2021-09-15 20:44:34
La lista dei VIP digitali
Pensi che il tuo account di
Instagram o
Facebook sia uguale a quello di altri miliardi di utenti?
Che abbia le stesse funzioni, le stesse protezioni e debba seguire le stesse regole?
La risposta è no. Risposta secca, ma le cose stanno esattamente così.
E per rispondere partiamo dagli artisti che spesso hanno ragione in largo anticipo sui tempi. Quando
George Orwell scriveva una frase, divenuta poi tra le sue più citate, e cioè che «
tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri», non immaginava che avremmo potuta riferirla oggi a
Facebook.
Orwell scriveva del potere, tanto ne
La fattoria degli animali quanto in
1984, e i suoi romanzi vanno riletti oggi sia per la capacità di preveggenza, che per la capacità di lettura dei comportamenti umani.
Ci toccherà parlare di
Facebook e
Instagram per qualche giorno, credo. La responsabilità è del
Wall Street Journal che ha pubblicato la prima, di una serie di inchieste, dedicate al
social network fondato da
Mark Zuckerberg. E già il primo articolo rivela una serie di pratiche non proprio in linea con quella che è sempre stata la missione dell’azienda:
dare alle persone il potere di creare comunità e avvicinare il mondo.
Il giornalista
Jeff Horwtiz ha rivelato che
Facebook (
e quindi anche Instagram e Whatsapp) utilizzano una pratica chiamata
whitelisting, il cui nome in codice è
XCheck. In sostanza l’azienda ha costruito nel tempo una lunga lista di utenti che possono sfuggire alle regole della comunità, alle regole che si è dato il
social network. Si tratta di un elenco di quasi 6 milioni di persone, 5,8 milioni per la precisione, composto da politici,
Donald Trump e suo figlio, ma anche la senatrice democratica
Elizabeth Warren, star della musica, come
Rihanna, o del calcio come
Neymar.
Una lunghissima lista di VIP che elude le
regole standard della comunità che valgono per ciascuno di noi. L’elenco era nato per proteggere alcuni account da azioni malevole ma si è presto trasformato in altro.
L’articolo fa una serie di esempi. Il più clamoroso è quello di
Neymar che, qualche anno fa, dopo essere stato accusato di stupro da una donna, si è difeso in diretta rivelando la corrispondenza che aveva avuto con la sua accusatrice, ma anche il suo nome e cognome e alcune foto di lei nuda. Scrive
Horwtiz che «
la procedura standard di Facebook per gestire la pubblicazione di “immagini intime non consensuali” è semplice: eliminarle. Ma Neymar era protetto da XCheck». E così 56 milioni di persone hanno potuto vedere il video del calciatore che praticamente faceva
revenge porn, prima che questo contenuto fosse poi rimosso.
Un altro esempio: quando, dopo una manifestazione di protesta per l’omicidio di
George Floyd, Donald Trump scrisse «
when the looting starts, the shooting starts», e cioè «
quando cominciano i saccheggi allora si comincia a sparare», il
social network avrebbe dovuto cancellarlo, ma anche
Trump stava da anni nella
white list. Pensate il sistema automatizzato che tenta di
capire se un contenuto violi le regole del social network, aveva identificato il post dell’ex presidente in violazione delle norme, con un
punteggio di 90 su 100. Il contenuto è rimasto al suo posto. Solo successivamente
Trump è stato sospeso da
Facebook per due anni. Ma quando non era più presidente, e perché aveva incitato alla rivolta contro il Campidoglio.
L’articolo del
Wall Street Journal ha rivelato che, l’anno scorso,
XCheck ha consentito ai post che violavano le regole sono di essere visualizzati almeno 16,4 miliardi di volte, prima di essere successivamente rimossi. Con buona probabilità
Facebook considera questo il minore dei mali.
(Disobbedienze su Telegram 1/4)
216 views17:44