2022-02-20 20:06:54
Questa è una nuova revisione della letteratura riguardo l'efficacia e la durata dell'immunità naturale e ibrida. Le indagini sulla sieroprevalenza suggeriscono che più di un terzo e forse più della metà della popolazione mondiale è stata infettata dalla SARS-CoV-2 all'inizio del 2022.
Questa revisione, che fornisce una panoramica sugli studi epidemiologici che affrontano questo tema e che coprono il 2020-2021, ha documentato che una precedente infezione da SARS-CoV-2 è associata a un rischio significativamente ridotto di reinfezioni con un'efficacia che dura almeno un anno e un'immunità calante relativamente moderata.
È importante notare che l'immunità naturale ha mostrato dimensioni di effetto abbastanza simili per quanto riguarda la protezione contro la reinfezione tra le diverse varianti di SARS-CoV-2, con l'eccezione della variante Omicron per la quale i dati stanno emergendo da poco e prima che si possano trarre conclusioni definitive ci vuole tempo.
Anche il rischio di ricoveri e decessi è stato ridotto nelle reinfezioni da SARS-CoV-2 rispetto alle infezioni primarie.
Alcuni studi osservazionali indicano che l'immunità naturale può offrire una protezione uguale o maggiore contro le infezioni da SARS-CoV-2 rispetto agli individui che ricevono due dosi di un vaccino mRNA, ma i dati non sono sempre coerenti.
La combinazione di una precedente infezione da SARS-CoV-2 e una vaccinazione, definita immunità ibrida, sembra conferire la maggiore protezione contro le infezioni da SARS-CoV-2, ma rimangono diverse lacune nella conoscenza di questo problema.
L'immunità naturale, conclude Ioannidis, dovrebbe essere presa in considerazione per la politica di salute pubblica riguardo alla SARS-CoV-2.
Anche un enorme studio di coorte di lavoratori in ambito sociosanitario pubblicato sul
New England Journal of Medicine ha mostrato che la presenza di anticorpi IgG anti-spike, risposta anticorpale determinata da precedenti infezioni, è associata a un rischio ridotto di reinfezione da SARS-CoV-2 almeno per i primi 6 mesi post contagio.
Detto questo gli studi sull'efficacia rispetto alla malattia grave hanno confermato il beneficio dei vaccini COVID-19, con conseguente riduzione dei ricoveri in ospedale e in unità di terapia intensiva, soprattutto nei soggetti fragili per patologie o per età.
Sappiamo che l'efficacia sembra calare un po’ nel tempo e uno studio pubblicato sul
New England Journal of Medicine ha mostrato che il booster è associato a una riduzione di mortalità, ma lo studio riguardava una coorte di soggetti dai 50 anni in su.
Sempre sul
New England recenti studi mostrano che l’efficacia del vaccino rimane buona anche nei confronti della variante Omicron, soprattutto in riferimento alle ospedalizzazioni.
La variante Omicron si è rivelata meno letale rispetto a Delta.
In un recente articolo pubblicato su
Nature e nei recenti reporti olandesi pubblicati a febbraio 2022 si evidenzia come, anche gli studi preliminari sulle sottovarianti di Omicron, inclusa BA.2 per la quale alcuni si erano allarmati, concludono per una maggiore trasmissibilità ma non per una maggiore ospedalizzazione (i report olandesi confermano una significativa riduzione dei ricoveri in terapia intensiva).
Diverso invece è il discorso da fare circa l’efficacia della vaccinazione in rapporto alla trasmissione del contagio
Uno studio prospettico di coorte nel Regno Unito, pubblicato su
The Lancet Infectious Disease (primo nome
Singanayagam), riguardante la trasmissione comunitaria della variante delta tra individui non vaccinati e vaccinati, ha concluso che l'impatto della vaccinazione sulla trasmissione comunitaria di SARS-CoV-2 tra soggetti vaccinati non era significativamente diverso dall'impatto tra persone non vaccinate.
In uno studio Israeliano, pubblicato sul
New England Journal of Medicine e condotto sul personale ospedaliero, si sono osservate importanti infezioni anche tra gli operatori sanitari completamente vaccinati.
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