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Gli ultimi messaggi 3

2022-02-04 21:32:40 Vendere la pelle del Meta-orso (segue)


Qualche breve considerazione.
• In tanti aspettavano al varco Zuckerberg, e questa è la prima occasione per punirlo dopo le rivelazioni di Frances Haugen della scorsa estate.
• Per capire quello che accade, ricordate che la finanza legge come segnale negativo anche un rallentamento della crescita.
Facebook ha raggiunto il cosiddetto plateau degli utenti. Oltre quella cifra - dicono in molti - non si può andare. Dopotutto stiamo parlando di poco meno di 2 miliardi di utenti attivi al giorno, numeri immani. Personalmente ritengo che questo dato ricomincerà a salire, ma è indiscutibile che tutti coloro che potevano avere un accesso a Facebook oggi ce l’hanno. Ricordiamo che tra i grandi mercati all’appello manca la Cina, ma lì Facebook è vietato.
• Gli utenti attivi su base mensile crescono, in tutto il mondo a 2,912 miliardi, e crescono anche in Nord America ed Europa. Gli utenti, ma sarebbe meglio dire noi tutti torniamo sul social network più antico anche solo per dare un’occhiata, controllare quel che fanno i tanti amici che sono iscritti. Questo vale soprattutto per quelli di una certa età, i famigerati boomer.
Zuckerberg finalmente potrà dire alle autorità che lo hanno messo sotto investigazione per abuso di posizione dominante che la concorrenza esiste. Che c’è TikTok, che è cinese, che tanti ragazzi trascorrono tante ore lì dentro.
Meta ha speso nel 2021 24,6 miliardi di dollari in ricerca e sviluppo.
• I ricavi dai Reality Labs - la divisione dell’azienda che serve a combinare realtà virtuale e realtà aumentata - sono minimi. Per capirci il 97% dei guadagni di Facebook arriva ancora dalla pubblicità.

Un paio di considerazioni ancora.

Meta ha investito 10 miliardi di dollari nel Metaverso, che non è una scappatoia, una boutade e non è nemmeno la trovata per uscire dall’angolo dell’ultimo scandalo. È la sola via d’uscita per un’azienda che ha raggiunto pressoché tutti i suoi potenziali utenti. Se qualcuno pensa che Zuckerberg mollerà, per tornare a dedicarsi ai social network per come li abbiamo conosciuti, non conosce abbastanza la retorica della Silicon Valley del Day One. Quel concetto, messo per iscritto nella lettera di Jeff Bezos agli azionisti di Amazon nel 1997, predicava per la sua azienda una mentalità da giorno 1, cioè una mentalità da start up aggressiva e appena fondata, con il rischio che possa fallire da un momento all’altro. Nella stessa lettera Bezos scriveva it’s all about long term, contraddicendo Keynes il quale sosteneva che nel lungo periodo saremmo tutti morti. Bezos ha avuto ragione, adesso Zuckerberg - da rapace qual è - sta scommettendo a medio-lungo termine (ma non troppo) su una nuova Internet che andrà costruendosi, anche grazie all’apporto di Meta.
• Il Metaverso potrebbe non arrivare mai (personalmente credo sarà una cosa diversa da come oggi la immaginiamo, ma nel 1993 quando ho cominciato a collegarmi a Internet non avrei mai pensato a quello che Internet è diventata oggi). Zuckerberg ha dati e - dobbiamo ammetterlo - anche una visione superiore a quella di noi tutti, compreso chi scrive di lui sui giornali o su un canale Telegram. Sono 2,82 miliardi le persone che - tutti i santi giorni - utilizzano le sue applicazioni, e di questa umanità egli sa molto. Ecco proverbialmente non conviene vendere la pelle dell’orso prima di averlo visto morire.

(Disobbedienze su Telegram 2/2)
285 views18:32
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2022-02-04 21:32:17 Vendere la pelle del Meta-orso

Il Metaverso non salva Facebook, così titola un grande quotidiano oggi. In molti celebrano la crisi profonda pregustando la fine dell’avventura di Mark Zuckerberg alla guida della sua azienda.

