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Christus vincit

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Gli ultimi messaggi 23

2022-07-10 20:58:40 Inno Flos Carmeli

Flos Carmeli,
vitis florigera,
splendor caeli,
virgo puerpera
singularis.

Mater mitis
sed viri nescia
Carmelitis
esto propitia
stella maris.

Radix Iesse
germinans flosculum
nos adesse
tecum in saeculum
patiaris.

Inter spinas
quae crescis lilium
serva puras
mentes fragilium
tutelaris.

Armatura
fortis pugnantium
furunt bella
tende praesidium
scapularis.

Per incerta
prudens consilium
per adversa
iuge solatium
largiaris.

Mater dulcis
Carmeli domina,
plebem tuam
reple laetitia
qua bearis.

Paradisi
clavis et ianua,
fac nos duci
quo, Mater, gloria
coronaris.
Amen.
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2022-07-10 20:58:40 NOVENA IN PREPARAZIONE ALLA SOLENNE FESTIVITÀ DELLA BEATA VERGINE MARIA DEL MONTE CARMELO, Patrona precipua dell’Apostolato “Christus vincit”

di P. Simone Grassi, Carmelitano

Quarto giorno. La qualità di figli di Maria ci obbliga ad imitarla.

I.
O gran Madre di Dio, che, per l’altezza dei vostri meriti, siete superiore a ogni cosa creata, nel mirarci così vili dinanzi a Voi, com’è possibile che noi possiamo chiamarvi Madre? Ma pure è così! Voi che siete Madre di Dio, Voi stessa, nel darci il sacro vostro Abitino, Vi siete dichiarata Madre nostra ancora. Su dunque, mostratevi quale Voi siete, e dateci grazia di poter conoscere la dignità nostra, per corrispondere al gran debito di vostri figli. Pater, Ave et Gloria.

II. Il nostro dovere di figli vuole che siamo sempre pronti e fedeli nell’imitare le vostre belle virtù, o Maria, e, facendole nostre proprie, ci rendiamo così, quanto più è possibile, simili a Voi nelle opere. Ora, se questo è l’obbligo nostro, come lo adempiamo noi mai? Ci gloriamo di portare l’abito di vostri figli, ma dove sono in noi le opere vostre, o Maria? Pater, Ave et Gloria.

III. Oh, quanto puri convien che siano i figli di Maria, così amante del verginal candore, che, affin di mantenerlo, avrebbe rinunziato all’onore stesso di Madre di Dio! Noi miserabilissimi, che, distinti col carattere di figli di Maria, tanto poco curiamo la mondezza di cuore. Ah, Madre di purità, concedeteci di lavar col pianto le nostre colpe passate, e di preferire piuttosto la morte che il ritorno al peccato. Pater, Ave et Gloria.

IV. Fra gl’immensi vostri pregi spiccò sempre in Voi una profondissima umiltà, sì che altro vanto non aveste qui in terra, che di reputarvi umile Ancella del Signore. Gran Vergine! Voi piena di grazia, eppur sì umile; noi vilissimi peccatori, eppur sì ambiziosi e superbi. Deh, per pietà! Distruggete la nostra superbia e fate che impariamo da Voi a essere umili di cuore. Pater, Ave et Gloria.

V. Quale invincibile costanza nel patire non dimostraste in tutto il corso del viver vostro, o Madre! Noi, invece, non sappiamo soffrire pazientemente una malattia, una tribolazione e nemmeno una parola contraria. Il vostro esempio conforti la debolezza nostra, o Maria! Pater, Ave et Gloria.

VI. Era tale in Maria lo zelo dell’onore divino che, ancor bambina, lasciò il mondo per darsi a Dio nel tempio; né mai ebbe dipoi un pensiero, un desiderio, un affetto, che non fosse perfettamente unito al divino volere. Che diremo noi, che facciamo tanto per il mondo e sì poco per Gesù? Dateci, o cara Madre, un cuor di figli, onde, mutiamo anche i costumi. Pater, Ave et Gloria.

