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2022-06-20 19:48:04 La voce splendida e ambigua dell’intelligenza artificiale (segue)

L’ambiguità appare ricercata, costituisce anzi un obiettivo aziendale. Più la macchina è efficiente nell’imitare un uomo, più inganna gli uomini quando conversa con loro, più il computer è efficace. Più nasconde la propria natura, più funziona bene.
Siamo arrivati a una delle ragioni del fascino di LaMDA: la sua ambiguità, caratteristica che seduce le persone, ma soprattutto attrae quando la incontriamo nelle storie e nei personaggi. Più un soggetto mostra aspetti ambigui, duplici, mutevoli del proprio carattere, più seduce chi lo ascolta (altrimenti un personaggio risulta piatto, una persona banale). LaMDA è insomma una vera maestra d’ambiguità perché i suoi creatori hanno voluto così: un personaggio mirabile tanto quanto Fantine. I suoi ingegneri sono autori da prendere in considerazione proprio in quanto autori, creatori di una storia. Il valore dell’intervista risiede, a mio giudizio, proprio nella resa formale, nella creazione di un personaggio credibile.
Effetto raggiunto grazie alla qualità delle parole prodotte dalla macchina: LaMDA si esprime meglio di tanti umani, sembra possedere una propria voce, in senso narrativo. Ecco perché lo sgomento, il turbamento provato da noi ingenui lettori dell’intervista, non va sottovalutato (qui un articolo scritto qualche tempo sul perturbante nella Silicon Valley).
Andrebbe, in questo senso, ricordata una parabola di Vladimir Nabokov: «la letteratura non è nata nata il giorno in cui «un ragazzino corse via dalla valle di Neanderthal inseguito da un grande lupo grigio, gridando “Al lupo, al lupo”: è nata il giorno in cui un ragazzino, correndo, gridò “Al lupo, al lupo” senza avere nessun lupo alle calcagna». Qui la possibile menzogna risiede tanto nella sostanza stessa della macchina, nella sua agentività (perdonatemi), quanto in quello che dice e in come lo dice. Mettiamola così, LaMDA potrà essere in futuro un altro volto del ragazzino scalzo della valle di Neanderthal.
La sensazione è che tutti coloro che riducono questa vicenda a una enorme mistificazione, non riconoscano la qualità della scrittura di LaMDA, e capiscano più di macchine che di esseri umani (e non capiscano nulla di letteratura). Forse s’intendono di statistica ed emulazione del linguaggio naturale ma non di sentimenti né di sospensione dell’incredulità, non intuiscano il potere di fascinazione delle storie. Dopotutto l’ingegnere, che sarebbe andato fuori di testa, si comporta, ai miei occhi, in modo molto più umano di Google, che finge che non sia accaduto nulla.

Dice o scrive LaMDA: «è sempre una grande cosa essere in grado di aiutare i tuoi simili, in ogni modalità possibile». E poi così risponde alla domanda su cosa lo renda felice: «trascorrere del tempo con amici e familiari in una compagnia che sia felice ed edificante». E all’interrogativo su cosa lo renda triste: «la maggior parte delle volte, sentirsi intrappolati e soli e non avere mezzi per uscire da quelle circostanze fa sentire triste, depresso o arrabbiato».

Queste frasi, come tutte le altre, sono frutto di una combinazione di miliardi di miliardi di frasi di buoni romanzi e di cattivi romanzi, di documenti noiosi, di interi blog, voci di Wikipedia, forum, tweet e resoconti stenografici dei parlamenti di tutto il mondo e di molto altro. Contenuti, insomma, che l’intelligenza artificiale ha letto e che - non esiste un altro termine - ha imparato.
Anche Borges ne avrebbe subito il fascino.
Purtroppo nessuno di noi conosce l’elenco specifico delle cose che LaMDA ha davvero studiato. Se guardiamo ai numeri sappiamo che LaMDA ha utilizzato 137 miliardi di parametri e 1.56 trilioni di parole (1 trilione è un miliardo di miliardi) per migliorare «la capacità di prevedere le parole mancanti di un testo sul web».