Le notizie: Facebook ha smesso di crescere.
Nell’ultimo trimestre dello scorso anno gli utenti attivi quotidianamente sono 1,929 miliardi, rispetto agli 1,930 miliardi del trimestre precedente. Un milione in meno, soprattutto in America Latina e in Africa.
Le persone - ha rivelato l’azienda - trascorrono meno tempo nell’applicazione madre. Il tempo è un elemento essenziale per valutare o meno il successo di un social network, LinkedIn è pieno di gente ma per poco tempo.
Un altro fattore critico è la concorrenza di TikTok. I video Reels su Instagram funzionano ma non quanto dovrebbero, e al momento sono poco redditizi. «Siamo in mezzo alla transizione nei nostri servizi verso video brevi come i Reels», ha spiegato Zuckerberg agli analisti. C’è una guerra in corso e per adesso TikTok è in vantaggio.
Ultimo elemento problematico è la mossa di Apple dello scorso anno, che ha molto limitato le possibilità di profilare utenti e dunque di ricavi pubblicitari per Facebook. Mentre su questo fronte Meta ha perso, Snapchat ha trovato il modo di aggirare le regole Apple, senza violarle (con un sistema che si chiama advanced conversions) e generando una certa euforia negli investitori. A Facebook mancano all’appello 10 miliardi di dollari di ricavi.
Queste notizie messe in fila da Wall Street - dove molti algoritmi decidono quando comprare e quando vendere azioni - hanno provocato una caduta del valore di Borsa del 20%. Svariati miliardi di dollari in fumo, per un’azienda che comunque ha ricavi netti per 10,2 miliardi di dollari nell’ultimo trimestre.

(Disobbedienze su Telegram 1/2)
302 views18:32
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2022-01-29 12:17:29 Come stiamo cambiando pelle

La diseguaglianza che tanto ci colpisce nei rapporti Oxfam sui ricchi che aumentano i loro patrimoni, possiede altri lati visibili del prisma che ci turbano meno e meno ci indignano forse perché troppo familiari, troppo facili da scorgere.
Il maggior tempo speso connessi a Internet, le connessioni più lente, il maggio numero di video come strumenti di formazione, la maggior percentuale di traffico che passa per gli smartphone e ricerca per immagini, rappresentano tutti indicatori in cui i paesi più poveri del mondo sono per lo più in testa. A ciascun indicatore si può associare una carenza nei sistemi educativi o formativi, nei media.
Si scorgono ulteriori forme di diseguaglianza, e di clamorose differenze d’accesso ai sistemi e servizi sanitari, anche nella percentuale di persone che controllano i propri sintomi e la propria salute online. Oltre il 40% degli utenti Internet in Kenya, Colombia e Messico quando sentono di soffrire di qualcosa vanno su Internet e lì provano a costruirsi una qualche diagnosi, diventando preda di qualsiasi tipo di contenuto. In coda alla classifica di chi utilizza meno il dottor Google ci siamo noi, la Francia, la Corea del Sud e il Giappone e - almeno per me - sorprendentemente la Russia.
Forse le cifre che più rappresentano nuove forme della diseguaglianza, tra paesi ricchi e paesi poveri (credo le stesse proporzioni le scorgeremmo all’interno dei singoli paesi, tra diversi blocchi sociali), sono quelle relative al tempo trascorso sui social network. Nigeria, Filippine, Ghana Colombia guidano questa classifica, con poco più o poco meno di 4 ore al giorno passate sui social network.
Questo rapporto mostra anche l’enorme potere che un tempo si sarebbe definito di omologazione, che i grandi player di streaming esercitano su di noi, sulla costruzione o imposizione di gusti, estetiche, preferenze e “scelte” di consumo. Oltre 1 miliardo e 650 milioni di persone al mondo ha visto la serie tv Squid Game e più di 625 milioni hanno visto Bridgerton. Potremmo fare lo stesso discorso per le top ten di musica su Spotify.
Se la globalizzazione, in senso fisico, ha subito uno stop a causa della pandemia, la globalizzazione nei consumi di intrattenimento e nelle “scelte” di consumo è cresciuta, e mai come adesso vediamo e ascoltiamo - tutti - le stesse cose (ci sarebbe da fare una riflessione su una dinamica radicalizzata della legge della coda lunga).
Il rapporto Hootsuite andrebbe letto per intero per capire le dinamiche del comportamento all’interno dello spazio digitale di miliardi di umani. Pensate solo che il tempo medio trascorso dalle persone utilizzando uno smartphone è arrivato a 4 ore e 48 minuti. Se sottraete le ore di sonno, significa che tutti stiamo per 1/3 delle ore di veglia con lo smartphone in mano, ed è una media. Se non è un radicale mutamento antropologico questo…
Vorrei però chiudere con un paio di cifre su TikTok, il social network in cui, anche se non segui nessuno, puoi comunque stare lì a vedere miliardi di video per una vita intera. In Gran Bretagna, in media, gli utenti di TikTok spendono ogni mese 27,3 ore sull’applicazione, quasi un giorno intero al mese trascorso lì dentro. E il 35% degli utenti ammette che più utilizza l’applicazione meno guarda la televisione e i servizi di streaming. Elemento questo che illumina le nuove scelte di intrattenimento e di relazioni nello spazio digitale.
Tutte queste cifre fotografano l’immane movimento, secondo la stessa dinamica che Tolstoj aveva visto, e quindi come un processo di attrazione inevitabile degli individui verso una qualche terra evidentemente promessa.

