2022-08-28 05:15:33
Commento #lectio
Il vangelo di questa domenica ci pone di fronte a un contesto conviviale. In giorno di sabato, Gesù accetta l’invito di un fariseo autorevole (“uno dei capi dei farisei”: v.1) e si reca a casa sua per pranzare (lett.: “per mangiare pane”). Lì rivolgerà alcune parole prima agli invitati (vv. 7-11), quindi a colui che lo aveva invitato (vv. 12-14). Ai primi parlerà della scelta dei posti al banchetto e al secondo di chi invitare. Ponendo le parole di Gesù sotto il segno della “parabola” (“Diceva agli invitati una parabola”: v. 7), quando esse a prima vista non sono che lezioni di tipo sapienziale, Luca ne orienta la comprensione in senso rivelativo, dunque cristologico, escatologico ed ecclesiologico, mostrando che esse non riguardano semplicemente una questione di galateo conviviale e men che meno si riducono a una sorta di predica morale, il che stupirebbe alquanto in bocca a Gesù. È interessante anche l’annotazione che i commensali – che, pur non essendo specificato, sono con tutta probabilità dei farisei – “stavano ad osservarlo” (v. 1). Potremmo tradurre più brutalmente “lo spiavano”. Il verbo qui utilizzato (parateréo) lo troviamo in Lc 6,7 dove designa l’atteggiamento di scribi e farisei che, nella sinagoga, in giorno di sabato, osservavano attentamente Gesù per vedere se compisse una guarigione per poterlo poi accusare. La situazione è simile a quella di Lc 14,1-6 in cui Gesù effettivamente guarisce in giorno di sabato un idropico (14,2-6), mentre nella sinagoga guarisce un uomo dalla mano paralizzata (6,6-11). Analogo atteggiamento nei confronti di Gesù è registrato in Lc 20,20 da parte di scribi e capi dei sacerdoti. Gesù dunque accetta l’invito a pranzo di un fariseo, ma si viene a trovare in un contesto che nutre prevenzioni, sospetti e diffidenze nei suoi confronti. La cosa, del resto, era già avvenuta quando era stato invitato a mangiare a casa del fariseo Simone (Lc 7,36-50).
Pur essendo “sotto osservazione”, è Gesù stesso che fa attenzione e nota “come” gli invitati sceglievano i primi posti (v. 7). Le sue successive parole nascono da questo sguardo, dunque, dall’osservazione della realtà. E questo rapporto con l’esperienza, con il dato di realtà, spiega il carattere sapienziale delle parole di Gesù. Le sue indicazioni infatti sembrano ricalcare la tonalità di consigli analoghi che troviamo nella letteratura sapienziale, sempre molto attenta a regolare il comportamento di chi è ammesso a banchetti e a pranzi con persone autorevoli (Prv 23,1; Sir 31,12): “Non darti arie davanti al re e non metterti al posto dei grandi, perché è meglio sentirsi dire: ‘Sali quassù’, piuttosto che essere umiliato davanti a uno più importante” (Prv 25,6-7). Quali che fossero i “primi posti”, i “posti d’onore” in un banchetto (accanto al padrone di casa? Al centro della tavolata? In testa ad essa?), Gesù esprime un’osservazione di buon senso per evitare brutte figure. Meglio scegliere un posto defilato e vedersi magari chiamati dal padrone di casa a venire in un posto più in vista, piuttosto che piazzarsi in un posto di primo piano ed essere poi costretti a cederlo a un invitato più ragguardevole e dover occupare un posto marginale. Nel primo caso uno “riceve onore davanti a tutti i commensali” (v. 10), nel secondo invece viene svergognato (“dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto”: v. 9). La dialettica onore (dóxa) - vergogna (aischýne) è di
3 views02:15