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Gli ultimi messaggi 60

2021-12-10 20:37:34 USA: SUMMIT “FOR DEMOCRACY” O “FOR BIDEN”?

Benvenuti nel club
Si è chiuso oggi il Summit per la Democrazia indetto da Biden. Due giorni di incontri virtuali tra 110 leader mondiali per tracciare un'agenda collettiva incentrata su lotta alla corruzione, sfida all’autocrazia e promozione dei diritti umani. L’evento era uno degli appuntamenti cardine dell’agenda di Biden, che vorrebbe renderlo annuale per rilanciare il ruolo degli Stati Uniti come paladini della democrazia.
Non a caso gli USA hanno annunciato circa mezzo miliardo di dollari per sostenere la libertà dei media e garantire l’integrità delle elezioni a livello globale. Ma più degli impegni economici (che bisognerà far approvare dal Congresso) a far notizia (di un summit passato in sordina) è stata la lista dei paesi invitati.

Chi non è democrazia...
Il 30% dei paesi presenti al summit è etichettato come non democratico o solo parzialmente democratico dai principali indici. Mentre alle scontate assenze di Cina e Russia si aggiungono quelle meno facilmente spiegabili dei leader democraticamente eletti di Bolivia e Bangladesh.
Manca anche l’Ungheria, autodichiaratasi “democrazia illiberale”, ma c’è la Polonia, il cui governo sembra essersi avviato sulla stessa china di Budapest. Varsavia però è anche un partner strategico per gli USA di fronte alle crescenti pressioni russe (tra cui la recente mobilitazione di truppe al confine con l’Ucraina). Insomma, la scelta dei partecipanti sembra essere dettata più dagli interessi geopolitici dell’America che da un giudizio “oggettivo” sullo stato della democrazia in ciascun paese.

… scagli la prima pietra
Oltre a snobbare Pechino, al summit Washington ha invitato alcuni funzionari di Taiwan. Anche per questo, settimana scorsa la Cina ha indetto un proprio "dialogo” sulla democrazia. Politici e studiosi provenienti da 120 paesi hanno discusso del sistema politico cinese, celebrato come una forma peculiare di democrazia, migliore di quella occidentale in quanto più efficiente.
Difficilmente i manifestanti di Hong Kong sarebbero d’accordo, ma la narrazione tocca un nervo scoperto quando denuncia le difficoltà del sistema democratico americano. È passato quasi un anno dalle vicende di Capitol Hill. Un anno contraddistinto dalla paralisi politica del Congresso, mentre 19 stati varano leggi potenzialmente dannose per l’accesso al voto delle fasce più povere della popolazione.
La democrazia americana è veramente nella posizione di salvare la democrazia nel mondo?

Nell’ISPI Daily Focus di questa sera: Dilemma ucraino. Leggilo qui: https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/dilemma-ucraino-32632
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2021-12-09 20:11:04
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2021-12-09 20:10:58 ZAKI LIBERO, L’EGITTO NO

Le ali della libertà (provvisoria)
Libero dopo 668 giorni. Tanto è durata la detenzione preventiva per Patrick Zaki, lo studente egiziano dell’università di Bologna, arrestato in Egitto il 7 febbraio 2020 e scarcerato solo ieri. Ma scarcerazione non vuol dire assoluzione: sul giovane pendono ancora cinque accuse, tra cui quelle di minaccia alla sicurezza nazionale e propaganda per il terrorismo, che potrebbero costargli fino a 25 anni di prigione.
La sua colpa? Aver potenzialmente scritto (ma la difesa smentisce) un articolo critico verso il governo egiziano per il trattamento riservato alla comunità cristiana copta. La prossima udienza è fissata per il primo febbraio, quando Zaki sarà giudicato da un giudice nominato dallo stesso presidente al-Sisi, senza la possibilità di ricorrere in appello.

Il deserto dei diritti
Secondo gli avvocati di Zaki, la polizia egiziana lo ha sottoposto a torture subito dopo l’arresto. Per mesi gli era stata poi negata la possibilità di comunicare con l’esterno e di ricevere cure mediche. Come Zaki ci sono altri 60mila prigionieri politici in Egitto che, in virtù della legge approvata a maggio 2020, possono essere detenuti indefinitamente anche se solo sospettati.
Al-Sisi ha promesso a fine settembre delle riforme per salvaguardare i diritti civili e politici. Difficile però dargli credito: l’Egitto è il terzo paese al mondo per numero di giornalisti incarcerati e negli ultimi sette anni sono più di mille i presunti oppositori misteriosamente scomparsi (tra cui Giulio Regeni).