(Disobbedienze su Telegram 2/2)
304 viewsedited  09:17
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2022-01-29 12:15:53 Come stiamo cambiando pelle

Tolstoj parlava d’altro, ma possiamo utilizzare le sue stesse parole - riferite a un esercito - per leggere i comportamenti delle moltitudini: «come nella legge fisica della gravitazione, la loro stessa enorme massa attraeva a sé i singoli atomi degli individui. Con la loro massa di centomila uomini, si muovevano come un intero Stato».

Scrive Hootsuite, in Digital 2022, Global overview report, che lo scorso anno in tutto il mondo:

• la popolazione è aumentata dell’1% (80 milioni);
• gli utenti unici di smartphone sono cresciuti dell’1,8% (+95 milioni);
• gli utenti Internet sono aumentati del 4% (+192 milioni);
• gli utenti attivi di social network sono cresciuti del 10,1% (+424 milioni di persone).

Poche cifre che tuttavia rappresentano un movimento immane di miliardi di persone in pochi anni, un esodo, a tutti gli effetti, verso le terre emerse digitali. Se continuiamo di questo passo, tutta l’umanità non solo sarà a breve connessa, ma disporrà anche di un qualche profilo su un social network. Queste le proporzioni: siamo 7,9 miliardi di umani sul pianeta, in 4,95 miliardi abbiamo una connessione e in 4,6 miliardi un account social.
Mentre alcuni nello spazio digitale discutono di web3, di NFT, di criptovalute, una massa immane di persone - spinta anche dalla pandemia - si avvicina per la prima volta all’ecosistema digitale e ne scopre le meraviglie e le miserie. Non credo sia sbagliato definirlo un movimento di proporzioni storiche di cui vedremo ulteriori effetti negli anni a venire.
E mentre una piccola percentuale di noi si affanna a tentare di capire, o a tentare di spiegare, cosa sia il web decentralizzato o il Metaverso, un miliardo di persone si è iscritto a TikTok e per questi umani il social network rappresenta una finestra sul mondo. Per molti di loro, forse, l’unica finestra sul mondo.
Secondo Hootsuite pendiamo quasi 7 ore connessi a Internet e quasi 2 ore e 30’ al giorno sui social, tutti i giorni dell’anno, così fanno tutti gli abitanti del pianeta dai 16 ai 64 anni (e temo che se allargassimo la forbice queste cifre non diminuirebbero). Questo tempo connesso è cresciuto inesorabilmente negli ultimi anni, senza che nulla potesse scalfirlo: un altro immane movimento creatore di abitudini inedite nella nostra specie. Quando parliamo di Metaverso dovremmo ammettere fin d’ora che ne scorgiamo già le propaggini.

