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Ex Caserma Liberata

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Gli ultimi messaggi 16

2021-12-10 12:47:22 ore 9:00 PRESIDIO
alla fabbrica della morte Leonardo Fincantieri
Strd provinciale GROTTAGLIE Monteiasi, 83/84, 74023 Monteiasi TA
Dalle 18 EX CASERMA LIBERATA (BARI) proiezione!
a seguire, incontro con:
A Foras – Contra a s’ocupatzione militare de sa Sardigna
Rete Kurdistan Puglia
In collegamento web
Pippo Guerrieri – Movimento No Muos
Brusca – Rete Internazionale Per La Difesa Del Popolo Mapuche - Italia
Presentazione opuscolo traffico di morte fra Italia e Chile
CONCERTO CON:
No War Poets (SlammalƧ - Poetry Slam Puglia & Brigate Poeti Rivoluzionari)
PIPPOP Rap hardecore
CUBA CABBAL & DJ ELLEP
Dal Medio Oriente al Sud America lì dove c’è un genocidio in atto, una guerra di sterminio le armi sono italiane. Dittature e imperi mascherate da democrazie reprimono nel sangue e con le bombe le popolazioni che vogliono autodeterminarsi secondo schemi sociali e politici che non sfuggono o molto spesso aborrono il modello capitalista. D’altra parte estrattivismo selvaggio e accaparramento delle risorse energetiche quotidianamente stravolge gli scenari di geopolitica mondiale generando guerre imperialiste più o meno riconosciute come tali. La ricaduta di questa corsa agli armamenti globali non riguarda soltanto paesi lontani dalla nostra esistenza ma permea le nostre vite sin nel quotidiano. Lo sfruttamento selvaggio di enorme aree del pianeta e continue guerre e bombardamenti troppo spesso sui centri abitati e civili inermi, spingono alla fuga per la sopravvivenza milioni di persone creando così catastrofi umanitarie. Inoltre, come confermato da dati ufficiali, la spesa italiana per armamenti si attesta a 24,97 miliardi di euro nel 2021. Un aumento “complessivamente significativo” dell’8,1% rispetto al 2020 e del 15,7% rispetto al 2019. E tutto questo nonostante l’emergenza pandemica tutt’ora in corso e la carenza, o in molte zone del nostro paese totale assenza, di strutture ospedaliere , medici e operatori sanitari, sufficienti e idonei ad arginare la pandemia. Da questa piaga distruttiva non ne resta fuori nessuno ne persone, né tantomeno flora, fauna e biodiversità dei territori. Negli ultimi decenni è divenuta prassi consolidata la militarizzazione di aree destinate alla devastazione ad opera di multinazionali estrattiviste a cui lo stato italiano mette a disposizione soldati e armamenti di fatto pagati con le nostre tasse. Siccome morte chiama morte assistiamo alla distruzione sistematica e perpetrata negli anni di aree uniche al mondo per biodiversità trasformate in poligono di tiro e campi per le esercitazioni che avvelenano non solo le falde acquifere ma ogni forma di vita e coloro che si oppongono a a tale scempio vengono bollati come terroristi e costretti a subire una persecuzione giudiziaria, economica, carcere e privazioni delle libertà individuali di ogni tipo.
"Mentre contestiamo la politica di produzione e vendita di armi da parte di Leonardo (che, ricordiamo, è un'azienda a controllo pubblico), esprimiamo piena solidarietà ai lavoratori e alle lavoratrici di Leonardo in mobilitazione in questi giorni a difesa del proprio posto di lavoro, messo in pericolo da un'azienda che mentre aumenta i suoi profitti nel settore della produzione militare, fa pagare ai lavoratori e alle lavoratrici la scelta di basare la produzione dello stabilimento di Grottaglie solo sulla commessa per le fusoliere di Boeing.
Bisogna riconvertire tutte le produzioni di armi in produzioni civili e differenziare la produzione dello stabilimento di Grottaglie, in modo da non dipendere da un unico committente e per un solo tipo di prodotto.
Lottiamo anche contro le servitù mitari nel nostro territorio e contro la presenza della base della marina militare a Grottaglie, che costituisce l'ostacolo più grande ad ogni possibile ipotesi di apertura dell'aeroporto ai voli civili".
Rete Kurdistan - Puglia, A Foras, Brigate Poeti Rivoluzionari, Sinistra Anticapitalista Taranto, ARCI Grottaglie, Rete Internazionale Per La difesa Del POpolo Mapuche - Italia
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2021-12-10 12:47:18
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2021-12-06 22:35:08 “ALEXIS, QUESTE NOTTI SONO TUE!” IN MEMORIA DI ALEXANDROS, UCCISO A 15 ANNI DALLA POLIZIA AD ATENE IL 6 DICEMBRE 2008

