2022-07-30 14:24:55
La fine prematura dei social network (segue)
Mark Zuckerberg intende seguire questa strada, anzi ha detto che, entro il 2023, la società raddoppierà la quantità di contenuti raccomandati «
che rappresentano oggi il 15% dei contenuti su Facebook. Questa percentuale è più alta su Instagram». Nel giro di un paio d’anni il 30% di quello che vediamo nei social di
Meta sarà stabilito da una macchina.
A me pare che la differenza significativa tra
TikTok e
Instagram si concentri oggi più
sull’efficacia nella raccomandazione, che sulla
percentuale di raccomandazione.
Tutto ruota attorno a un costrutto essenziale per qualsiasi piattaforma:
la navigazione degli utenti dev’essere sempre confortevole. Le persone devono trovarsi a loro agio nell’acquario. Che poi i contenuti provengano da macchine o da umani mediati dalle macchine non se ne accorge nessuno.
Non credo ci vorrà molto perché
Meta corregga i propri errori, e finisca per tacitare la signora e mostrarle infiniti
Reels di gerani e di piatti di pasta che le piacciono, prodotti da gente sconosciuta.
Oggi poi,
Zuckerberg ha bisogno di mostrare agli investitori la centralità
dell’intelligenza artificiale nella sua azienda. La scommessa sul
Metaverso ruota attorno alla capacità di calcolo e previsione delle interazioni che sarà molto maggiore di quanto immaginiamo. Invece di scorrere il feed di
Instagram e incappare in un
Reels, incapperemo in un
avatar pubblicitario, in un uomo-sandwich virtuale e in 3D, suggerito
dall’intelligenza artificiale.
A partire da questa vicenda, altri hanno scritto che le
piattaforme sono diventate ormai spazi di intrattenimento. Pure questa affermazione è sbagliata. I social sono sempre stati
luoghi di intrattenimento, essendo anche molte altre cose insieme: spazi di relazioni, in primo luogo.
Non avrebbero il successo che hanno, se rispondessero a un solo bisogno, più o meno indotto, dell’umanità.
Ecco un esempio,
Adam Mosseri, capo di
Instagram, ha spiegato in un’intervista che molti contenuti vengono oggi condivisi tra le persone nei messaggi, privatamente, e si può immaginare che intorno a quei contenuti le persone discutano.
Non sono relazioni queste?
Credo che piuttosto che riferirci ai social network come spazi
generalisti, dovremmo cominciare riferirci ad essi come ad ambienti segmentati per
classi di età prevalenti.
Le applicazioni investono ambiti generazionali in modo da limitare al massimo i collassi del contesto; e poi generano
estetiche condivise e soprattutto condivisibili. Mia madre, che ha più di 70 anni, potrebbe trovare confortevole
Facebook, ma non capirebbe proprio
TikTok, così come non lo capisco io che di anni ne ho 52.
I numeri dicono che circa un quarto degli utenti di
TikTok ha meno di 24 anni.
Per un’azienda avere un pubblico vecchio rappresenta un problema ovviamente, ma più importante di ogni altra cosa è avere comunque un pubblico.
Altro limite di queste letture funeralizie circa destino dei
social, è l’approccio occidente-centrico.
L’obiettivo delle
piattaforme è competere sul mercato del
next billion (
Disobbedienze del 16 luglio 2020), e cioè cercare di conquistare quel miliardo di cittadini del mondo, per lo più di paesi in via di sviluppo, che non hanno ancora una connessione e presto l’avranno.
Sempre
Mosseri racconta a
Casey Newton che da quando in
India sono diminuiti i costi di connessione, la quantità di tempo che le persone trascorrono su
Internet è esplosa. E molto più velocemente è aumentato il tempo dedicato ai video.
Sempre
Mosseri: «
quando le reti diventano più veloci, quando i dati diventano più economici, le persone si spostano sempre di più verso i video».
Per concludere, non sto dicendo che le modifiche all’algoritmo di
Instagram siano irrilevanti. Sto dicendo che la scoperta di una
centralità algoritmica, nell’analisi di come le persone fruiscono dei social, pare piuttosto tardiva. È sempre stato così: gli umani cercano di piegare a loro vantaggio le funzioni che gli algoritmi abilitano. Non esiste altro spazio, figuriamoci uno spazio negoziale.
(Disobbedienze su Telegram 2/2)
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