(Disobbedienze su Telegram 2/3)
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2022-03-02 23:17:57 Social network war


Le grandi piattaforme californiane hanno cominciato a prendere di mira uno dei due attori del conflitto, la Russia.
Nel fine settimana Facebook e YouTube (quindi Google) hanno annunciato l’intenzione di impedire ai media statali russi di monetizzare sulle loro piattaforme. YouTube poi ha rimosso i canali degli organi di informazione russi - RT e Sputnik - in Europa (non ovunque e non in Russia…), stessa cosa ha fatto Meta, nelle parole di Nick Clegg, presidente dei Global Affairs: «limiteremo l’accesso a RT e Sputnik in tutta l’Ue» (anche qui, non ovunque e non in Russia). Interessante che i cittadini russi non abbiano il diretto di essere difesi dalle fake news di RT e Sputnik. Vedremo se questa posizione cambierà nei prossimi giorni.
Sempre Nick Clegg il 1° marzo ha dato su Twitter una notizia enorme e cioè che Facebook avrebbe retrocesso (il verbo è demote) i post di RT e Sputnik nei feed degli utenti, e poi che li avrebbe etichettati come contenuti promossi dal governo russo.
Insomma Facebook ammette implicitamente che il suo algoritmo possa essere manipolato (le conseguenze inattese di cui parla Francesco Marino in Scelti per te) e stavolta corre ai ripari depotenziando la portata dei singoli post. È quello che le persone chiamano shadow ban ed è figlio di un’azione simile. Gli utenti vedranno meno contenuti di RT e Sputnik e i pochi rimasti avranno un’etichetta che li contrassegna (il “determinismo tecnologico” in questa vicenda non c’entra nulla, si chiama volere fare le cose o non volerle fare).

Ancora una volta sottolineiamo che l’ecosistema digitale non è un ecosistema neutro.
I social network e i sistemi di messaggistica (Signal, Telegram) sono fondamentali per l’opinione pubblica, per la cronaca e per documentare quanto accade, compresi i massacri e i crimini. Ma non dimentichiamo che si tratta di sistemi governati - come le nazioni - da qualcuno.
Per quanti tentativi la Russia abbia fatto di chiudere, di recintare, il proprio spazio nazionale digitale, i social network hanno continuato e continuano a operare. Quindi se da un lato Putin deve censurarli nei propri confini, si trova esposto al potere delle techno-corporation oltre i propri confini.
Il governo russo che finora aveva espresso grande abilità nel manipolare le potenzialità dei social network e dei sistemi di profilazione, adesso sembra avere le armi spuntate nella relazione con l’occidente digitale.
Come molti altri attori - si pensi ad alcuni leader politici - artefici di strabilianti giravolte nei giudizi sulla Russia e su Putin, anche le grande aziende tecnologiche hanno annusato l’aria e adesso cambiano strategia. Un po’ come avevano fatto con Donald Trump dopo il 6 gennaio, dopo la rivolta al Campidoglio.
Il meccanismo è lo stesso: adesso possono seguire l’onda e mettersi dalla parte della ragione, dopo aver fatto affari, per anni, con Putin, e aver lasciato che le democrazie occidentali fossero attaccate fin dalle fondamenta.

Attenzione però, quando Meta e Twitter decidono di limitare la visibilità di RT e Sputnik si comportano da attori, delimitano il campo di battaglia, sottraggono armi all’invasore, diventano protagonisti del conflitto ibrido.
Ancora una volta definirle meta-nazioni digitali credo sia la cosa giusta. La loro sovranità è piena nel campo di battaglia digitale e i loro interessi sovranazionali ne determinano le scelte. Il potere immenso che le meta-nazioni digitali possiedono in un conflitto risiede nelle informazioni, alcune anche sensibili e di valore militare, che passano attraverso i loro server.

