, il mare è forma e confine della loro anima.
Catena e libertà.”

E la vita è come il mare: ora prende ora dà. E se ai Florio la vita ha dato prestigio e un Nome, dall’altra, con i lutti continui, si è presa a uno a uno tante vite dei Florio, sicché sono più i morti dei vivi.

“Cosa è una vita senza amore? Senza la gioia dei figli? Senza il calore di un uomo?
E poi, quale giovamento le verrebbe dal sentire? La vita non dà niente per niente: lei è stata favorita dalla sorte in bellezza e ricchezza e fortuna, ma quella stessa fortuna le si è rivoltata contro. Ha vissuto un grande amore e ha avuto in cambio solo tradimenti. Ha avuto la ricchezza, ma i suoi gioielli più belli, i suoi bambini, le sono stati strappati. Ha avuto ammirazione e invidia, e ora ha solo pietà e rammarico.
La felicità è un fuoco fatuo, un fantasma, qualcosa che ha solo la parvenza del vero. E la vita è bugiarda, ecco qual è la verità. Promette, ti fa assaporare gioie e poi te le sottrae nella maniera più dolorosa possibile.
E lei non ci crede più, nella vita.”

A Ignazio succede il figlio omonimo, uno sciupa femmine. E da qui inizia il declino, in modo subdolo, un po’ alla volta.
Ignazziddu sposerà Franca. Ma lui non sa come si fatica, non sa il valore dei soldi. Spende, spende e consegna al mare l’impero costruito dal padre, come nave senza timoniere. E sarà l’inizio della fine.

Bello il riferimento a Falcone e Borsellino e alla mafia.

In breve: La parabola discendente di una famiglia in rapida ascesa.
Bello, bello, bello!
Ho sottolineato tantissimo. Una storia di ricchezza, ma anche di declino. Passioni, tradimenti, orgoglio, il ruolo delle donne, i lutti, tanti, troppi, e l’amore.

Su Goodreads
https://www.goodreads.com/review/show/4147747212
21 views17:02
Aprire / Come
2021-08-04 10:53:02 L’amico Petrocchi: «Ha celebrato il popolo come nessun altro»
Francesco Musolino
Il Messaggero
04.08.2021

#diVisteERiviste gentilmente concesse dal giornalista e amico Francesco Musolino

«Antonio è stato un mio compagno alla Sapienza. Lui del ’50, io del ’71 eppure seguivamo gli stessi corsi di Lettere». Pochi minuti dopo la notizia della scomparsa di Pennacchi, raggiungiamo al telefono Stefano Petrocchi, direttore della Fondazione Bellonci e segretario del comitato direttivo del premio Strega che non nasconde il proprio sgomento e afferma: «Sono molto scosso, più passano i minuti e più accuso il colpo. Antonio era un amico vero, è sempre stato legato al Premio Strega e quest’anno avrebbe anche voluto tornare in corsa per provare il bis dopo la vittoria del 2010 con Canale Mussolini».

Com’è stato essere compagni di corso con Pennacchi?
«Pennacchi era già Pennacchi, ancor prima di diventare un autore di culto. Si iscrisse all’università a quarant’anni mentre io ero solo all’inizio dei miei studi e adesso, ricordo con un sorriso la sua mano perennemente alzata durante la lezione, talvolta per chiedere chiarimenti e tante altre volte, per contestare le affermazioni dei vari docenti con cui si confrontava con rispetto ma a viso aperto».

E poi?
«L’ho ritrovato come autore de Il Fasciocomunista nel 2004. Organizzammo una presentazione a Lecce e poi nel 2010, quando trionfò, veniva da un doloroso post-operatorio e sentiva la fatica anche emotiva di aver scritto un libro che considerava un tributo ad un’intera comunità, raccontando una saga familiare, celebrando la nascita delle città di fondazione di Latina e dintorni».

Il suo percorso politico fu unico?
«Certamente. Ma ciò che interessa ai lettori è il mondo che fu capace di ricreare con le sue pagine, dando vita al protagonista idiosincratico ed imprevedibile, fondamentalmente anarchico del Fasciocomunista».

Cosa rese unico Pennacchi?
«Nessuno come lui ha celebrato la nozione di popolo. Lui ha saputo raccontarlo davvero, ha saputo farlo, dando vita ad un proprio stile ed una lingua, un dialetto vivace e composito. Ciò che dobbiamo ammettere con candore e con dolore è che oggi, sulla scena letteraria, non c’è nessun altro come Pennacchi e i lettori, come i suoi amici e colleghi, sentiranno la mancanza di quella sua voce inconfondibile».

Pochi giorni dopo Calasso, scompare un altro pezzo di storia italiana?
«È dolorosamente vero. Si respira la fine di un’epoca culturale. Pennacchi ha raccontato storie del Novecento ma l’ha fatto nei giorni nostri e in una forma attualissima, fuori dal tempo».

La vittoria dello Strega cosa significò?
«Tantissimo. Antonio ha faticato tanto a farsi pubblicare, a molti editori ha mandato più volte il manoscritto con titoli diversi e non fidandosi delle spedizioni, lo portava a mano. La sua è una storia di uomo di talento e determinazione che non ha mai mollato la presa sino alla vittoria del Premio Strega. E quest’anno avrebbe voluto tornare in corsa con La strada del mare, desideroso di bissare il successo ma purtroppo le cose sono andate diversamente e adesso, resta soltanto tanta tristezza».
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