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Gli ultimi messaggi 10

2021-08-25 20:32:36 Il lavoro e il corpo dei robot

«Il modo in cui lavoriamo sta cambiando», comincia così, con una frase di improvvida e banale leggerezza, un post nel blog aziendale che forse ricorderemo come il primo vero passo nel metaverso, compiuto da Facebook. Un piccolo passo ambizioso per la società di Mark Zuckerberg, e forse uno piuttosto impegnativo e inedito per l’umanità. «Senza i giusti strumenti di connessione, il lavoro a distanza presenta ancora molte sfide. Lavorare senza colleghi intorno a te può sembrare isolato a volte, e il brainstorming con altre persone non è lo stesso se non sei nella stessa stanza», ancora dal blog di Facebook

Workrooms

Tutta l’analisi compiuta in questi mesi, dai primi lockdown a oggi, sul lavoro da remoto è messa in discussione da un nuovo prodotto di realtà virtuale sociale (cd. social VR product), sviluppato da Facebook, che si chiama Horizon Workrooms. Si tratta di un sistema, una sintesi di software e hardware, che mira appunto a trasformare un ossimoro che Mark Zuckerberg ha utilizzato fin dai primi giorni della pandemia, e cioè la parola videopresenza.
Horizon Workrooms consente a due o più persone, distanti chilometri, di immergersi in un ambiente virtuale: queste persone, rappresentate dai rispettivi avatar, conversano come se fossero l’una accanto all’altra, nello stesso luogo, nella stessa stanza di un ufficio. Un video mostra in anteprima il tipo di ambiente nel quale le persone si troveranno a lavorare, una cosa a metà tra Second Life e un qualsiasi gioco evoluto della Playstation: si vedono avatar seduti a un tavolo che discutono di lavoro. 
Workrooms si inserisce all’interno di un progetto più ampio, Horizon, che rappresenta una specie di sintesi in realtà virtuale di Instagram e Facebook, mentre il nuovo prodotto, ha detto Mark Zuckerberg alla CBS, è «solo una parte di questa corsa per dare alle persone più libertà di vivere dove vogliono». Il dove è un dove digitale e fisico allo stesso tempo, non dimentichiamolo, ed è l’essenza del metaverso
Per accedere a Workrooms servono gli Oculus Quest2, visori per la realtà virtuale e un paio di joystick, che consentono ai partecipanti di ricreare attività che farebbero in presenza, come, ad esempio, illustrare una presentazione, prendere appunti sul proprio computer. Nel blog di Oculus scrivono che questa tecnologia è progettata per migliorare la capacità «di collaborare, comunicare e connettersi in remoto, attraverso la potenza della realtà virtuale, che si tratti di riunirsi per scambiare idee o scrivere, lavorare su un documento, ascoltare gli aggiornamenti di un gruppo di lavoro», o più semplicemente per «avere conversazioni migliori che fluiscano in modo più naturale» nell’ecosistema digitale. Di nuovo il metaverso
Una delle applicazioni chiave di Workrooms è il cosiddetto audio space, che permette di ascoltare le persone «in base a dove sono sedute, proprio come in una stanza reale, rendendo le conversazioni fluide».
L’obiettivo, dicono da Facebook, è quello di ottenere una «presenza sociale convincente», qualunque cosa voglia significare questa affermazione, direi che l’azienda intende avvicinarsi al senso più profondo di “realtà virtuale” come componente del metaverso. Altra importante novità sta nel fatto che si possono utilizzare non solo i joystick (i cd. controller), ma anche le mani per muovere oggetti nello spazio virtuale, insomma qualcosa che ricorda il Tom Cruise di Minority Report di qualche anno fa, per chi se lo ricorda. 
La tecnologia è già funzionante, ovviamente in versione Beta, di prova, ma ci si può registrare e provarla. 

(Ho già pubblicato la versione integrale di questo articolo molto lungo su Disobbedienze a questo link, chi preferisce leggerlo a puntate lo troverà a partire da oggi, qui su Telegram)

(Disobbedienze 1/9)
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2021-08-16 19:37:54 A chi conviene lo smart working?