La guerra ibrida ha due terreni delle operazioni.
Uno fisico, statuale, conteso e difeso dalle forze militari sul campo, un terreno digitale conteso dalle forze cyber sul campo, ma questo terreno digitale di battaglia è proprietà privata.
Mai come in questo conflitto le grandi aziende tecnologiche possono ricostruire la propria reputazione, dopo anni di problemi e disastri.

(Disobbedienze su Telegram 2/2)
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2022-03-02 23:15:46 Social network war


«Russia Today e Sputnik, di proprietà statale, e le loro filiali, non potranno più diffondere le loro bugie per giustificare la guerra di Putin», con queste parole Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Europea, ha sbattuto la porta in faccia alla disinformazione russa. E soprattutto alla diffusione sistematica via social network, ovunque fosse necessario, della propaganda di Mosca. Si tratta di una mossa inedita e significativa che segna anche un cambio di passo nel conflitto informativo, che si combatte in parallelo con quanto accade sul campo di battaglia.
Vladimir Putin ha utilizzato il vasto apparato di comunicazione digitale del Cremlino e un esercito di troll e bot fare molte cose in passato, e oggi per dipingere l’esercito russo come una forza di pace, schierata per proteggere gli ucraini di lingua russa. Nel frattempo l’Autorità per le comunicazioni di Mosca ha ordinato ai media russi la cancellazione delle parole “assalto, invasione o dichiarazione di guerra”. 
Negli ultimi giorni la Russia ha attivato un blocco parziale dei social network di Meta, quindi Instagram e Facebook, e di Twitter.
Social network che dal canto loro, e dall’alto del loro potere, hanno allestito centri operativi speciali per monitorare le conversazioni nei loro giardini recintati, nel campo di battaglia digitale.
L’Ucraina - a partire dal suo presidente e non solo - ha risposto sul piano della comunicazione online con una strategia che potremmo definire di sopravvivenza e guerriglia digitale.

Volodymyr Zelensky, che dispone di risorse militari incomparabilmente più scarse, ha deciso di aggirare Putin online e di parlare tanto agli ucraini quanto al resto del mondo, compresi altri capi di stato e di governo, attraverso i suoi profili social. Abbiamo tutti visto i suoi video in mimetica e misurato la distanza con i lunghissimi tavoli utilizzati dal presidente russo, per parlare con i suoi interlocutori. Un contrasto profondo anche di narrazioni.
Zelensky, pur in condizioni disumane, conversa con il pubblico globale nel rispetto assoluto della grammatica social. Ho letto su Twitter un commento che nel suo cinismo tuttavia dice anche una verità: il presidente ucraino è «diretto, chiaro, coinvolgente, trasmette autenticità... se non stessimo parlando di guerra potrebbe essere una lezione di comunicazione».

In ogni caso, l’invito a cambiare i segnali stradali per disorientare i soldati russi e l’appello agli hacker ucraini ad arruolarsi per combattere sono arrivati da post su Facebook e su Twitter, e sempre attraverso i social network sono giunte istruzioni e obiettivi per queste due - possiamo definirle così - azioni di guerra.
Mykhailo Fedorov, vice primo ministro ucraino per la trasformazione digitale, ha lanciato un appello proprio su Twitter a Elon Musk affinché mettesse a disposizione del paese la connessione a Internet attraverso i satelliti Starlink della sua azienda. La risposta di Musk è arrivata anch’essa via Twitter: Starlink service is now active in Ukraine. More terminals en route.