Pecunia non olet?
Dietro alla svolta annunciata da al-Sisi ci sono, forse, lo zampino americano e le pressioni italiane. Washington ha condizionato l’esborso di 130 milioni di dollari in aiuti militari per l’Egitto al miglioramento dei diritti umani nel paese. Ma a guardare bene si tratta solo del 10% del totale degli aiuti che gli Stati Uniti forniscono al Cairo ogni anno.
L’Egitto nonostante tutto resta un partner commerciale e strategico indispensabile per gli USA, che possono fare la voce grossa fino a un certo punto. E lo stesso dicasi per l’Italia: il Cairo è il secondo importatore di armi italiane ed il secondo produttore di gas in Africa, anche grazie ai giacimenti a gestione italiana. Per cui bisogna ricorrere a vie diplomatiche trasversali. Basteranno per evitare a Zaki la galera?

Nell’ISPI Daily Focus di questa sera: Germania, inizia l’era Scholz. Leggilo qui: https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/germania-inizia-lera-scholz-32593
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2021-12-06 20:23:13
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2021-12-06 20:23:07 EUROPA E MIGRANTI: I SOMMERSI E I SALVATI

“Naufragio di civiltà”
Sono le parole usate da Papa Francesco ieri sul’isola di Lesbo per descrivere l’Europa di fronte ai migranti. Circa 3.000 richiedenti asilo, in maggioranza afghani, sono ospitati nei centri di accoglienza dell’isola. Certo, chiamarli così oggi è esagerato: dopo l’incendio del campo di Moria a settembre dell’anno scorso, non restano che tende.
L’incendio ha convinto il governo greco ad accelerare i trasferimenti di migranti verso la terraferma. Tuttavia in migliaia restano lì, per mesi, come monito per chi ancora volesse raggiungere l’Europa. Anche per questo, gli sbarchi sulle isole greche sono crollati. Ma per una rotta irregolare che si chiude, altre tornano ad aprirsi.

Divieto d’accesso?
Non esattamente. Il 2021 sarà il primo anno dal 2015 in cui le migrazioni irregolari dal Mediterraneo verso l’Europa torneranno a crescere: da 95.000 sbarchi nel 2020 a 120.000 quest’anno. L’85% di loro arriva dall’Africa, e nel 2021 in Europa più di un migrante sbarcato su due è arrivato sulle coste italiane.
Sono tutti indizi di trend di lungo periodo: dopo essere già raddoppiata tra il 1990 e il 2015, la popolazione africana raddoppierà ancora entro il 2050, raggiungendo i 2 miliardi di abitanti. Il Pil pro capite della regione resta ancora 15 volte più basso di quello europeo. Per questo, anche se solo il 2% degli africani lascia il proprio paese, è inevitabile che le migrazioni verso l’Europa aumentino.

Giochi senza frontiere
“Da soli non possiamo controllare i flussi migratori”, ha detto Draghi venerdì ai Rome MED Dialogues organizzati da ISPI e MAECI. Una frase che ci riporta indietro di diversi anni e ci fa capire come i progressi in questo campo siano stati quasi nulli. In effetti, con gli sbarchi che tornano a crescere, l’Ue si ritrova senza una politica migratoria coerente, e con governi che guardano ai “muri” come unica opzioni percorribile.
Lo hanno capito soprattutto fuori dall’Europa, tanto che c'è ormai chi utilizza apertamente le vite dei migranti in un “gioco” politico fatto di ricatti e compromessi. Dalla Turchia al Marocco fino addirittura alla Bielorussia. Con l’arrivo dell’inverno, i paesi europei avranno qualche mese per rifiatare. Ma è inevitabile: sul fronte migrazioni, il 2022 si preannuncia molto “caldo”.

Riascolta il discorso del Presidente del Consiglio Mario Draghi all’apertura dei Rome MED Dialogues 2021: https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/una-visione-condivisa-il-mediterraneo-il-discorso-di-draghi-med-2021-32527

Nell’ISPI Daily Focus di questa sera: Biden a Putin, “Dobbiamo parlare”. Leggilo qui: https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/biden-putin-dobbiamo-parlare-32578
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2021-12-03 21:30:12
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2021-10-28 19:21:13 IRAN E NUCLEARE: NEGOZIATO 2.0?

A volte ritornano
Entro dicembre l’Iran intende riprendere i negoziati sul suo programma nucleare: lo ha annunciato il viceministro degli Esteri iraniano, Ali Bagheri Kani. Dopo l’uscita di Trump dall’accordo JCPOA nel 2018, i negoziati erano stati riavviati (anche se solo informalmente) a inizio anno da Biden per poi essere nuovamente sospesi a metà giugno, dopo l’elezione del nuovo presidente iraniano Ebrahim Raisi.
Ancora lunedì scorso, in uno scambio polemico che dura da mesi, l’inviato speciale Usa per l’Iran Robert Malley aveva ribadito che se le trattative a Vienna dovessero fallire gli Stati Uniti userebbero anche "altri strumenti" per impedire all'Iran di acquisire armi nucleari.

