2022-08-23 05:15:51
Commento #lectio
Gesù ha appena detto che è difficile salvarsi. Lo dice in maniera iperbolica, paradossale: “È più facile che un cammello entri per la cruna di un ago”. Cioè è praticamente impossibile. Impossibile per i ricchi, ma non solo, perché ciascuno ha le sue ricchezze, i suoi tesori ben nascosti cui è difficile rinunciare. Impossibile per il giovane che è stato chiamato da Gesù e non risponde a questa chiamata e se ne va via rattristato, ma molto difficile anche per chi ha risposto alla chiamata, per noi che abbiamo seguito Gesù.
“Allora Pietro prende la parola”, e la prende anche a nome nostro, ponendo una strana domanda, se presa alla lettera: “Che ne sarà di noi?”. Ecco, ci sono gli “altri”, quelli che non hanno aderito a Gesù e alle esigenze del vangelo. Ma noi invece sì: “Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito”. Noi abbiamo giustamente qualche cosa da vantare. Ebbene, niente è garantito neppure per noi. Anche noi ignoriamo che ne sarà di noi. Anche noi non possiamo essere certi di una riuscita migliore. Al contrario, la riuscita mondana è proprio quella del giovane ricco: in questo senso, noi possiamo soltanto registrare un vuoto, una mancanza, una privazione.
Per noi – dice Gesù - non si può parlare di una riuscita, ma si deve parlare di una “rigenerazione”; in greco si dice palinghenesìa, alla lettera una “nuova nascita”, cioè una fioritura personale. Ma questa rigenerazione non è un fatto puramente interiore, “spirituale”. È la promessa di una moltiplicazione di rapporti interpersonali, perché il regno di Dio non è soltanto “dentro” di noi, ma anche “tra” di noi, nel rapportarsi degli uni con gli altri. Il regno di Dio è uno spazio di comunione, e questa comunione comincia già ora, nella storia, nelle nostre relazioni di ogni giorno: è il “centuplo” promesso di case e fratelli e sorelle e padri e madri e figli e campi. In questo senso, ci sono dei “primi”, nella scala sociale, nella riuscita mondana, che in realtà sono ultimi; e ci sono degli “ultimi”, nella considerazione umana, che in realtà sono primi agli occhi di Dio.
Notiamo, però, una cosa. Matteo, come sappiamo, riscrive Marco, che è il vangelo più antico. Ora, Marco distingue nettamente tra il “centuplo adesso, in questo tempo” e “la vita eterna nel tempo che verrà” (cf. Mc 10,30). Matteo, invece, non fa la stessa distinzione. Lui scrive: “riceverà il centuplo e avrà in eredità la vita eterna”. Le due cose sono, per così dire, pressoché identiche o, perlomeno, simultanee, coordinate: il centuplo è già ora la vita eterna, una vita vera, autentica, che non può venire meno. Del resto, possiamo chiederci: quando inizia la vita eterna?
Tuttavia, c’è una condizione a questa moltiplicazione dei nostri rapporti fraterni, che Marco precisa, mentre è omessa da Matteo. Marco dice: “Riceverà il centuplo… insieme a persecuzioni”. Le persecuzioni, le umiliazioni, le contraddizioni, fanno parte indissociabile del centuplo promesso. “È necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio” (At 14,22). La rigenerazione non fa astrazione dalle persecuzioni, non prescinde dai nostri fallimenti: è proprio la nostra rinascita, la nostra risurrezione quotidiana.
fratel Alberto, monastero di Bose
22 views02:15