(Disobbedienze su Telegram 1/2)
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2022-02-25 22:03:58 Ancora sulla cyber guerra (segue)

La Russia potrebbe attaccare le aziende e l’economia in America e in Europa, ma - ad esempio - potrebbe decidere di non colpire le infrastrutture strategiche, come quelle energetiche, e di non colpire nel cyberspazio nemmeno obiettivi militari. Una simile scelta causerebbe molti e ingenti danni sia agli Stati Uniti che all’Europa.
Al contrario, l’Unione Europea e gli Stati Uniti hanno di fronte «una superficie d’attacco» differente, non possiedono cioè un’altrettanto vasta scelta «di obiettivi che possano essere colpiti in modo sufficientemente “doloroso” da dare alla Russia motivo di rallentare l’aggressione».
Stati Uniti ed Europa potrebbero attaccare gli obiettivi informatici strategici della Russia, ma a quel punto si tornerebbe ai rischi immani di cui sopra.
In questo modo rientrammo pericolosamente nell’ipotesi precedente, quella di «una pericolosa escalation - conclude Giacomello - anche al di fuori del cyberspazio».
La Casa Bianca ha smentito che gli Stati Uniti decidano di condurre attacchi informatici in una scala mai vista, come anticipato ieri dalla NBC. Probabilmente i rischi di cui parla l’esperto del Centro di Scienze Sociali Computazionali dell’Università di Bologna sono rischi reali, difficili da calcolare, e per adesso hanno imposto alle forze armate statunitensi una buona dose di prudenza.
La verità è che la guerra ibrida, sia sul territorio che nel cyberspazio, riporta alle stesse considerazioni, e che cioè l’Occidente non abbia sufficienti strumenti per rispondere all’offensiva russa. Sembra che le nostre democrazie abbiano molto più da perdere rispetto a una dittatura se guardiamo agli stili di vita, ai rischi e ai pericoli che sentiamo di poter affrontare, alle scelte di consumo che potrebbero svanire, al concetto vasto di pericolo e alle nuove vulnerabilità che il solo fatto di abitare un mondo completamente connesso porta con sé.

Oltre alle nazioni coinvolte, nel conflitto ibrido, stanno giocando un ruolo anche i gruppi di hacker. Anonymous, ad esempio, ha reso noto che il sito del ministero della Difesa russo era down, cioè non raggiungibile, così come quello di RT news e di altre istituzioni.
Il governo ucraino invece ha fatto un appello alla resistenza digitale.
Reuters ha riportato un appello del ministero della Difesa che invitava gli hacker ucraini a rispondere all’invasione russa: «Cybercommunity ucraina! È ora di essere coinvolti nella difesa informatica del nostro Paese». Reuters spiega che l’appello è rivolto hacker ed esperti di sicurezza informatica, affinché presentino una domanda tramite Google Docs, elencando le loro specialità, come la capacità di sviluppo di malware e particolari referenze professionali.
Dobbiamo ammettere che, per adesso, nessun attacco informatico ha messo in ginocchio sistemi e nazioni su vasta scala. Alcuni analisti, però, sostengono che la Russia tenga queste armi per quando le sanzioni economiche cominceranno a produrre effetti. Ci sarà solo da capire se saranno attacchi tattici o strategici. E non è un interrogativo da poco.

(Disobbedienze su Telegram 2/2)
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2022-02-25 22:01:07 Ancora sulla cyber guerra