Qualche giorno fa una cara amica mi ha raccontato il modo in cui sta facendo smart working. L’azienda per la quale lavora pretende che, durante tutta la giornata lavorativa, lei tenga accesi e funzionanti webcam e microfono. Anche quando si alza, va in bagno o risponde a una telefonata. In questo modo sappiamo sempre quello…

http://www.nicolazamperini.com/a-chi-conviene-lo-smart-working/
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2021-08-16 19:37:54
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2021-08-03 14:17:10 Insomma in epoca di post-verità sembra sufficiente aggiungere elementi al processo di «privatizzazione o tribalizzazione della verità», per dirla con le parole di un altro filosofo, Maurizio Ferraris, per ottenere un primo e soddisfacente risultato. In fondo si tratta di immettere ulteriore rumore nel sistema, rumore di qualità, rumore accademico, al rumore già presente nella nostra vita, alla valanga di informazioni da cui siamo assediati, per offuscare il senso dell’udito dei soggetti che dovrebbero regolare alcune questioni.
Il tema di questa importante inchiesta giornalistica - è evidente - non sta nei numeri e nemmeno nei soggetti coinvolti, ma in due elementi, apparentemente laterali, della vicenda.
Come per i finanziamenti ai media tradizionali, le techno-corporation acquistano consenso, letteralmente. E senza nemmeno bisogno di chiedere qualcosa in cambio: nell’epoca del soft power non serve rimarcare che chi ha pagato può essere criticato solo in un certo modo, con misura, con garbo per non incorrere nelle sue ire, come ammoniva Alessandro Manzoni, adelante Pedro, con juicio, si puedes.
Critiche, dunque, che possono essere accettate strutturalmente, purché non mettano strutturalmente in crisi o in discussione l’esistenza stessa di Big Tech.

L’altro elemento rilevante è che le grandi aziende della Silicon Valley non si preoccupano di fare campagne di comunicazione presso il grande pubblico. L’obiettivo sono alcuni stakeholder, e cioè pubblici ristretti e influenti, portatori di particolari interessi e che hanno ancora un minimo potere di mediazione verso alcune categorie di soggetti.
L’università - non sappiamo ancora per quanto - e i media - non sappiamo ancora per quanto - continuano a esercitare influenza sulla politica, continuano a conservare un qualche rilievo per i decisori pubblici, nazionali e internazionali. Un residuo potere di mediazione che, nell’era della - presunta - disintermediazione, Big Tech sta tentando, piano piano ma inesorabilmente, di scalfire e poi di rendere meno pieno, meno penetrante.
I cittadini sono invisibili e ininfluenti in questo scenario. Le aziende della Silicon Valley non hanno bisogno di promuovere riflessioni o critiche: l’inevitabilismo della tecnologia è un assioma del presente, non è messo in discussione presso la maggior parte delle opinioni pubbliche occidentali.
Tanto che, nel discorso pubblico, il tema è piuttosto quello di organizzare la convivenza e di attrezzarsi per la coabitazione con i prodotti digitali e i loro effetti.
Di contro - nella maggior parte dei casi - la sopraffazione già realizzata su ampi blocchi sociali non evidenzia più il bisogno della critica da parte dei cittadini, anzi esclude la necessità della critica e la trasforma in ombra della critica, affinché proprio non si materializzi, non si materializzi strutturalmente.

(Disobbedienze su Telegram 2/2)
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2021-08-03 14:12:21 Google e la Ricerca

Stavolta la Ricerca di cui parliamo è con la maiuscola, ed è la ricerca scientifica. Utilizzo la maiuscola per distinguerla dalla comune attività realizzata da Google per miliardi di umani al mondo, ogni giorno.