“Ricordo tre colpi di pistola. Mi girai e vidi Alexandros cadere dopo il primo o il secondo colpo. Sicuro prima del terzo. Dopo i miei ricordi diventano confusi. Ricordo le urla, la gente che si avvicina, qualcuno alza la maglietta di Alexandros. Aveva un buco nel petto, usciva sangue. I poliziotti che avevano sparato, nel frattempo, si erano dileguati. Arrivò l’ambulanza e raccolse Alexandros, ormai morto. Dalla sua bocca usciva del sangue.”
Nikos Romanos era in compagnia di Alexandros Grigoropoulos quella sera. Era il dicembre del 2008, un periodo molto delicato per la Grecia in piena crisi economica, i nervi erano tesi e una scintilla sarebbe bastata a scatenare una rivolta. Quella scintilla fu proprio l'omicidio di Alexandros, detto Alexis o Gregory, un quindicenne come tanti, un ragazzo che stava vedendo il suo futuro divorato da un sistema economico iniquo.
I ragazzi si trovavano nel quartiere ateniese di Exarcheia quando la loro attenzione venne attirata da urla e rumori provenienti da una strada poco lontana. Si ritrovarono nel mezzo di un confronto tra un gruppo di giovani e due poliziotti, Epaminondas Korkoneas e Vassilios Saraliotis che, non appena li videro, iniziarono ad insultarli pesantemente, sempre secondo la testimonianza resa successivamente da Nikos. Qualcuno dalle loro spalle tirò improvvisamente una bottiglia di plastica vuota in direzione dei poliziotti: nel giro di pochi, brevissimi istanti, uno di loro estrasse l’arma e fece fuoco. Tre colpi dei quali almeno uno tolse la vita ad Alexandros.
Quella scintilla portò Atene e la Grecia intera ad un’insurrezione come non si vedeva da tempo. La sera stessa, non appena si sparse la notizia della morte di Alexis, centinaia di giovani scesero in strada e si scontrarono con le forze dell’ordine. Col passare dei giorni le proteste aumentarono di intensità fino al 20 dicembre. Decine di migliaia di giovani chiedevano giustizia per Alexis e una società diversa in cui vivere. Vi erano ragazzini di 12 anni che fronteggiavano le forze di polizia greche con le parole e con le pietre, al grido di “assassini schifosi”. Le violenze, come detto, durarono per circa due settimane e misero a ferro e fuoco il centro di Atene. Circa due anni dopo, nell’ottobre del 2010, Koroneas verrà condannato all’ergastolo e Saraliotis a 10 anni di carcere. La memoria di Alexis è ancora vivissima a Exarcheia e in tutta la Grecia.
Lo ricordano i ragazzi di ieri e di oggi, e lo ricordano quei graffiti risalenti a quelle notti di fuoco: “Alexis, queste notti sono tue”.
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2021-12-05 19:25:52 Internazionalista bandita dalla Germania per 20 anni per il suo attivismo in solidarietà con il movimento di liberazione curdo

Marìa, un'internazionalista che da diversi anni viveva in Germania, è stata costretta a lasciare il paese, dove non potrà rientrare per 20 anni a causa del suo attivismo in solidarietà con il movimento di liberazione curdo.

Secondo la Germania, Marìa non avrebbe motivi chiari per i quali stare all'interno del paese (né familiari né economici) se non il suo attivismo con il movimento di liberazione curdo. Per questo è accusata di essere in contatto con il PKK e di rappresentare un pericolo per il paese.

Per la prima volta, la Germania emana un divieto di questo tipo nei confronti di una cittadina europea sulla base del suo attivismo in connessione con il mondo curdo. In questo modo, istituisce un precedente e condanna non solo Marìa, ma tutte le donne che si muovono in solidarietà con il movimento di liberazione curdo.

Qui un comunicato di Women Defend Rojava che spinge a non far passare sotto silenzio questa vicenda: https://bit.ly/3dmaNRb
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2021-12-05 19:25:46
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2021-12-05 15:44:29 UNA FIAMMATA NELLA NOTTE E POI QUELL'URLO: "NON VOGLIO MORIRE". UN RICORDO DEGLI OPERAI DELLA THYSSENKRUPP BRUCIATI VIVI A TORINO 13 ANNI FA