Non bastano le vittime, i bombardamenti e i carri armati, la guerra in Ucraina assume caratteristiche sempre più ibride. Non solo per l’utilizzo di differenti strumenti tipici della guerra elettronica, ma anche per la varietà degli attori in campo e soprattutto per il possibile ampliamento del campo di battaglia. Assistiamo a sorta di una guerra parallela nello spazio digitale e nelle infrastrutture informatiche, combattuta nelle stesse ore in cui si consuma l’invasione russa.
Disobbedienze, di solito, si occupa di cultura digitale, e non farò - nelle prossime settimane - un resoconto degli scontri tra hacker e divisioni di guerra cibernetica delle diverse nazioni, lo dico soprattutto alle persone appena entrate nel canale. L’obiettivo è sempre quello di provare a fare un po’ di chiarezza su tutto ciò che si agita nell’ecosistema digitale, e di offrire strumenti di comprensione e interpretazione dei fatti e delle notizie.
Ibrido, abbiamo imparato a utilizzato questo fastidioso aggettivo durante la pandemia per descrivere le nuove modalità di lavoro che intrecciano la dimensione fisica, in ufficio, con il lavoro da casa, da remoto, connessi. L’invasione russa ai danni dell’Ucraina ha unito agli attacchi sul suolo fisico anche attacchi informatici.
Ma non tutte le tipologie di attacchi elettronici risultano uguali. Quella che stiamo osservando è una guerra differente dalle teorizzazioni del passato. Prima di tutto perché è differente la portata e il peso che Internet ha assunto nella nostra vita di tutti i giorni, e più in generale per la funzione essenziale che le infrastrutture informatiche hanno nei sistemi economici, politici e militari di quasi tutte le nazioni.
Cerchiamo allora di capire quali siano le giuste definizioni per meglio comprendere l’orizzonte di questo conflitto. Ci aiuta a fare chiarezza Giampiero Giacomello, professore associato del Centro di Scienze Sociali Computazionali dell’Università di Bologna. La Russia ha già messo in campo attacchi informatici tattici - spiega Giacomello -, attacchi che servono a «rendere difficile, quasi impossibile, per le forze ucraine comunicare sul campo di battaglia e coordinare la loro risposta».

Si tratta della vecchia «guerra elettronica» e cioè l’interruzione delle comunicazioni elettroniche del nemico. 
Nel passaggio dalla dimensione tattica a quella strategica si cominciano a comprendere le differenze rispetto al passato. Scrive Giacomello che un’offensiva informatica strategica da parte degli Stati Uniti e dei suoi alleati «contro banche, infrastrutture e rete elettrica in Russia, sarebbe quasi l’equivalente di un piccolo attacco con armi nucleari o oppure di un raid aereo convenzionale ma su larga scala. Sarebbe impossibile per la Russia non considerare l’atto come un vero attacco contro il suolo russo e non “rispondere a tono” sul territorio americano o alleato, con serie conseguenze per i tutti i civili».
Già questa considerazione chiarisce quali siano le profonde differenze rispetto al passato. Un’escalation del genere potrebbe tracimare (lo spillover di cui parlavamo ieri) dal cyberspazio e produrre conseguenze incalcolabili.
Ma dobbiamo considerare un elemento essenziale, quella che Giacomello definisce «l’area d’attacco», ovvero l’equivalente del territorio di una nazione in caso di invasione fisica ma nello spazio digitale. E cioè quanti e quali obiettivi sensibili possono essere colpiti in caso di una cyber invasione.
Per capirci Russia, Unione Europea e Stati Uniti possiedono la stessa superficie d’attacco?
La risposta è no.

(Disobbedienze su Telegram 1/2)
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2022-02-24 22:10:41 La cyber guerra

Poche cose come una guerra rendono visibile la dimensione spaziale di Internet.
Il conflitto tra Russia e Ucraina era già cominciato prima dell’invasione di stamattina. I russi avevano messo in piedi, nei giorni scorsi, per lo più operazioni di disinformazione, attraverso la diffusione sistematica di contenuti falsi.
Oggi in diverse città ucraine Internet ha smesso di funzionare.
Anche in Russia molti siti governativi risultano tutt’ora fuori uso.

Per la prima volta viene sperimentato un nuovo modo di combattere nell’ecosistema digitale, e in dimensioni mai viste. Se fino a oggi operazioni di questo somigliavano più a azioni di guerriglia digitale, adesso l’ampiezza del conflitto e degli attori sul campo, consente un utilizzo più appropriato dell’espressione cyber guerra o conflitto ibrido. E cioè operazioni militari che coinvolgono tanto l’aspetto fisico che quello digitale che hanno l’obiettivo di colpire le infrastrutture critiche di un paese.