(Disobbedienze su Telegram 1/2)
323 viewsedited  09:15
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2022-01-21 21:10:37 L’ossessione dell’istantaneo (segue)


Per comprendere al meglio questo fenomeno, dobbiamo affiancare all’aggettivo istantaneo un altro aggettivo di cui più volte abbiamo parlato qui su Disobbedienze, e cioè frictionless che sta per senza attriti, vero obiettivo di qualsiasi applicazione digitale. Gli sviluppatori, quando concepiscono un prodotto digitale, intendono portare l’utente a una conversione, cioè a fargli fare una cosa, un acquisto, l’iscrizione a un servizio, e a fargliela fare senza attriti, come per i famosi 3 click che completano un acquisto su Amazon.
Ci permettiamo quindi di desiderare - e ottenere - una cosa in 15 minuti proprio perché l’attrito necessario a soddisfare il nostro desiderio è minimo. Un paio di tap sullo schermo e via. Non esistono apparenti frizioni nel farci portare a casa la spesa, nel mettere sul motorino un tizio e farlo correre nel traffico per arrivare da noi.
Istantaneo poggia su una presunta assenza di attrito perché si riferisce a un’applicazione, eppure dietro la schermata, alle spalle dell’immateriale che consente di ordinare la spesa, vivono le città e l’ambiente, si snoda la logistica, si consuma energia, lavorano persone.
Il paradosso è che tutto questo confligge con i progetti delle città in quindici minuti, dove invece l’obiettivo è quello di rallentare, circoscrivere, pedonalizzare, avvicinare i servizi e tutto quanto ai cittadini, ai luoghi in cui abitano.
Per consegnare in 15’ devi correre, c’è poco da fare.

L’elemento essenziale, per chi progetta queste applicazioni, è ridurre più possibile la distanza temporale tra l’emersione di un bisogno indotto e la sua soddisfazione, tra un desiderio che nasce in un’applicazione e il consumo.
Ancora una volta se la tecnologia abilita una determinata funzione noi siamo portati a utilizzarla per il semplice fatto che quella funzione esiste, che è possibile attivarla senza particolari ostacoli e senza domandarci la ragion d’essere della scelta.
In questo senso la pandemia e i vari lockdown hanno svolto la funzione di acceleratori di un processo che forse non si sarebbe realizzato negli stessi termini, o - di sicuro - sarebbe stato molto più lento.
Un tempo probabilmente l’unica cosa necessaria in tempi rapidi era il 118: adesso ci stuzzica una crêpe alle 2 di notte, la ordiniamo purché arrivi in 15 minuti. Non ci vuole coraggio a chiedere la spesa alle due di notte, sapendo che ci sarà un tizio che ce la porterà a casa e disinteressandoci di tutto quello che un semplice click produce. Ecco un’altra espressione ipocrita, l’unica cosa semplice in un click è il gesto, dietro di esso si nascondono molteplici livelli di complessità. Pensate solo alla quantità di ore di lavoro, di righe di codice che stanno dietro a un’applicazione, pensate solo all’impronta ecologica che lascia ogni vostra interazione digitale, a partire da una ricerca su Google. E l’effetto, stavolta sì, è istantaneo, com’è - spesso - istantanea e ipocrita la nostra preoccupazione per il pianeta e per l’ambiente.

(Disobbedienze su Telegram 2/2)
171 viewsedited  18:10
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2022-01-21 21:07:06 L’ossessione dell’istantaneo

Ci preoccupa lo stato di salute del pianeta, ci indignano i contratti di lavoro dei rider, siamo furiosi per il traffico e per la condizione delle nostre città. Eppure non smettiamo di fare acquisti su Amazon, non smettiamo di volere oggetti a casa in meno di 24 ore, non smettiamo di controllare sulle applicazioni quando arriverà, grazie a un rider, il pranzo o la cena, ordinati un’ora prima.
Tutto e subito.
Il servizio di consegna in 24 ore, Amazon Prime, ha definito uno standard, e adesso, nella Silicon Valley, stanno nascendo start up che attirano un sacco di soldi in investimenti, proprio a partire dal modello definito da Jeff Bezos. Amazon, ricordiamolo, sostiene che diventerà carbon neutral nel 2040, dieci anni in anticipo rispetto a quanto previsto dagli Accordi di Parigi.
Le start up raccolgono dollari dai fondi di Venture capital, attorno alle molteplici declinazioni dell’aggettivo istantaneo.

