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Gli ultimi messaggi 62

2021-10-08 19:01:12 CINA E CARBONE: CONTRORDINE, COMPAGNI!

Don’t stop me now
Ieri Pechino ha ordinato alle sue imprese di aumentare la produzione di carbone. È l’ultimo atto di una crisi che dura ormai da almeno un mese, e che sta facendo rallentare in modo brusco la crescita della seconda economia del mondo.
Alle prese con una crisi energetica, a settembre oltre metà delle province cinesi ha dovuto imporre il razionamento dei consumi, e così molte industrie hanno più volte interrotto la produzione. Anche per questo, le previsioni per il terzo trimestre 2021 ipotizzano addirittura una crescita zero del PIL cinese. La fabbrica del mondo si è fermata?

A tutto carbone
Nel corso degli ultimi dodici mesi i prezzi del carbone termico in Cina sono quasi triplicati, passando da 550 a 1.550 yuan per tonnellata. E gran parte di questo aumento è avvenuta da agosto, rendendo quasi inevitabile che il governo cinese intervenisse.
Quella dal carbone è una dipendenza che Pechino non riesce a lasciarsi alle spalle. Ancora oggi quasi il 60% dell’energia in Cina proviene dal carbone (in Ue siamo all’11%). Questo a sua volta significa che di tutto il carbone che il mondo ha consumato nel 2020, più della metà (il 54%) è stata utilizzata da Pechino.
Quando il carbone scarseggia, la Cina compensa aumentando (e molto) gli acquisti di gas naturale. State pensando anche voi alle bollette di casa?

Clima incerto
Il segnale che la Cina (di gran lunga primo emettitore globale di CO2) sta dando al mondo è preoccupante: Pechino continua ad andare a carbone, e di alternative nel breve periodo se ne vedono poche. Anzi, il numero di centrali a carbone è in continuo aumento.
Non certo la politica più efficace per arrestare l’aumento delle emissioni cinesi entro il 2030 e raggiungere la “neutralità carbonica” entro il 2060, come promesso molte volte da Xi (l’ultima meno di un mese fa all'ONU).
Ma Pechino non è da sola: l’aumento dei prezzi dell’energia in Europa rimane in alto nelle agende dei governi, che temono proteste in stile “gilet gialli”. Purtroppo, a tre settimane dall’inizio di COP26, gli interrogativi sulla velocità (e sostenibilità) della transizione verde non fanno che moltiplicarsi.

Nell’ISPI Daily Focus di questa sera: Polonia, sfida all’Unione Europea. Su ispionline.it
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2021-10-07 19:09:23
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2021-10-07 19:09:18 SUMMIT UE-BALCANI: SOLDI E PROMESSE

Porta socchiusa
Fumata grigia per un nuovo allargamento dell’UE. Nel summit di ieri tra i leader europei e dei Balcani occidentali è stata ribadita la promessa, vecchia di decenni, di un futuro ingresso dei sei paesi balcanici nel blocco dei 27. Ma di tabelle di marcia o scadenze nemmeno l’ombra.
Von der Leyen ha dichiarato che la Commissione farà del suo meglio per far avanzare questo processo di adesione “senza il quale l’Unione Europea non è completa”. Ma anche la sola menzione della parola “allargamento” nel testo della dichiarazione finale dei leader è stata ferocemente dibattuta. Non era mai stata utilizzata a margine di questi summit: un piccolo passo avanti.

L’Unione dei veti
Anche così, quasi un terzo degli Stati Membri si oppongono all’entrata di uno o più paesi balcanici. In particolare, Francia, Paesi Bassi e Danimarca temono una ripetizione dei movimenti migratori interni all’UE seguiti all’adesione di Romania e Bulgaria nel 2007. La Bulgaria stessa chiude all’ingresso della Macedonia del Nord, con cui ha diatribe culturali e linguistiche. Mentre il Kosovo non è neppure riconosciuto come stato sovrano da cinque paesi UE.
Russia e Cina non restano però a guardare e stanno espandendo la propria influenza nei Balcani. Così, nonostante i veti, le prospettive di un futuro nell’UE devono essere tenute vive. E i paesi con candidatura in stallo ricompensati: 30 i miliardi di euro promessi dalla Commissione nei prossimi sette anni.