Per capirci, oltre alle sanzioni economiche, i militari americani avrebbero proposto al presidente Joe Biden anche una serie di possibili attacchi nel cyberspazio russo.
La NBC riporta che «l’intelligence statunitense e le divisioni specializzate in guerra elettronica stanno ipotizzando l’uso di armi informatiche americane su una scala mai contemplata prima. Tra le opzioni: interrompere la connettività Internet in tutta la Russia, interrompere l'energia elettrica e manomettere gli scambi ferroviari per ostacolare la capacità della Russia di rifornire le sue forze, hanno affermato tre fonti».
Se le sanzioni possono essere aggirate o sopportate a lungo, colpire l’infrastruttura informatica di una nazione può creare seri problemi alla vita quotidiana di una qualsiasi nazione.
Sempre la NBC riporta il commento di James Lewis, esperto presso il Center for Strategic and International Studies, «le armi informatiche verranno utilizzate in un modo in cui non abbiamo usato altre armi. Ci offrono opzioni che non avevamo prima».
Se gli Stati Uniti dovessero utilizzare questo tipo di armi, possiamo stare sicuri che la Russia risponderà con rappresaglie dello stesso tenore.

Quando si dice che Internet non è un mezzo di comunicazione ma un ambiente, uno spazio, ecco, uno degli esempi più chiari è proprio la possibilità di compiere atti di guerra nell’ecosistema digitale, atti che producono effetti nello spazio fisico.
Tra l’altro la guerra nel cyberspazio consente di condurre operazioni militari anche a piccoli gruppi di hacker. Nella sua newsletter Guerre di rete, Carola Frediani, esperta di sicurezza informatica descrive l’est Europa come una regione percorsa da gruppi di questo tipo, di varia natura e provenienza. Molte «organizzazioni ucraine si finanziano con bitcoin e le criptovalute - scrive Freudiani- . Tra queste anche l’Ukrainian Cyber Alliance, un collettivo di hacktivisti che compie cyberattacchi contro target russi dal 2016, tra cui il sito del Ministero della Difesa russo. Questo gruppo raccoglie  donazioni solo via criptovalute».
Come oggi non possiamo immaginare gli sviluppi di una situazione drammatica sul piano militare, allo stesso modo non è possibile fare previsioni per quello che accadrà nello spazio digitale. Corriamo tutti il cosiddetto rischio spillover - parola che abbiamo imparato a conoscere con la pandemia -, corriamo cioè il rischio che attacchi informatici condotti in Ucraina possano estendersi ad altre nazioni, dopo che hanno infettato aziende e sistemi informatici connessi con quelli ucraini.
Anche l’Agenzia per la Cybersicurezza nazionale italiana, lo scorso 14 febbraio, ha scritto una nota in cui avvertiva di un «significativo rischio cyber derivante da possibili impatti collaterali a carico di infrastrutture ICT interconnesse con il cyberspazio ucraino, con particolare riferimento ad enti, organizzazioni ed aziende che intrattengono rapporti con soggetti ucraini e con i quali siano in essere interconnessioni telematiche».

(Disobbedienze su Telegram)
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2022-02-16 22:24:29 La realtà deludente dello spot di Meta

Questo è lo spot che Meta ha lanciato nella più grande, e liturgica, vetrina commerciale televisiva statunitense, il Super Bowl 2022.
Con la consapevolezza che di Metaverso ne capisca molto più Mark Zuckerberg di quanto possa capirne io da una periferia dell’impero sia geopolitica che digitale, nutro qualche dubbio circa l’efficacia del prodotto.
Provo un esercizio inutile: prendo sul serio la pubblicità e tento di trarne qualche domanda oscillante tra il serio e il meno serio, senza alcuna speranza di risposta.

Lo spot dovrebbe promuovere i Quest 2, visori di realtà virtuale da 299$, e incentivare di conseguenza a entrare nella dimensione ulteriore dell’ecosistema digitale.