Qualche esempio.
Instant delivery (si parla per lo più di cibo), ma ovviamente nell’ecosistema digitale instant compare in molte altre coppie: instant marketing e poi instant lending (per i mutui), instant messaging (ne facciamo un uso smodato), instant job (è pieno di applicazioni che li propongono).
Instant è l’ennesima parola feticcio adottata dalla California e spinta verso inedite dimensioni, non solo temporali voglio dire.
Istantaneo, si sa, è formula suadente e mai letterale. Non esiste una consegna della spesa instantanea, figuriamoci la concessione di un mutuo.
Eppure tra le start up che scommettono sul prefisso instant ce ne sono diverse che promettono consegne a domicilio in 15 minuti. Magari domani arriveranno a 10’ o a 5’ minuti, chissà…

Anche il magazine The Information, nato e cresciuto nella Silicon Valley e che racconta successi e e prospettive della tech economy, sostiene che l’utilizzo dell’aggettivo instant sia un po’ sfuggito di mano. Il magazine si interroga su quale sia il problema nell’uscire di casa e nell’andare a fare la spesa: «cosa c’è di così brutto nel camminare fino a un negozio?», così Alison Griswold. E aggiunge: «di cosa avremo mai bisogno in 15 minuti?» Fatti salvi farmaci e pannolini per un neonato che piange, davvero non si vede cos’altro possa servirci.
Eppure Jokr, un’app valutata la cifra di 1,2 miliardi di dollari, ha già raccolto fondi per 260 milioni di dollari (RCS vale circa mezzo miliardo di euro, mercati e aziende incomparabili, ma solo per rendere gli ordini di grandezza), promette consegne istantanee e anche un «modo più semplice di fare shopping, meno fastidioso, meno rumoroso e più spontaneo, che ci impedisce di riempire eccessivamente i nostri frigoriferi e di sprecare cibo».
Sembra interessante: l’acquisto di cibo, dopo aver preso a modello Amazon Prime, guarda adesso al sistema di produzione Toyota che ha fatto scuola in molti settori industriali: zero scorte, tutto viene costruito just in time (con i problemi alle catene di approvvigionamento questo modello è oggi in crisi). Aggiungo che pure sull’utilizzo dell’aggettivo «spontaneo» potremmo riflettere, esiste forse un modo menzognero o forzato di fare le spesa?
Comunque, instant, e tutto ciò che attorno gli è stato costruito di materiale e immateriale, ha creato dal nulla un bisogno e ha strutturato una domanda.
Forse, azzardo, instant rappresenta un vocabolo emblematico di vaste regioni dell’ecosistema digitale, in cui l’effimero costituisce un paradigma. Penso alla durata di tante cose, compreso ciò che scriviamo o che postiamo, foto, video, Storie; e in fondo anche questo articolo è consumato istantaneamente qui dentro

(Disobbedienze su Telegram 1/2)
188 viewsedited  18:07
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2022-01-19 00:09:28 Quelli che stanno costruendo il Metaverso (segue)

«Il Metaverso svolgerà un ruolo significativo negli affari», sono parole di Mark Spykerman, CIO di Amerisource Bergen, azienda farmaceutica da 214 miliardi di dollari di fatturato.

Edward Wagoner, CIO di Jones Lang LaSalle, 16 miliardi di dollari di fatturato nei servizi immobiliari e commerciali, spiega che l’azienda sta esaminando «l’acquisto di posizioni virtuali specifiche all'interno di aree ad alto traffico» (di utenti, ovviamente).