L’esercito mai NATO
Negli anni Novanta, le guerre nell’ex Jugoslavia misero in luce l’assenza di “autonomia strategica” dell’Unione in politica estera, sollevando la questione della necessità di un esercito europeo. A distanza di quasi 30 anni, ieri la discussione è tornata centrale nel dibattito tra i leader europei, dopo che la crisi afghana ha ribadito gli stessi problemi di allora.
Pochi i progressi, molte le divisioni per un risultato anche in questo caso inconcludente. Per creare un'illusione di consenso, si è concordato per un approccio antitetico: ridurre la dipendenza dagli alleati ma rafforzando la partnership con la NATO. A Borrell il compito di redigere una “Bussola Strategica” sulla politica estera UE basata su questa linea guida. Buona fortuna.

Nell’ISPI Daily Focus di questa sera: Un vaccino contro la malaria. Su ispionline.it
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2021-10-06 19:00:53
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2021-10-04 18:59:57
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2021-10-04 18:59:52 PARADISI FISCALI: IL VASO DI PANDORA

Fughe esplosive
12 milioni di documenti, di cui 1,2 milioni di email e mezzo milione di fogli di calcolo. Questi i file alla base dei Pandora Papers: al loro interno informazioni fiscali e finanziarie sugli affari di oltre 300 funzionari governativi e 35 capi di stato o governo attuali e passati. Tra loro anche l’ex premier britannico Blair, l’attuale premier ceco Babiš e il presidente cileno Piñera.
Quello di oggi è solo l’ultimo di una serie di leak alla base di scandali fiscali succedutisi negli ultimi anni, dai Panama Papers del 2016 ai Paradise Papers del 2017. Ma è anche la fuga di documenti più grande – e, forse, scottante – di sempre.

Paradiso perduto
Ogni anno i governi mondiali perdono tra i 400 e gli 800 miliardi di dollari a causa di evasione ed elusione che passano dai paradisi fiscali. E il ruolo dei soli territori d’oltremare del Regno Unito, come le isole Cayman, è spropositato: una serie di isolette che formano lo 0,01% della superficie terrestre è responsabile del 33% delle perdite di entrate fiscali globali.
Adesso alcune ripercussioni politiche delle rivelazioni contenute nei Pandora Papers potrebbero essere rapide. Venerdì si vota in Repubblica Ceca, e il premier uscente Babiš (tra le persone più ricche del paese) è accusato di aver usato società fantasma per comprare proprietà all’estero. Ma non sono solo le elezioni in Europa centrale a preoccupare.

Tassa globale, quo vadis?
Alcuni dei leader tirati in ballo dai “Papers” sono tra quelli che presto dovranno dare il loro imprimatur formale alla tassa minima globale sulle multinazionali. A luglio era arrivato un primo okay dei ministri finanziari del G20, e si attende adesso il G20 italiano del 30-31 ottobre tra capi di stato e di governo per la ratifica definitiva.
Sull’onda dell’entusiasmo, i leader Ue avevano sospeso i loro progetti per una tassa europea sulle multinazionali digitali (che la Francia invece mantiene tutt’oggi). Ma tra i 27 ci sono posizioni più fredde di altre, come quelle di Irlanda e Cipro, che da sempre sfruttano il regime di tassazione per attrarre imprese e capitali. I Pandora Papers convinceranno anche gli ultimi scettici?