Morirono lentamente. Tutti. Gli operai come la fabbrica.
La Thyssenkrupp di Torino era uno stabilimento sul viale del tramonto. Negli anni la produzione era scesa costantemente. Erano rimasti 200 dipendenti nel dicembre 2007, erano il doppio solo due mesi prima. L'impianto avrebbe cessato di funzionare nel giugno dell'anno successivo. Lo farà con 6 mesi di anticipo. Lo farà portando via con sé le vite di 7 operai. Rocco, Antonio, Roberto, Angelo, Bruno, Rosario, Giuseppe. Vite che si spegneranno, lentamente, da poche ore ad alcune settimane dopo l'incidente. Non aveva lasciato scampo quella fiammata fortissima, resa implacabile dalle perdite d'olio e dalla pressione che travolse gli operai che lavoravano alla linea 5.
Era il turno notturno allo stabilimento in quella notte tra il 5 ed il 6 dicembre 2007. Perché sebbene l'impianto stesse chiudendo, di lavoro ve ne era, e anche parecchio, tant'è che alcuni di loro stavano affrontando turni massacranti. Diventeranno vittime di una tragedia del lavoro come poche altre.
Tragedia.
Può essere chiamata così anche quando i sistemi di sicurezza non funzionano? Quando gli estintori sono scarichi? Quando si vieta di interrompere la produzione in caso di piccoli incidenti per non rovinare l'acciaio in lavorazione? Si sa, la linea 5 chiuderà a breve, manutenzionare gli estintori e tutti gli altri dispositivi di sicurezza sarebbe una spesa poco oculata. Il benessere degli operai è una voce che non conta nella contabilità aziendale. Ciò nonostante la proprietà nega la propria responsabilità, parla di errore degli operai, poi di fatalità. "Se gli estintori avessero funzionato non sarebbe successo nulla" dirà l'unico superstite dell'incidente, Antonio Boccuzzi.
Altrettanto poco gradite saranno le lamentele delle famiglie di quegli operai, bruciati vivi e morti tra sofferenze indicibili. L'AD della Thyssen, Espenhahn, non era felice del rapporto che fece al riguardo l'operaio Boccuzzi. Raccontava quegli attimi di terrore, raccontava la sofferenza dei suoi colleghi, quell'urlo "Non voglio morire" che riecheggiò durante una delle tante telefonate effettuate quella notte. L'AD pensò di procedere con azioni legali contro l'operaio.
Nel frattempo, in questi 13 anni si sono susseguiti i processi a carico degli imputati, dai responsabili della sicurezza e dello stabilimento fino ai vertici della Thyssenkrupp, a partire dallo stesso Espenhahn. Processi che termineranno con la condanna di tutti i colpevoli a pene dai nove ai tre anni.
I dirigenti tedeschi dell'azienda, però, non hanno ancora scontato un solo giorno di carcere, essendo residenti in Germania, protetti dalle leggi sull'estradizione, dalla burocrazia e da un sistema che protegge e garantisce il profitto di pochi a scapito della salute e della vita stessa degli operai.
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2021-12-05 15:44:29 Per non dimenticare quanto il benessere degli/delle operai* sia una voce in secondo piano rispetto l economia e i piani aziendali, oggi come ieri! Son sempre gli interessi economici a comandare , gli umani rimangono pedine da sfruttare finché rimangono in silenzio e succubi delle leggi di mercato. Nella società dell iper produzione, del consumo sfrenato, della guerra per il monopolio delle "risorse", ha più dignità un pezzo d acciaio della vita umana!
Il lavoro capitalista debilita gli umani
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2021-12-04 16:43:29 SULL’ESTRADIZIONE DI EMILIO: ULTIMI AGGIORNAMENTI

Ieri 3 dicembre si è scritta una delle pagine più infami della storia di Emilio.
Sveglia presto nel carcere di Torino, trasferimento, estradizione. Parole confuse che arrivano per competenza agli avvocati che informano i familiari.

E' dunque arrivato il richiamo del coloniale impero francese che voleva dentro le sue gabbie Emilio. Tragitto veloce verso Briancon e lì subito identificazione e "presa in possesso" del detenuto.
Come nei più macabri noir si corre verso Gap dove in poche ora incontra l'avvocato, si presenta al giudice istruttore e a seguire di fronte ad un collegio giudicante. Sarà a fine serata decisa la detenzione in carcere.

Sono passate neanche 12 ore dalla partenza e la Francia ha "bruciato" quello che in Italia avviene normalmente in 21 giorni.
Arresto, colloquio con avvocato, interrogatorio di garanzia, eventuale conferma dell'arresto e a seguire ricorso al tribunale delle libertà di fronte ad un collegio giudicante.

Stessa schifezza sia in Italia che in Francia se pensiamo alla figura di Emilio, a ciò di cui è accusato e al suo prodigarsi nel soccorso a questa umanità in fuga e in transito sulle nostre montagne.
Stridono però i tempi oltre il confine. In 12 ore si è impacchettato il tutto.

Una "farsa" recitata anche male di una decisione già presa da tempo, dal giorno in cui venne attivato con tanto livore e cattiveria il mandato di cattura europeo.
Ora Emilio è stato trasferito a Aix Luynes vicino Marsiglia, a 300 km da casa nel 3° carcere per importanza di Francia. La scelta della prigione aggiunge certezza a quanto detto prima.

Questa è la giustizia, che niente ha a che vedere con i Giusti e che oggi più che mai, con loro si scontra.

Emilio Libero! No all'estradizione!
Libertà per i/le No Tav!

(Seguiranno presto aggiornamenti per poter scrivere ad Emilio).
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2021-12-04 16:43:28
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2021-12-03 16:10:16 SABATO 11 DICEMBRE!

Dalle 18 proiezione!

a seguire, incontro con:

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Pippo Piacente – Movimento No Muos
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CUBA CABBAL

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