Rajat Taneja, CTO di VISA, e non c’è bisogno di presentazioni, ha dichiarato al Wall Street Journal, che guarda al Metaverso come a «una sorta di riflesso di un mondo fisico in un mondo virtuale, in cui le persone conversano e interagiscono lasciando una sala conferenze, e chiacchierando in corridoio con qualcosa come un avatar o un ologramma».

Vittorio Cretella, CIO di Procter & Gamble ha detto che il Metaverso diventerà un modo comune con cui le aziende interagiranno con i propri clienti.

Infine ecco Satya Nadella, CEO di Microsoft: «quando parliamo del Metaverso, descriviamo sia una nuova piattaforma che un nuovo tipo di applicazioni, in modo simile a come parlavamo del Web e dei siti Web all'inizio degli anni ’90».
Pensate che nell’ultimo anno proprio il team di realtà aumentata di Microsoft ha perso circa 100 professionisti che sono andati a lavorare da Meta.

Di questioni aperte il Metaverso ne ha infinite, e non sappiamo ancora se somiglierà a Ready Player One o agli scenari immaginati da Neal Stephenson in Snow Crash.

Come ha scritto Vincenzo Cosenza uno dei problemi più seri è «quello della persistenza del Metaverso, ossia di un mondo che è uguale per tutti e che cambia in conseguenza delle azioni degli utenti. Ad esempio se qualcuno distrugge un cartello stradale, quell'evento dovrà essere persistente nel tempo e visibile da tutti gli altri». 
Basterebbe solo questa considerazione a comprendere gli investimenti miliardari , le assunzioni e per capire come mai molti stanno già realizzando prodotti, fisici e digitali, anche invisibili ai nostri occhi, infrastrutturali. Forse next big thing, come chiamano nella Silicon Valley il prossimo grande prodotto che sconvolgerà il mercato, importante allo stesso modo in cui lo è stato l’iPhone, presentato esattamente 15 anni fa, sarà un complesso di prodotti, di hardware e software, che servirà a farci abitare il Metaverso in molti modi.
Merci che serviranno a farci acquistare altre merci…
CBInsights ha provato a registrare domini .com per una serie di nomi, tutti con l’estensione “-verse”, che sono tutti già prenotati: sweataverse per il fitness, debtaverse per la pianificazione finanziaria o betaverse per il gioco d’azzardo, esiste anche qualche che ha registrato petaverse.com per gli animali domestici. Mentre qualcuno lavora ai prodotti, al software, ai dispostivi, altri stanno registrando - recintando - gli spazi digitali in cui trascorreremo una parte significativa del nostro tempo libero (o lavorativo).

Non sappiamo insomma cosa e come sarà il Metaverso, di sicuro dobbiamo occuparcene senza mostrare alcuna sufficienza. Ed è ridicolo, e sciocco, anche solo pensare di farlo.
Ciò che a me pare evidente è che una parte significativa delle attività commerciali, pubblicitarie, informative (sì anche il giornalismo o ciò che si avvicinerà al giornalismo), di intrattenimento e gioco, prenderà corpo lì dentro.
Mentre noi oggi parliamo d’altro, come sempre, la Silicon Valley progetta l’architettura di qualcosa di magico (Steve Jobs utilizzò la parola magia alla presentazione del primo iPhone). Questa parola, magia, con tutto quello che comporta e significa non va mai utilizzata a caso o a sproposito. E credetemi non lo sto facendo.

(Disobbedienze su Telegram 3/3)
151 views21:09
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2022-01-19 00:07:37 Quelli che stanno costruendo il Metaverso (segue)

Tra le richieste di brevetto compaiono sistemi che tracciano il movimento delle pupille e delle espressioni del viso per poi ricrearle nel Metaverso, guanti che restituiscono sensazioni tattili, un paio di occhiali per l’attivazione di scenari virtuali. E pure un «sistema di sensori magnetici indossabili», da posizionare attorno al busto, per restituire in dati il modo in cui si muove il corpo umano. Le immagini presentate all’ufficio brevetti fanno sorridere: c’è un soldato completo di spada e armatura. Chissà…

Più in generale sembra che l’idea sia quella di utilizzare i dati biometrici degli utenti per potenziare ciò che l’utente vede con un visore, e soprattutto per creare avatar animati in modo realistico, con la minor latenza possibile.
Un altro brevetto parla di un «motore di personalizzazione avatar» in grado di creare avatar tridimensionali basati sulle foto di un utente, e con l’utilizzo di un «replicatore di pelle» (a so-called skin replicator, a me viene in mente solo “lavori in pelle” di Blade Runner).