VII. Dal vivo zelo, che ebbe Maria di piacere ognor più a Dio, derivò poi la somma compassione che aveva per il prossimo, col beneficarlo sempre, più che poteva. Quanto siamo noi in ciò lontani da Lei! Gran Madre, concedeteci che, fissando sempre lo sguardo nei vostri begli esempi, procuriamo d’imitarli fedelmente, e d’essere vostri figli non solo di abito e di parole, ma, altresì con le opere. Pater, Ave et Gloria.
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2022-07-10 20:53:35 “Satis cognitum”. L’enciclica di Leone XIII sull’unità della Chiesa

La Chiesa di Cristo è dunque unica e perpetua. Chiunque se ne separa, devìa dalla volontà e dal precetto di Cristo nostro Signore, e, abbandonata la via della salute, corre alla rovina.

https://www.radiospada.org/2021/01/satis-cognitum-lenciclica-di-leone-xiii-sullunita-della-chiesa/
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2022-07-10 16:28:24 Dallo spirito di menzogna e incredulità, per il tuo Preziosissimo Sangue, liberaci!

Non c’è nessuno al mondo che non sperimenti la dolce influenza di Gesù.
Tuttavia, ci sono persone tanto lontane da lui da non avere la felicità di conoscerlo ancora. Ahimè! Sì, ci sono ancora nazioni pagane in questo mondo così bello agli occhi di Dio.

https://www.radiospada.org/2020/07/dallo-spirito-di-menzogna-e-incredulita-per-il-tuo-preziosissimo-sangue-liberaci/
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2022-07-10 10:47:55 Sermone di sant'Agostino Vescovo.
Sermone 110 su cose diverse.
Un grande spettacolo, o fratelli, è offerto agli occhi della nostra fede. Le nostre orecchie hanno inteso, la nostra anima ha contemplato una madre, che, con sentimenti affatto opposti ai voti ordinari della natura, brama di vedere i suoi figli finire questa vita prima di lei. Tutti gli uomini infatti vogliono, nel lasciar questa vita, precedere i propri figli, non seguirli; ella invece bramò di morir dopo. E ciò, perché non perdeva i suoi figli, ma se li mandava innanzi, guardando non alla vita che finivano, ma a quella che cominciavano. Essi infatti lasciavano di vivere quaggiù, dove un giorno avrebbero pur dovuto morire, e cominciavano a vivere, per vivere poi senza fine. È poco per lei l'essere spettatrice; noi l'abbiamo ammirata piuttosto esortatrice. Più feconda in virtù che in prole: al vederli combattere, ella combatteva in tutti, e in tutti vittoriosi, vinceva.

Omelia di san Gregorio Papa.
Omelia 3 sui Vangeli.
Fratelli carissimi, la lettura fatta del santo Vangelo è breve, ma importante per i grandi misteri che contiene. Infatti Gesù, nostro creatore e redentore, dissimulando di riconoscere sua Madre, fa capire chi è sua madre, e chi sono i suoi parenti, non per il legame del sangue, ma per l'unione dello spirito, dicendo: «Chi è mia madre, e chi sono i miei fratelli? Chiunque farà la volontà del Padre mio ch'è nei cieli, esso è mio fratello, e sorella, e madre» (Matth. 12:48 et 50). Colle quali parole che altro c'indica se non ch'egli raccoglie molti tra i Gentili ossequenti ai suoi precetti, e non riconosce più i Giudei, del cui sangue fu generato?
Nessuna meraviglia, che chi fa la volontà del Padre, sia detto e sorella e fratello del Signore, essendo che tutti e due i sessi son chiamati alla fede; ma fa molta meraviglia ch'esso sia detto anche sua madre. Il Signore infatti si degnò di chiamare fratelli i suoi fedeli discepoli dicendo: «Andate, avvisate i miei fratelli» (Matth. 28:10). Resta dunque a cercare come mai colui, che, venendo alla fede, è potuto divenire fratello del Signore, possa anche essergli madre.
Ora è da sapere che chi è sorella e fratello di Cristo, per il fatto di credere in lui, diventa sua madre col predicarlo. Infatti è quasi un far nascere il Signore infonderlo nel cuore di chi ascolta; e si diventa sua madre colla predicazione, quando per mezzo della propria voce si genera nel cuore del prossimo l'amor del Signore. A conferma di che, ecco a proposito la beata Felicita, il cui natale noi celebriamo quest'oggi, la quale, col credere, divenne serva di Cristo, col predicare si fece madre di Cristo. Difatti, come si legge negli atti del suo martirio più accreditati, ella si preoccupò così di lasciare vivi nella carne dietro di sé i sette figli, come i genitori carnali sono soliti temere, che non li precedano morti.

