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Osborne, la festa è finita, l’incubo non ancora Tommaso Pinci | #VentagliDiParole

Osborne, la festa è finita, l’incubo non ancora
Tommaso Pincio
Alias Domenica ~ Il Manifesto
18.07.2021

#DiVisteERiviste

Narrativa inglese. Ricchi e litigiosi inglesi, per Lawrence Osborne i tipici esponenti dell’esotismo effimero, accorrono al ricevimento di una coppia gay, in una villa nel deserto: «Nella polvere»

«Tutto succede alle feste»: lo scriveva Jane Austen e al nostro orecchio potrebbe suonare al più come una promessa. Al tempo della giovinezza, andare a una festa significava fare il pieno di emozioni e di speranze, sempre o quasi legate alla possibilità di un incontro. Solo con l’età della noia subentrata, quando le disillusioni hanno già sottratto aspettative, diventa davvero possibile cogliere il senso profondo di queste parole, perché è quando le feste cominciano a somigliare a un «affascinante incubo» che si rivelano un osservatorio ineguagliabile della natura umana.

Ad associare le feste a un incubo è Lawrence Osborne, che si dichiara fortemente ispirato da film di Antonioni e Fellini come L’eclisse o La dolce vita in cui alle feste sono riservate scene importanti. Piccoli esperimenti sociali, momenti in cui le conversazioni si fanno più teatrali che mai e sature di implicazioni sessuali, le feste inducono l’impellenza di non passare inosservati, magari anche a costo di non andarci proprio, alla festa, o di presentarsi in ritardo: è quanto accade in Nella polvere (traduzione di Mariagrazia Gini, Adelphi, pp. 285, € 20,00).

Un momento di crisi
In apertura del romanzo, una coppia di inglesi, gli Henninger, noleggia un’auto per andare nel deserto, in Marocco. Osborne è un espatriato, che vive da sempre lontano da dove è nato, un nomade per vocazione che ambienta le sue storie in angoli di mondo sempre diversi, il Marocco – come in questo caso – oppure Bangkok o la Cambogia o Macao, come accadrà nei libri successivi. Sebbene arrivi a noi soltanto ora, Nella polvere risale infatti a una decina di anni fa: è il secondo romanzo di Osborne ma è lecito considerarlo alla stregua di un esordio, perché il primo vide le stampe molto prima, nel 1986, e mostrava uno scrittore acerbo, alquanto diverso. Ania Malina era infatti una sorta di romanzo storico dal sapore vagamente lolitesco e malgrado raccontasse di un viaggio, un tour nel Mediterraneo, era comunque sprovvisto di quell’elemento, diventato poi imprescindibile per Osborne, che è l’esotismo effimero del viaggiatore d’oggi, lo sradicamento salottiero del turista. Mancava inoltre di un tratto ancor più connotante dell’autore inglese: il conflitto di prospettive tra chi viaggia per svago o noia e comunque per scelta e chi invece o vi è costretto dal bisogno o non viaggerà mai perché non ne ha possibilità.

Come la festa, il viaggio rappresenta per Osborne un momento di crisi in cui la vita del ricco marca la sua distanza da quella del povero e si mostra nelle sue contraddizioni con esiti sempre letali. La festa nel deserto cui sono diretti gli Henninger ha luogo nella grande casa di una coppia gay, che organizza spesso raduni per amici internazionali, alcuni dei quali arrivano in elicottero. Ci sarà tutto l’indispensabile: fuochi di artificio, discoteca all’aperto, finte palme d’argento, graziose ragazze francesi, giovanotti locali abbigliati come pirati, fichi, orchidee bianche, cocaina a volontà, miele con la cannabis.

L’inferocita gente del posto non considera tutto ciò una festa bensì l’orgia di infedeli provvisti di Jaguar. In quegli stessi paraggi un tempo era stanziata la Legione Straniera, ora vi dimorano quelli che i marocchini chiamano les visiteurs con i loro ospiti, a implicare la convinzione o almeno la speranza «che prima o poi, se ne sarebbero andati con la stessa istantaneità di quando si erano presentati».

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https://ilmanifesto.it/osborne-la-festa-e-finita-lincubo-non-ancora/