Una interessante inchiesta del settimanale inglese New Statesman ha rivelato quanto, e in che modo, Google e Big Tech finanzino la ricerca accademica, compresa quella di prestigiose istituzioni.
L’articolo, a firma di Laurie Clarke, Oscar Williams e Katharine Swindels, sostiene che «negli ultimi cinque anni, ben sei importanti istituzioni accademiche dell’Unione Europea hanno ricevuto decine di milioni di sterline di finanziamenti da Google, Facebook, Amazon e Microsoft. Obiettivo di queste risorse era stimolare ricerca su questioni legate ai modelli di business delle aziende tecnologiche, su privacy e protezione dei dati, su etica dell’intelligenza artificiale e sulla concorrenza nei mercati digitali».
In molti casi i ricercatori hanno evitato di citare questi finanziamenti perché non avrebbero influito sui progetti cui stavano lavorando.
Tra le università e le istituzioni di ricerca ci sono soggetti prestigiosi come il Politecnico di Monaco e l’Humboldt Institute for Internet and Society di Berlino che ha ricevuto quasi 14 milioni di euro da Google dal 2012 ad oggi: il motore di ricerca rappresenta un terzo dei finanziamenti non pubblici dell’istituto.
Tra i centri di ricerca citati dall’inchiesta anche l’Oxford Internet Institute dove lavora il filosofo Luciano Floridi, docente di etica dell’informazione e autore del celebre saggio La quarta rivoluzione, il quale non ha rivelato alcuni finanziamenti di Google ma ha anche negato qualsiasi influenza del motore di ricerca sul suo lavoro.
Secondo New Statesman, il 75% degli accademici senior dell’Oxford Internet Institute ha rapporti di finanziamento individuali con Google.
Non solo. Nel 2014, i professori di diritto Christopher Kuner e Paul De Hert hanno fondato il Brussels Privacy Hub (BPH), un’istituzione di ricerca, della Vrije Universiteit di Bruxelles, finanziata per lo più da Google e creata, così riporta New Statesman, con «l’obiettivo di diventare la prima piattaforma accademica europea di ricerca sulla privacy di statura mondiale». L’istituto rivendica il fatto di utilizzare la sua posizione a Bruxelles, la capitale dell’Europa a 27, «per coinvolgere i responsabili delle politiche dell'UE, i regolatori nell’ambito della protezione dei dati, il settore privato e le ONG».
Se leggiamo l’attivismo di Big Tech con le lenti della politica, potremmo identificarlo come una declinazione ulteriore della corposa attività di lobbying che le aziende tecnologiche mettono in campo presso le grandi istituzioni, a partire dall’Unione Europea.
L’elemento più importante dell’articolo del settimanale inglese, tuttavia, arriva da una fonte anonima che chiarisce il modo di procedere delle aziende della Silicon Valley: «non stanno cercando di cancellare tutte le critiche, stanno solo cercando di amplificare le critiche che preferiscono, quelle critiche con cui possono convivere strutturalmente».
E Michael Veale, docente di giurisprudenza presso l'University College di Londra, aggiunge un elemento chiarificatore: «finanziando professori molto pedanti in un’area, magari per indagare sulle sfumature dell'economia online, puoi aumentare la quantità di incertezza percepita, in cose che sono attualmente date per scontate in ambito normativo».
Nero di seppia sulla ricerca, per utilizzare un’immagine banale.

(Disobbedienze su Telegram 1/2)
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2021-07-28 18:38:45 Ancora sul metaverso

Il metaverso non è proprio una boutade.
Domenica scorsa vi ho raccontato che Mark Zuckerberg ha dichiarato che presto la sua azienda non sarà più una social network company, ma una “metaverse company”, una società che ha come obiettivo quello di sviluppare il metaverso. Affermazione importante, che ha avuto conseguenze operative immediate proprio dentro l’azienda fondata da Zuckerberg.
Facebook ha creato un Gruppo di lavoro per il prodotti destinati al metaverso. Questa squadra sarà operativa all’interno dei Facebook reality labs, e cioè nella divisione aziendale dedicata alla realtà virtuale e aumentata.
L’obiettivo è quello di integrare Portal (una specie di tablet per le videochiamate) e Oculus (i visori per la realtà virtuale di proprietà di Facebook) come primi hardware che dovranno rendere possibile abitare il metaverso (non navigare, abitare).
Andrew Bosworth, a capo dei Facebook reality labs, ha chiarito: «oggi Portal e Oculus possono teletrasportarti in una stanza con un’altra persona, indipendentemente dalla distanza fisica, oppure in nuovi mondi e in nuove esperienze virtuali. Ma per ottenere una visione più completa di quello che sarà il metaverso, abbiamo anche bisogno di costruire il tessuto connettivo tra questi spazi, in modo che possano essere rimossi i limiti fisici e ci si possa spostare tra di essi con la stessa facilità con cui ci muoviamo da una stanza all’altra di una casa».
Serviranno insomma sia hardware che software.
In un articolo l’esperto di marketing e cultura digitale Vincenzo Cosenza, utilizza un’immagine suggestiva e molto efficace per definire cosa sarà il metaverso: «fruiremo di servizi e contenuti in una maniera immersiva: non useremo Facebook, ma passeggeremo dentro Facebook. Anche la relazione con le persone distanti fisicamente sarà più realistica perché avremo la sensazione di essere nello stesso posto».
Occorre a immaginare altre coordinate possibili di come sarà il metaverso, anche se si tratta di un esercizio difficile. Com’era difficile pensare all’Internet di oggi nei primi anni novanta, quando abbiamo cominciato a navigare, così oggi risulta complicato “visualizzare” il metaverso, uno spazio nato all’interno di un romanzo e destinato a essere la forma dell’Internet di domani.
La quantità di cose scritte intorno a questo concetto-ambiente è pressoché illimitata. Matthew Ball, esperto di cultura digitale, che sta dedicando molte energie e molti articoli al metaverso, ha provato a elencarne alcune caratteristiche. Secondo Ball il metaverso sarà:
persistente, potrà operare senza fine e senza la possibilità di essere messo in pausa o essere spento; 
sincrono e live, un’esperienza che esiste per tutti in tempo reale, anche se, a sua volta, può contenere eventi specifici con un’ora di inizio e di fine;
senza limiti di partecipanti, chiunque e in qualunque momento potrà entrarvi e rimanere a proprio piacimento; 
un’economia completamente funzionante ovvero un mondo nel quale singoli e aziende possono essere in grado di creare, possedere, investire, vendere e guadagnare; 
un’esperienza inclusiva, che coinvolgerà il mondo digitale e quello fisico, reti pubbliche e private, piattaforme aperte e chiuse;
interoperabile nel senso che dati, oggetti digitali e contenuti prodotti in un luogo dovrebbero essere utilizzabili anche negli altri luoghi della nuova rete.