https://sardiniatridentina.blogspot.com/2017/07/i-santi-sette-fratelli-martiri-figli-di.html?m=1
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2022-07-10 10:47:55 • Commemorazione dei Santi Sette Fratelli Martiri, e delle Sante Rufina e Seconda Vergini e Martiri

Sette fratelli
, figli di santa Felicita, durante la persecuzione di Marco Aurelio Antonino, furono messi alla prova a Roma dal prefetto Publio, prima con carezze e poi con minacce, perché rinnegato Cristo, venerassero gli dèi; ma perseverando essi e per il loro coraggio e per le esortazioni della madre, nella confessione della fede, furono uccisi in diverse maniere. Gennaro, dopo essere stato percosso con verghe e straziato nel carcere, morì sotto i flagelli piombati; Felice e Filippo furono ammazzati sotto i colpi di bastone; Silvano fu precipitato da un luogo altissimo; Alessandro, Vitale e Marziale furono decapitati. Quattro mesi dopo, la madre loro ottenne la stessa palma del martirio: essi resero lo spirito al Signore il 10 di Luglio. I santi Felice e Filippo furono sepolti nel cimitero di Priscilla; i santi Vitale, Marziale ed Alessandro, nel cimitero dei Giordani; san Silvano nel cimitero di Massimo; san Gennaro infine nel cimitero di Pretestato.

Rufina e Seconda, sorelle cristiane e vergini Romane, essendosi rifiutate di maritarsi con Armentario e Verino, cui erano state promesse dai parenti, perché avevano consacrata a Dio la loro verginità, furono arrestate sotto gli imperatori Valeriano e Gallieno. Il prefetto Gaio Giunio Donato non potendo né con promesse né con minacce far cambiar loro risoluzione, dapprima fece battere Rufina colle verghe; e mentre questa veniva battuta, Seconda interpellò così il giudice: «Perché riserbi tutto l'onore a mia sorella, e a me la vergogna? Facci battere tutte e due insieme, perché confessiamo ugualmente la divinità di Cristo». A queste parole il giudice irritato ordinò di rinchiuderle tutte e due in un carcere tenebroso e fetido. Ma quel luogo riempitosi all'istante di luce risplendentissima e d'un odore soavissimo, vennero rinchiuse in un bagno d'acqua bollente. Ma uscitene illese, legata subito loro una pietra al collo, vennero gettate nel Tevere, ma liberatene da un Angelo, furono finalmente decapitate fuori di Roma, a dieci miglia, sulla via Aurelia. Era il 257. I loro corpi sepolti dalla matrona Plautilla in una sua proprietà, furono poi trasportati in Roma e riposti nella basilica Costantiniana presso il battistero.
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2022-07-10 10:42:09 Omelia di sant'Agostino Vescovo.
Libro 1 del Sermone del Signore sul monte, cap. 9.
La santità dei farisei consisteva nel non uccidere: la santità di quelli che devono entrare nel regno dei cieli è di non adirarsi senza motivo. Minima cosa è pertanto non uccidere; e colui che avrà violato questo precetto sarà chiamato minimo nel regno dei cieli. Ma colui che lo avrà osservato così da non uccidere, non sarà perciò grande e degno del regno dei cieli; pur tuttavia è già salito d'un grado: e si perfezionerà, se non si adirerà senza motivo; e se si perfezionerà, sarà molto più lontano dall'omicidio. Perciò colui che c'insegna di non adirarci, non distrugge la legge proibendoci di non uccidere, anzi piuttosto la completa; cosicché conserviamo l'innocenza e all'esterno, non uccidendo, e nel fondo del cuore, non adirandoci.
Pertanto in questi peccati di collera ci sono dei gradi: nel primo uno si adira, ma trattenendo nel suo cuore l'emozione concepita. Se il turbamento che si prova strappa a chi è sdegnato una voce, non significante niente in se stessa ma attestante questa emozione d'animo colla stessa esclamazione che sfugge all'uomo irritato, la colpa è certo maggiore che se la collera nascente si fosse silenziosamente compressa. Se poi si fa sentire non solo un grido di sdegno, ma anche una parola indicante e manifestante il biasimo che s'infligge a chi è indirizzata, chi dubiterà ciò essere colpa più grave che manifestare, col solo suono della voce, il proprio malcontento?
Osserva ora tre gradi anche nell'istruttoria della causa: giudizio, consiglio, fuoco della Geenna. In sede di giudizio si da ancora luogo alla difesa. Nel consiglio invece, sebbene ci soglia essere anche il giudizio, tuttavia perché la distinzione stessa posta obbliga di riconoscere qui qualche diversità, ci sembra che al consiglio appartenga la promulgazione della sentenza; perché allora non si tratta più d'esaminare se il reo dev'essere condannato, ma i giudici deliberano fra loro sul supplizio da infliggere a chi merita certamente la condanna. Nel fuoco della Geenna poi non c'è più dubbio quanto alla condanna, come nel giudizio, né incertezza quanto alla pena del condannato, come nel consiglio; perché nel fuoco dell'inferno, certa è la condanna, e fissata la pena del colpevole.