T20 Summit 2021: Il G20 dei think tank per ripensare il futuro è in diretta streaming da oggi al 6 ottobre dalle 14.00 alle 17.00. Seguilo anche domani e dopodomani a questo link: https://events.ispionline.it/en/t20-summit/
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2021-09-29 19:05:13 EGITTO, ZAKI: LIBERTÀ RIMANDATA

L’udienza è tolta
Ventidue mesi: è il tempo che sarà trascorso dal suo arresto quando, a dicembre, riprenderà il processo in Egitto contro Patrick Zaki. Ieri il giudice ha “concesso” un rinvio affinché l’avvocata di Zaki potesse studiare gli atti del processo. Un rinvio molto lungo, che Amnesty International considera una “punizione”.
Zaki, cittadino egiziano di religione copta che stava studiando a Bologna prima di essere arrestato di ritorno in Egitto, è accusato di “diffondere false informazioni” per un articolo sulle condizioni dei copti nel paese, ma anche di “istigare al rovesciamento dello stato”.

Emergenza infinita
Zaki rischia dai cinque anni all’ergastolo. Il suo giudice è stato nominato dal presidente, Abdel Fattah al-Sisi. Come se non bastasse, per Zaki non ci sarà la possibilità di ricorrere in appello. Lo prevede lo stato di emergenza, cui l’Egitto di al-Sisi fa sempre più ricorso.
Dal 2017 lo stato di emergenza è stato rinnovato a ogni scadenza, aggirando il limite semestrale previsto dalla Costituzione. D’altronde per l’Egitto si tratta quasi di una “tradizione”: dal 1981 lo stato di emergenza è sempre rimasto in vigore, salvo una breve parentesi tra il 2012 e il 2017.
La pandemia ha offerto la sponda per ulteriori giri di vite: da maggio dell'anno scorso la legge consente per esempio la detenzione indefinita dei sospettati. Non è un caso se un terzo delle carceri egiziane sono state costruite sotto la presidenza al-Sisi.

Egitto-Europa: se vince la realpolitik
Diritti umani e democrazia non sono gli unici motivi per cui le relazioni tra Europa ed Egitto continuano a essere complicate. Da un lato, i governi europei leggono il pugno di ferro di al-Sisi contro islamisti e “terroristi” come fattore di stabilità regionale. Dall’altro sanno che il suo aperto sostegno al generale Haftar, in Libia, ha contribuito a perpetuare la guerra civile e a mettere a rischio le fragili tregue.
Anche per l’Italia la partita è complessa. Dalla vicenda Regeni (2016) a oggi, Roma resta il primo importatore europeo di prodotti egiziani. E le grandi scoperte di giacimenti di gas sembrano cruciali soprattutto oggi, con i prezzi dell’energia alle stelle. Basterà questo a fare del Cairo un partner “inevitabile”?

Nell’ISPI Daily Focus di questa sera: Il Giappone ha scelto il suo nuovo premier. Su ispionline.it
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2021-09-28 19:20:11
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2021-09-28 19:20:06 CINA: I COSTI DELLA DE-CARBONIZZAZIONE

Working in the moonlight
Crisi energetica in Cina. Nel nord-est del paese, una crescente scarsità di energia ha fermato la produzione di numerose fabbriche, tra cui fornitori di Apple e Tesla, e potrebbe causare un calo del 2% nella crescita del PIL nazionale nel quarto trimestre. Alcuni negozi lavorano a lume di candela, e ai cittadini è stato chiesto di limitare l'uso di scaldabagni e forni a microonde.
Una carenza energetica che rispecchia, come in Europa e altrove, l’incapacità di rispondere al rapido aumento della domanda globale di materie prime dopo le chiusure indotte dalla pandemia. Ma anche l’agenda ambientale di Pechino ha la sua parte di responsabilità.