Quindi non solo realtà virtuale, ma molto di più della realtà virtuale, ecco perché Zuckerberg ha parlato di un Internet incarnato (embodied Internet).
Devo ammettere che sono molto colpito dall’assenza di attenzione e dibattito su questo tema, e sulle prospettive che l’intervista a Casey Newton lascia intravedere. Stiamo parlando di come sarà Internet da qui a dieci anni, e di conseguenza come sarà la nostra vita nel futuro prossimo.
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2021-07-25 14:53:42 Mark e il metaverso

Cos’è un metaverso? È l’insieme di tutto ciò che è virtuale, digitale, fisico, aumentato, più tutta Internet, compresi software e bot, insomma una specie di super-convergenza.  Metaverso è un’espressione figlia di Neal Stephenson e del suo libro Snow Crash, romanzo preferito dai fondatori di Google Sergey Brin e Larry Page.  Oggi, Mark Zuckerberg, in un’intervista…

http://www.nicolazamperini.com/mark-e-il-metaverso/
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2021-07-25 14:53:42
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2021-07-21 21:18:11 John Hulsman e Boris Liedtke hanno scritto in “The Return of the Feudal World?”: «il successo dello Stato-nazione ha dato origine a nuove sfide per le quali la struttura dello Stato-nazione non può più fornire risposte accettabili», tra queste c’è la corsa allo spazio.
Agli Stati Uniti servivano attori intermedi, ma sufficientemente potenti, dotati, ricchi, che fornissero risposte nel settore dei vettori spaziali.
Ovviamente questo modello di integrazione tra soggetti in ottica neo-feudale è il modello americano che si contrappone a quello cinese. Nel caso statunitense c’è spazio per una partnership, in cui le meta-nazioni digitali conseguono vantaggi politici, di propaganda, e - in prospettiva- di business. Gli Stati Uniti, come detto, trattengono le eventuali applicazioni militari di tutta la partita. Ad esempio, il motore di Blue Origin alimenterà un nuovo razzo che Lockheed Martin e Boeing hanno progettato per le forze armate statunitensi. Altri aspetti potrebbero invece interessare le meta-nazioni digitali: nei prossimi 7 anni verranno messi in orbita - secondo Meagan Crawford, cofondatore e amministratore del fondo di investimento SpaceFund - circa 50.000 satelliti. Che non serviranno a colonizzare lo spazio, a portare milioni di persone su altri pianeti e nemmeno a fare turismo a centinaia di chilometri dalla terra, ma a vendere e comunicare, che spesso sono sinonimi.
Potrebbe sembrare tutto paradossale ma non lo è.
Se ci pensate le meta-nazioni digitali, come i principi per gli Imperi nel sistema feudale, erano necessarie scocciature. A volte creavano problemi ma quando c’era da fare la guerra o imporre tasse erano indispensabili. La relazione di Joe Biden con Facebook o Amazon non è differente: creano problemi ma sono indispensabili se non vuole che gli USA soccombano, nella competizione globale e multilaterale in cui la Cina è il primo, ma non l’unico avversario.

PS. Un professionista dell’industria aerospaziale che mi ha aiutato a scrivere questo articolo, mi ha mandato un messaggio pochi minuti dopo l’atterraggio del fondatore di Amazon: «ho appena visto il video del primo volo di Blue Origin, con i Bezos, la nonnetta e il figlio di papà olandese: sembra il più bell’ottovolante del mondo! Ma certo affermare che si tratti di un volo spaziale ce ne vuole. Per dire, Yuri Gagarin si è fatto un’orbita intorno alla terra e 2 ore di volo: quello è un volo spaziale. Bezos l’hanno sparato in alto ed è ricaduto quasi sullo stesso posto, 11 minuti di volo compresi 4 meravigliosi minuti senza gravità: ma 4 minuti!»