http://sardiniatridentina.blogspot.com/2017/07/domenica-v-dopo-pentecoste.html?m=0
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2022-07-10 10:42:09 Dal libro dei Morali di san Gregorio Papa.
Libro 4, cap. 3 e 4.
Perché mai Davide, che non ricambiò il male a chi gliene faceva, avendo appreso che Saul e Gionata erano caduti in battaglia, maledisse i monti di Gelboe dicendo: «Monti di Gelboe, non cada più su di voi né rugiada né pioggia: né ci siano campi di primizie, perché ivi fu abbattuto lo scudo dei forti, Io scudo di Saul, come se egli non fosse stato unto con l'olio!» (2Reg. 2:21)? Perché mai Geremia, vedendo che la sua predicazione incontrava difficoltà negli uditori, uscì in questa maledizione: «Maledetto l'uomo che ha annunziato e detto a mio padre: «Ti è nato un bambino»?
In che furono colpevoli i monti di Gelboe nella morte di Saul da non ricevere più né rugiada, né pioggia, e da seccare in essi ogni verdeggiante vegetazione conforme all'augurio di maledizione? Ma perché Gelboe significa corso d'acqua, e Saul, cui l'unzione non impedì di morire, essendo figura del nostro Mediatore nella sua morte, non malamente i monti di Gelboe rappresentano quei Giudei dai cuori superbi, che, abbandonandosi a una marea di cupidigie terrene, si mescolarono nella morte di Cristo, l'unto per eccellenza: e perché il re, l'unto vero, perdette la vita del corpo in mezzo ad essi, perciò, privati d'ogni rugiada di grazia, essi sono nella sterilità.
Di essi è detto con ragione che non potranno più essere campi di primizie. Infatti le anime superbe degli Ebrei non danno più frutti nuovi: perché, alla venuta del Redentore, rimasero nella massima parte nell'infedeltà, e non vollero seguire i primi insegnamenti della fede. E mentre la santa Chiesa s'è mostrata fin dai primordi precocemente feconda per la moltitudine dei Gentili generati, appena è se, negli ultimi tempi, ella raccoglierà alcuni Giudei che potrà trovare ancora, raccogliendoli come una tardiva raccolta, e serbandoli come frutti di tardiva stagione.
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2022-07-10 10:42:09 Da tutta questa considerazione nasce una grande lezione di carità, poiché come David ha risparmiato il suo nemico Saul e gli ha reso bene per male, così Dio perdona anche ai Giudei; nonostante la loro infedeltà, è sempre pronto ad accoglierli nel regno ove Cristo, loro vittima, è il re. Si comprende allora la ragione della scelta dell'Epistola e del Vangelo di questo giorno che predicano il grande dovere del perdono delle ingiurie. «Siate dunque uniti di cuore nella preghiera, non rendendo male per male, né offesa per offesa» dice l'Epistola. «Se tu presenti la tua offerta all'altare, dice il Vangelo, e ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia la tua offerta davanti all'altare e va prima a riconciliarti con tuo fratello». - David, unto re d'Israele, dagli anziani a Ebron, prende la cittadella di Sion che divenne la sua città, e vi pose l'arca di Dio nel santuario (Communio). Fu questa la ricompensa della sua grande carità, virtù indispensabile perché il culto degli uomini nel santuario sia gradito a Dio (Id.). Ed è per questo che l'Epistola e il Vangelo ribadiscono che è sopratutto quando noi ci riuniamo per la preghiera che dobbiamo essere uniti di cuore. Senza dubbio la giustizia di Dio ha i suoi diritti, come lo mostrano la storia di Saul e la Messa di oggi, ma se esprime una sentenza, che è un giudizio finale, è soltanto dopo che Dio ha adoperato tutti i mezzi ispirati dal suo amore. Il miglior mezzo per arrivare a possedere questa carità è d'amare Dio e di desiderare i beni eterni (Orazione) e il possesso della felicità (Epistola) nella dimora celeste (Communio), ove non si entra se non mediante la pratica continua di questa bella virtù.

