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UNA COMUNITÀ. Ogni anno riuniamo tutti gli Imprenditori Sovver | Fabrizio Cotza

UNA COMUNITÀ.
Ogni anno riuniamo tutti gli Imprenditori Sovversivi che seguono i nostri percorsi formativi o che hanno intenzione di iniziarne uno.
Uno degli aspetti su cui ci concentriamo maggiormente è che gli utili dovrebbero veramente essere “utili”. Per l’imprenditore, ovviamente, ma anche per i suoi collaboratori e per tutti coloro che ruotano attorno all’azienda, clienti e fornitori compresi.

Viviamo invece in una società dove il proprietario spesso sacrifica tutti gli altri aspetti della sua vita (salute e famiglia compresa) pur di rendere la sua azienda più grande e redditizia.

Questo fenomeno lo vediamo soprattutto nei titolari di grandi multinazionali.
L’avidità, spacciata per “successo e sfarzo”, ha impoverito molti di loro sotto il profilo umano, e questo ha creato effetti a cascata sulla popolazione in generale, che guarda con ammirazione questi CEO famosi che si arricchiscono alle spalle di lavoratori sempre più poveri.

Ed è questa la novità rispetto a un secolo fa. Un tempo esisteva una sorta di “lotta di classe”, dove almeno gli sfruttati erano consapevoli del loro stato. Oggi invece esiste una strana e preoccupante complicità tra carnefice e vittima, dove la vittima ambisce semplicemente a diventare carnefice, invece di lottare per un mondo con meno disuguaglianze.

Essendo ormai evidente che la politica e la magistratura hanno ormai abdicato al loro ruolo di salvaguardia di democrazia e giustizia, non rimane che prenderci le nostre responsabilità e chiederci cosa possiamo fare per non venire inghiottiti da questo sistema, che tutto divora e poi vomita, esattamente come fa un bulimico.

E la risposta è solo una: creare delle piccole comunità. Che non sono necessariamente quelle formate da qualche famiglia alternativa, che si rifugia in campagna per vivere di agricoltura biodinamica.
Quella è solo una delle tante modalità.

Anche noi Imprenditori Sovversivi siamo una comunità, formata da circa 300 aziende che condividono spontaneamente un approccio alla vita, prima ancora che al lavoro. E questa unione può rappresentare un modello replicabile ovunque, a prescindere dalla distanza o dal tipo di attività che si svolge.

Perché replicando modelli sani si crea una società consapevole, in grado di discernere il bene dal male, l’amico dal nemico, il (vero) sano dal (vero) malato.
Viceversa ci troveremo sommersi da modelli negativi, che amplificheranno la confusione, le disparità ed i conflitti tra le vittime.
Ovvero la situazione attuale.

Se mi doveste chiedere cosa mi dà tanta forza nel fare quello che faccio, vi risponderei senza alcun dubbio: l’energia dei miei compagni di viaggio, che non finirò mai di ringraziare per la fiducia, la stima e l’affetto che mi danno in ogni momento; non solo l’altro giorno, quando finalmente ci siamo rivisti di persona.