(Disobbedienze su Telegram 3/3)
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2021-07-21 21:17:58 Questa lunga premessa serve intanto a fare chiarezza su un primo punto: Musk ha sfruttato gli investimenti del governo degli Stati Uniti per lanciare la sua società spaziale, come aveva fatto con Tesla, godendo di incentivi fiscali. Bezos ha investito del suo, ma senza le risorse del governo Blue Origin non campa di turisti spaziali, inesistenti al momento. Nulla di nuovo, ma è sempre utile togliere qualche strato alla patina dello storytelling che arriva da laggiù.
Gli Stati Uniti contano su un modello di sviluppo molto semplice, in alcuni settori, un modello che il presidente Dwight Eisenhower aveva definito “complesso militar industriale”. Quando l’industria era sinonimo di pezzi di ferro tutto appariva più chiaro, oggi che l’industria è sinonimo di digitale, sembra più sfumato.
La sostanza però rimane la stessa, solo che oggi non c’è più bisogno delle guerre tradizionali che spaventavano Eisenhower, il complesso militar-industriale si nutre di guerre inedite, condotte in altri teatri, con strumenti differenti, con attori che mutano, alcuni sono gli stessi di sempre. Accanto alle aziende della Difesa dobbiamo considerare le aziende della tecnologia, compresa quella spaziale.
La relazione tra queste società e il governo degli Stati Uniti è una relazione complessa. Un po’ parenti serpenti: si combattono ma hanno sempre bisogno gli uni delle altre, in un rapporto di interdipendenza. Ad esempio, senza le grandi aziende tecnologiche sarebbe difficile per le tante agenzie di spionaggio statunitensi spiare mezzo mondo (ricordate le rivelazioni di Edward Snowden).
Certo le meta-nazioni digitali hanno ormai conquistato una propria soggettività politica e internazionale. Hanno un ruolo globale riconosciuto, risorse pressoché illimitate cui è più semplice accedere rispetto ai bilanci pubblici, i loro fondatori - tra gli uomini più ricchi del pianeta - sono personaggi di spicco, conosciuti in tutto il mondo, con visione strategica e ambizioni sfrenate da esibire sul palcoscenico mediale. Andare in orbita significa per loro dare seguito allo sforzo iniziale della NASA, e quindi degli Stati Uniti che intendono acquisire di nuovo un ruolo centrale nel settore, ma a condizione di giocare una propria partita, e non solo di business.

E tale è la loro proiezione pubblica, e politica, che le meta-nazioni digitali possono essere considerate attori protagonisti del cosiddetto «sistema neo-feudale», che alcuni politologi ritengono essere l’assetto delle relazioni internazionali presenti.
Un tempo, durante la Guerra fredda, la corsa allo spazio era riservata soltanto a USA e URSS, oggi i soggetti della nuova corsa allo spazio sono proprio le meta-nazioni digitali. Piattaforme globali, di raccolta dati, costruite su sistemi di e-commerce e logistica, o sulla produzione e sullo stoccaggio di energia elettrica e di macchine elettriche, dalle enormi risorse finanziarie e tecnologiche, con il bagaglio di conoscenze e risorse per rispondere a sfide immani. Pensate ai big data che scaturiscono dalla mole mostruosa di sensori applicati alla struttura delle navi spaziali, e a ogni singola componente dei missili, alla quantità di informazioni processate per ogni singolo viaggio. Capacità di cui nemmeno la NASA ormai dispone, e che solo poche aziende al mondo posseggono. Ecco la missione di Amazon web services, la divisione cloud dell’azienda di Bezos, è proprio ospitare e processare dati in quantità immani.
A queste condizioni, e con questa suddivisione di compiti, le compagnie digitali-spaziali si integrano alla perfezione con gli Stati Uniti e con gli interessi nazionali degli Stati Uniti, i quali, nel sistema neo-feudale, fanno un po’ la parte dell’Impero fino alla pace di Westfalia. Lasciano ai regni e ai principi, più o meno locali, il presidio di alcuni settori, ad esempio quello dei vettori spaziali e della tecnologia digitale applicata alla spazio, in cambio ottengono applicazioni militari e la supremazia del proprio sistema-impero rispetto alla Cina.

(Disobbedienze su Telegram 2/3)
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