All'Epistola. La virtù cristiana per eccellenza è la carità che mette in pratica le differenti virtù enumerate da san Pietro, secondo il Salmo XXXIII, v. 8 e 9, e che, quando si esercita verso quelli che ci perseguitano come cristiani, è una vera apologia della religione. La carità ci procurerà giorni beati nel cielo (Communio).

Al Vangelo. Gesù condanna non soltanto l'omicidio esterno, ma anche il motivo interno che ci spinge ad esso, ossia l'ira, in quanto essa ci fa desiderare di liberarci dal prossimo. Questa ira ha tre gradi, dice sant'Agostino: il primo quando si trattiene nel cuore il movimento che si è prodotto (Postcommunio); il secondo quando si esprime mediante un'esclamazione; il terzo quando si manifesta con la parola (Epistola). A questi tre gradi corrispondono tre giudizi l'uno più grave dell'altro (Mattutino). «Il vero sacrificio, dice san Giovanni Crisostomo, è la riconciliazione con il proprio fratello». «Il primo sacrificio che bisogna offrire a Dio, aggiunge Bossuet, è un cuor puro d'ogni frode e da ogni inimicizia col proprio fratello».
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2022-07-10 10:42:09 QUINTA DOMENICA DOPO PENTECOSTE

Semidoppio.
Paramenti verdi.

La liturgia di questa Domenica è consacrata al perdono delle offese.
La lettura evangelica mette in risalto questa lezione non meno che quella d'un passo delle Epistole di san Pietro, la cui festa si celebra in questo tempo: infatti la settimana della V Domenica di Pentecoste era in altri tempi detta settimana dopo la festa degli Apostoli.
Quando David riportò la sua vittoria su Golia, il popolo d'Israele ritornò trionfante nelle sue città e al suono dei tamburi cantò: «Saul ha ucciso mille e David diecimila!». Il re Saul allora si adirò e la gelosia lo colpì. Egli pensava: «Io mille e David diecimila: David è dunque superiore a me? Che cosa gli manca ormai se non d'essere re al mio posto?». Da quel giorno lo guardò con occhio malevolo come se avesse indovinato che David era stato scelto da Dio. Così la gelosia rese Saul cattivo. Per due volte mentre David suonava la cetra per calmare i suoi furori, Saul gli lanciò contro il giavellotto e per due volte David evitò il colpo con agilità, mentre il giavellotto andava a conficcarsi nel muro. Allora Saul lo mandò a combattere, sperando che sarebbe rimasto ucciso. Ma David vittorioso tornò sano e salvo alla testa dell'esercito.
Saul allora ancor più perseguitò David. Una sera entrò in una caverna profonda e scura, ove già si trovava David. Uno dei compagni disse a quest'ultimo: «È il re. Il Signore te lo consegna: ecco il momento di ucciderlo con la tua lancia». Ma David rispose: «Io non colpirò giammai colui che ha ricevuto la santa unzione» e tagliò solamente con la sua spada un lembo del mantello di Saul e uscì. All'alba mostrò da lontano a Saul il lembo del suo mantello. Saul pianse e disse: «Figlio mio, David, tu sei migliore di me». Un'altra volta ancora David lo sorprese di notte addormentato profondamente, con la lancia fissata in terra, al suo capezzale; e non gli prese altro che la lancia e la sua ciotola. E Saul lo benedisse di nuovo; ma non smise per questo di perseguitarlo. Più tardi i Filistei ricominciarono la guerra e gli Israeliti furono sconfitti; Saul allora si uccise gettandosi sulla spada. Quando David apprese la morte di Saul non si rallegrò ma, anzi, si stracciò le vesti, fece uccidere l'Amalecita che, attribuendosi falsamente il merito di avere ucciso il nemico di David, gli annunciò la morte apportandogli la corona di Saul, e cantò questo canto funebre: «O montagne di Gelboe, non scenda più su di voi né rugiada, né pioggia, o montagne perfide! Poiché su voi sono caduti gli eroi di Israele, Saul e Gionata, amabili e graziosi, né in vita, né in morte non furono separati l'uno dall'altro».
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