Benzina per i negoziati
Se il cambio di amministrazione americana ha chiuso la stagione dello scontro più duro con Washington, l’elezione di Raisi (un hardliner sostenuto dalla Guida suprema Ali Khamenei, ostile a qualsiasi dialogo con gli Usa) aveva fatto temere il peggio.
In realtà erano comunque in molti a pensare che, se non per ragioni ideologiche, l‘Iran sarebbe tornato al tavolo negoziale quantomeno per motivi economici. L’inflazione ufficiale continua a galoppare (+40%) e, sul dollaro, il rial iraniano oggi vale un ottavo rispetto al 2015, l’anno dell’accordo sul nucleare.
Insomma, forse era solo una questione di tempo, necessario per permettere ai neoeletti ultraconservatori di “salvare la faccia”. Ma ad aiutare c’è anche il prezzo del petrolio, che per l’Iran conta per la metà delle entrate statali e di recente tornato sopra gli 80 dollari al barile. Che Teheran abbia deciso di negoziare ora per approfittare di una congiuntura meno sfavorevole?

Biden e UE: sospiro di sollievo?
Se confermata, la ripresa dei negoziati sarebbe un’ottima notizia. Ma in realtà la strada è ancora lunga e in salita. Basti pensare che solo a settembre, dopo un primo accordo che avrebbe consentito agli ispettori internazionali libero accesso ai siti nucleari, Teheran era rapidamente tornata sui propri passi.
Le prospettive si fanno ancora più grigie se consideriamo che Washington e Teheran restano su fronti opposti. Mentre l’Iran vorrebbe che la Casa Bianca sospendesse le sanzioni come precondizione per negoziare, gli Usa chiedono maggiori certezze prima di discutere di sanzioni.
Insomma, senza un ulteriore sforzo, lo spiraglio appena aperto potrebbe chiudersi molto rapidamente.

Nell’ISPI Daily Focus di questa sera: Cop26, ultima chiamata. Leggilo qui: https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/cop26-ultima-chiamata-32152
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2021-10-27 19:23:00
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2021-10-27 19:22:56 CRISI ENERGETICA: NIENTE SCINTILLA TRA I MINISTRI EUROPEI

Sovranismo energetico
Nessuna cessione di sovranità in tema di energia. Questo il risultato del Consiglio dei Ministri europei dell’Energia di ieri, dove si sono discusse le misure per far fronte alla crisi energetica e prevenire possibili shock futuri.
Troppo forti le differenze tra i due fronti interni con Polonia e Spagna a chiedere interventi sovranazionali immediati, a cui si sono opposti i paesi del nord Europa secondo cui l'aumento dei prezzi dell’energia è temporaneo e affrontabile con politiche nazionali. E così niente contratti comuni sul gas a livello Europeo e si è aperto alla possibilità di un approvvigionamento congiunto di scorte di gas solo su base volontaria. Ma le spaccature sull’energia non si limitano a questo.

Nucleare my old friend
A dicembre la Commissione presenterà una nuova classificazione delle fonti energetiche passibili di investimenti verdi. Un’occasione per la Francia (70% dell’energia elettrica prodotta da centrali atomiche) che non a caso spinge per ottenere una “patente verde” per il nucleare così da rinnovare i propri reattori tramite i fondi del Green Deal Europeo.
Di parere opposto invece la Germania che dopo il disastro di Fukushima ha avviato la denuclearizzazione del proprio settore energetico e vorrebbe favorire altre fonti energetiche. I segnali degli ultimi giorni sembrano andare nella direzione sperata da Parigi con von der Leyen che ha riconosciuto “l’importanza per il mix energetico di nucleare e gas naturale come fonti di energia stabili”. Insomma un’Europa verde ma fino a un certo punto.

Crisi passeggera?
Negli ultimi venti giorni i ministri europei si sono incontrati “a vuoto” cinque volte. Intanto il prezzo del Brent in Europa tocca i suoi massimi degli ultimi 3 anni. Mentre quello del gas naturale segna un +400% da inizio anno complici le forniture ancora basse dalla Russia (-16% nei livelli di stoccaggio europei rispetto alla media degli anni passati).
Il dilemma che Stati Membri e Commissione si trovano ora davanti è lo stesso che caratterizzerà il G20 di questo fine settimana: fino a che punto si può fare a meno dei combustibili fossili? Dalla risposta a questa domanda non dipenderà però solo l’ammontare del caro-bollette ma il destino del pianeta.

Nell’ISPI Daily Focus di oggi: Sudan, ‘geopolitica’ del golpe. Su ispionline.it
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2021-10-21 19:00:26
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