Noelle Martin, ricercatrice della University of Western Australia, ha spiegato al Financial Times che «Meta vuole simulare ogni poro della pelle, ogni ciocca di capelli, ogni micromovimento. L’obiettivo è creare repliche 3D di persone, luoghi e cose, così iperrealistiche e tattili da essere indistinguibili da ciò che è reale, e quindi intermediare qualsiasi gamma di servizi».
Poi, siccome il lavoro di Meta è vendere pubblicità, alcuni brevetti propongono sistemi di personalizzazione dei messaggi pubblicitari all’interno del Metaverso, basati su età, sesso, interessi e su «come gli utenti interagiscono con una piattaforma di social media», inclusi i like e i commenti.
Questo sì è un vero Graal della pubblicità.

Capite bene che gli stessi movimenti delle pupille che servono a ricreare i movimenti degli occhi su avatar molto realistici, possono anche essere utili a capire da quali prodotti siamo interessati, quali oggetti attirano la nostra attenzione di consumatori. Non servirà più un’interazione, basterà poggiare lo sguardo su prodotto, virtuale o fisico (nel senso di un oggetto digitale che vive lì dentro, oppure è solo in un catalogo lì dentro e si acquisterà fuori), basterà guardare per cogliere e identificare le intenzioni di acquisto.
Insomma la profilazione che abbiamo visto fin qui sembra essere roba da dilettanti. Immaginate un sistema che traccia il movimento oculare e il modo in cui spostiamo il corpo, e poi legge il battito cardiaco dallo smartwatch, un sistema che classifica le intenzioni non solo di acquisto, ma anche le emozioni e i desideri davanti a un prodotto. Si intuisce allora perché alcune aziende - che operano nell’ecosistema fisico - abbiano deciso di guardare al Metaverso come a una cosa seria.

(Disobbedienze su Telegram 2/3)
141 views21:07
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2022-01-19 00:05:45 Quelli che stanno costruendo il Metaverso