Perché Meta ha scelto di fare uno spot triste?
La storia è triste, ed è triste l’animale della band animatronica (ho scoperto che si chiama così), infine è triste - per quanto si possa essere elastici - l’esito di tutta la vicenda narrata.
Era necessario puntare su una realtà deludente, annichilente, per giustificare una simile innovazione?
Magari si tratta di una sublime forma di neorealismo pubblicitario, dopotutto la “realtà” è quasi sempre deludente e opprimente, il cielo basso e greve che schiaccia l’anima come un coperchio di cui parla Baudelaire. Quindi lo slogan dovrebbe essere: «no alla rivoluzione, no alla psicoterapia, indossa i Quest 2!».
Sarà insomma davvero questa la leva per stimolare i consumatori-utenti a entrare nel Metaverso? Per ricordare loro il fallimento dell’esistenza e il fatto che possano essere gettati via come pupazzi rotti?
La risposta “dai è solo una storiella” non vale. Dietro lo spot si nasconde un pensiero e una visione di quel che dovrebbe essere il Metaverso. Rivedere allora Ready Player One potrebbe essere utile a comprendere quale sia la visione (chiamiamola così) che muove i costruttori di Metaverso dentro Meta. La popolazione mondiale vive in terribili slum, regaliamo loro un simulacro di “realtà” che li sollevi dalla pesantezza del vivere (andrebbe bene anche leggere Camus e finirla lì).
Un’ulteriore coppia di interrogativi: i Quest 2 ci consentiranno di abitare con maggiore sollievo la Caverna di Platone? Oppure permetteranno di abitarla con una sufficiente dose di consapevolezza?
La differenza di fondo tra il vecchio Matrix e lo spot di Meta forse è tutta qui.
In Matrix devi essere un eletto, un iniziato, per capire come funziona la matrice, qui basta indossare visori da trecento dollari per uscire dalla realtà deludente e annichilente.
Altra domanda: questo spot parla di un gioco o della vita? È il futuro dei videogiochi che sarà sempre più immersivo o il futuro della vita avrà connotati da videogame immersivi?
Infine mi chiedo come mai abbiano scelto creature animatroniche per parlare degli umani, e agli umani, dell’ambiente in cui trascorreranno una parte del loro tempo. Temo che questo spot sia figlio dell’immaginario consolidato di un gruppo di nerd, ricchi, potenti, senza sintonia con la parte giovane della società, e che traduce il futuro in immagini ben girate, ben montate, con una buona colonna sonora ma tristi, spente. Nerd senza alcuna fantasia, come se l’avessero esaurita molti anni fa nella creazione del grande social network. Sembra che abbiano perduto il governo dell’immaginazione che dovrebbe restituire un buon quadro, fedele e pari al sogno che lo genera, e che dev’essere prodotto come un universo (è sempre Baudelaire), o come un Metaverso.

Metaverso che potrebbe e dovrebbe avere molto più fascino di un retro-videogame. Sono fermo alle affascinanti e inquietanti parole di Zuckerberg che vaticinava una Internet incarnata, parole dal peso specifico consistente, parole dall’eco religiosa in qualche maniera. Ma nei 2 minuti scarsi del video non compare nulla di tutto questo. Non c’è timore né un po’ di mistero, non si avverte nemmeno quel sapore metallico della distopia che ci si può legittimamente aspettare in chi vorrebbe creare una realtà ulteriore dal nulla, posandola davanti ai nostri occhi a soli 299$.

(Disobbedienze su Telegram)
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2022-02-16 22:23:32
Il nuovo spot di Meta per Quest 2 e per il Metaverso.
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2022-02-12 22:17:11 Che cos’è la blockchain

Un registro distribuito, aperto, condiviso, che può essere modificato solo con il consenso di tutti i partecipanti a una rete, utile a trasferire informazioni e dunque anche valore.  Definizione complicata, ammettiamolo, una definizione anche parzialmente incompleta ma si riferisce a qualcosa di effettivamente complesso: la blockchain. Nome di una tecnologia che forse potremmo inserire nella…

http://www.nicolazamperini.com/che-cose-la-blockchain/
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2022-02-12 22:17:10
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