Domanda e offerta
Xi Jinping vuole assicurare cieli blu alle Olimpiadi invernali di Pechino 2022 e intende mantenere fede agli impegni presi sulla de-carbonizzazione dell’economia. Ma solo 10 delle 30 regioni della Cina continentale hanno raggiunto gli obiettivi di riduzione energetica previsti per quest’anno. Così, di fronte alla prospettiva di un fallimento, i funzionari locali hanno limitato la produzione di carbone.
Intanto, però, con l'aumento degli ordini da oltreoceano e il rimbalzo economico del paese la domanda di carbone è salita a livelli record e con essa i suoi prezzi. Ma poiché il governo mantiene bassi i prezzi dell’elettricità, alcune centrali hanno scelto di funzionare al di sotto della piena capacità per evitare di perdere più soldi.

Winter is coming
Il caso cinese è solo l’ultimo di una lunga serie. Se la Cina lotta per la mancanza di carbone, l’Europa si affanna per il gas russo e paesi OPEC come Nigeria e Angola faticano a tenere il passo con la domanda di petrolio. Con l’arrivo dell’inverno nell'emisfero settentrionale, questa congiuntura rischia così di far deragliare la ripresa economica globale e di alimentare l’inflazione.
Per molti governi, i combustibili fossili tornano dunque a essere una opzione valida e i loro prezzi si impennano: il greggio è sopra quota 80 dollari al barile dopo 3 anni. Una scelta che inevitabilmente mina gli ambiziosi obiettivi green che molti paesi si erano dati. A un mese dalla COP26 il dibattito sui costi della transizione energetica non è mai stato così attuale.

Nell’ISPI Daily Focus di questa sera: Tra Kosovo e Serbia è guerra di targhe. Su ispionline.it
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2021-09-27 19:30:24 UK: LA LUNGA SCIA DELLA BREXIT

AAA camionisti cercasi
10 mila visti temporanei di tre mesi a lavoratori stranieri. Questa la mossa di Boris Johnson per contrastare la carenza di 100 mila camionisti e di migliaia di lavoratori nelle fabbriche di carne. Brexit ha reso più difficile l’assunzione di cittadini europei e con la pandemia molti lavoratori stranieri sono tornati nei loro paesi d’origine.
In mancanza di manodopera in questi e altri settori essenziali, il rischio è che le interruzioni della catena di approvvigionamento di questi mesi si estendano alla stagione dei consumi natalizi, rallentando la ripresa economica. Viene così meno una delle promesse cardine della Brexit: la fine dell’eccessivo affidamento sulla forza lavoro straniera a basso costo.

Brexit means Brexit?
Da mesi i supermercati faticano a rifornirsi di beni primari e molti scaffali rimangono vuoti. Una situazione di emergenza a cui si è aggiunta la mancata distribuzione di carburante: in alcune aree tra il 50% e il 90% delle pompe nelle stazioni di servizio sono restate a secco questo fine settimana nonostante i tentativi di razionamento.
Già due settimane fa Downing Street ha così annunciato lo slittamento da ottobre a metà 2022 dell’inizio dei controlli sulle merci dell'UE che entrano nel Regno Unito. Se con Brexit il Regno Unito puntava a riprendere il controllo dei propri confini, al momento gli unici controlli in vigore sono quelli europei sulle esportazioni britanniche verso l'UE.

Global Britain: lavori in corso
Londra vorrebbe ora riscrivere il protocollo sull’Irlanda del Nord: pensato per preservare gli Accordi del Venerdì Santo, obbliga però le merci in arrivo a Belfast a passare sotto una moltitudine di passaggi doganali, causando ulteriori ritardi nell’approvvigionamento. Una prospettiva non gradita dall’UE ma neanche da Biden, che la scorsa settimana ha anche congelato le prospettive di un accordo commerciale USA-UK.
In mancanza di una sponda oltreoceano, il futuro commerciale del Regno Unito passa ancora una volta dal dialogo con Bruxelles. Lo ha capito anche BoJo che ha infatti subito tentato di ricucire con i francesi, infuriati per l’accordo AUKUS sui sottomarini. La strada per una normalizzazione delle relazioni con l’Europa resta però lunga, e al momento la “Global Britain” resta ancora una “European Britain”.

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