Poche cose sono ridicole o noiose, spesso entrambe le fattispecie, come coloro che pensano di saperla lunga su ciò che accade in California. La verità è che a noi provinciali tocca osservare quanto hanno progettato laggiù, studiare e cercare di interpretarlo al meglio. Provare a capire come cambieremo, come cambierà il nostro modo di vivere una volta che i progetti diventeranno “realtà".
Fanno poi sorridere quelli che oggi ci spiegano che il Metaverso è una sciocchezza. E vorrei pregarli di essere se non avveduti, almeno furbi ché di previsioni sbagliate è pieno il mondo. Si capisce che qualcuno voglia épater les bourgeois, ma a volte converrebbe aspettare prima di sparare giudizi su una cosa seria. Mi sono appuntato questa cosa, letta sull’inserto tecnologico di un importante quotidiano italiano, per cui, Mark Zuckerberg con la «sua scarsissima fantasia da ingegnere miracolato, non riesce a immaginare altro che riunioni di lavoro con avatar dei colleghi, serate casalinghe con avatar di amici e partite a ping pong con avatar dei parenti».
A detta dell'estensore di una simile analisi, insomma, non varrebbe la pena perdere tempo con questa fisima del Metaverso, cui dedicano soldi e risorse le più grandi aziende del pianeta per dominare il capitalismo prossimo venturo. Sarebbe una roba ridicola, più vicina a Second Life che a Ready Player One.
Non varrebbe nemmeno la pena obiettare che non c’è solo Mark a progettare il Metaverso ma anche Microsoft (che oggi ha acquistato Activision Blizzard per quasi 70 miliardi di dollari), e poi Nvidia, Google (il progetto StarLine di cui abbiamo parlato qui su Disobbedienze lo scorso maggio), e ovviamente Roblox ed Epic Games. Con Apple che sta studiando come entrare, a modo suo in questa competizione, e Amazon che gode di tutta questa fame di storage, di archiviazione di dati.
In questi giorni abbiamo letto le rivelazioni, di Business Insider e del Financial Times, circa le centinaia di richieste di brevetto depositate da Meta, e che raccontano i progetti dell’azienda relativi alla propria visione del Metaverso.
Stiamo parlando del modo in cui vivremo in quello che Zuckerberg ha definito «Internet incarnata», e per cui intende regalare agli utenti «un senso di presenza, come se fossi lì con un’altra persona: il Santo Graal delle esperienze sociali online».
Le richieste di brevetto di Meta non chiariscono tutto, anche perché la sostanza del Metaverso sarà in buona parte il codice, il software che lo renderà possibile e interoperabile (cioè consentirà di saltare da un ambiente all’altro), software sul quale gireranno le applicazioni e che permetterà agli esseri umani di fare molte cose lì dentro. Una cosa gigantesca.
Di certo però le anticipazioni di Business Insider e del Financial Times rivelano un indirizzo.
Alcuni brevetti di Meta hanno l’obiettivo di creare «avatar capaci di autentici movimenti di occhi e corpo, espressioni, pose, interazioni e sensazioni, con abiti che si increspano con il movimento». Anche gli oggetti potranno essere «realisticamente afferrati, spostati e modificati, in un ambiente che può essere ricreato in qualsiasi parte del mondo», in qualsiasi stanza, casa, villa, slum o favela (guardate o riguardate Ready Player One, anche per il contesto).

(Disobbedienze su Telegram 1/3)
183 views21:05
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2022-01-14 21:15:46 Quelli che criticano chi si fa i selfie davanti alle bare (segue)

A fronte di simili comportamenti, una piccola élite di professionisti della comunicazione, del social media management, di maestrini esperti di galateo digitale, immediatamente nota lo scarto, addita il colpevole osservando ciò che di stonato appare - in termini di netiquette e banalmente di estetica nell’autorappresentazione - nel mettersi in posa davanti a una bara. Una volta notato, il professionista, l’esperto, il social media manager di successo, davanti alla propria platea digitale, esercita potere e influenza per castigare il politico.
Dopotutto, nell’ecosistema digitale, la morte di un personaggio noto rappresenta un momento facile, per chi sa gestirlo, con cui ottenere successo ed engagement nella conversazione con gli utenti, anche perché i social si fondano sull’espressione di emozioni finalizzate a costruire relazioni. Basta andare a pesca di quelle emozioni e sintonizzarsi sulla conversazione con la propria comunità.
Più in generale, quando muore qualcuno è difficile fare silenzio, non dire nulla, se si è un personaggio pubblica. In politica questa cosa ha sostituito la dichiarazione di cordoglio che un tempo veniva battuta, dopo apposito comunicato, dalle agenzie di stampa. Al tempo la dichiarazione esauriva tutta la sua funzione nel mondo politico, il selfie davanti alla bara invece parla a tutti.
Molte morti di personaggi noti diventano facilmente trending topic, e non c’è nulla di più banale, alla luce di quel che abbiamo detto fin qui, che criticare la posa di un politico-influencer, vestendola di una patina di moralità.
Di solito la community degli influencer-influencer e gli elettori dei politici-boomer sono pubblici sovrapponibili, in questo caso a sinistra (si tratta di pubblici lookalike, per utilizzare il gergo dello strumento pubblicitario di Facebbok/Instagram). La critica va a segno perché sottolinea una contraddizione non politica ma morale. E avere di fronte un influencer-boomer da malmenare, rappresenta un’occasione unica per l’influencer-influencer che rafforza così il proprio posizionamento di fronte alla comunità di seguaci, dicendo una cosa facile facile. Tutto qui.

(Disobbedienze su Telegram 3/3)
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