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Iniziazione e Tradizione

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2023-03-27 05:38:01 #esoterismo Tre Iniziati, Il Kybalion. 2. IL PRINCIPIO DI CORRISPONDENZA «Com'è al di sopra, così è al di sotto; com'è sotto, così è sopra.» Tra le leggi e i fenomeni dei diversi piani di vita, c'è sempre una corrispondenza. Comprendere questa regola…
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2023-03-27 05:30:36 È per questa irremovibile dedizione ctonica che gli Etruschi hanno costruito e vegliato con così assidua premura le dimore dei loro morti e non, come si potrebbe pensare, all’inverso. Non amavano la morte più della vita, ma la vita era per essi inseparabile dalla profondità di Ctonia, potevano abitare le valli di Gaia e coltivarne le campagne solo se non dimenticavano mai la loro vera, verticale dimora. Per questo nelle tombe incavate nella roccia o nei tumuli noi non abbiamo a che fare soltanto coi morti, non immaginiamo solo i corpi adagiati sui vuoti sargofagi, ma percepiamo insieme le movenze, i gesti e i desideri dei vivi che li hanno costruiti. Che la vita sia tanto più amabile quanto più teneramente custodisce in sé la memoria di Ctonia, che sia possibile edificare una civiltà senza mai escluderne la sfera dei morti, che vi sia fra il presente e il passato e fra i viventi e i morti un’intensa comunità e una continuità ininterrotta – questo è il lascito che questo popolo ha trasmesso all’umanità.

III.

Nel 1979, James E. Lovelock, un chimico inglese che aveva attivamente collaborato ai programmi della NASA per le esplorazioni spaziali, pubblicò Gaia: a New Look at Life on Earth. Al centro del libro è un’ipotesi che un articolo scritto con Lynn Margulis cinque anni prima sulla rivista Tellus aveva anticipato in questi termini: «l’insieme degli organismi viventi che costituiscono la biosfera può agire come una singola entità per regolare la composizione chimica, il Ph superficiale e forse anche il clima. Chiamiamo ipotesi Gaia la concezione della biosfera come un sistema attivo di controllo e di adattamento, capace di mantenere la terra in omeostasi». La scelta del termine Gaia, che fu suggerita a Lovelock da William Golding – uno scrittore che aveva magistralmente descritto la perversa vocazione dell’umanità nel romanzo Il signore delle mosche – non è certo casuale: come l’articolo precisa, gli autori identificavano i limiti della vita nell’atmosfera e si interessavano «solo in misura minore dei limiti interni costituiti dall’interfaccia fra le parti interne della terra, non soggette all’influenza dei processi di superficie» (p. 4). Non meno significativo è, tuttavia, un fatto che gli autori non sembrano – almeno in quel momento – considerare e, cioè, che la devastazione e l’inquinamento di Gaia hanno raggiunto il loro massimo livello proprio quando gli abitanti di Gaia hanno deciso di trarre l’energia necessaria ai loro nuovi e crescenti bisogni dalle profondità di Ctonia, nella forma di quel residuo fossile di milioni di esseri viventi vissuti in un remoto passato che chiamiamo petrolio.
Secondo ogni evidenza, l’identificazione dei limiti della biosfera con la superficie della terra e con l’atmosfera non può essere mantenuta: la biosfera non può esistere senza lo scambio e “l’interfaccia” con la tanatosfera ctonia, Gaia e Ctonia, i vivi e i morti devono essere pensati insieme.
Quello che è avvenuto nella modernità è, infatti, che gli uomini hanno dimenticato e rimosso la loro relazione con la sfera ctonia, non abitano più Chthon, ma soltanto Gaia. Ma quanto più eliminavano dalla loro vita la sfera della morte, tanto più la loro esistenza diventava invivibile; quanto più perdevano ogni familiarità con le profondità di Ctonia, ridotta come tutto il resto a oggetto di sfruttamento, tanto più l’amabile superficie di Gaia veniva progressivamente avvelenata e distrutta. E quello che abbiamo oggi sotto gli occhi è l’estrema deriva di questa rimozione della morte: per salvare la loro vita da una supposta, confusa minaccia, gli uomini rinunciano a tutto ciò che la rende degna di essere vissuta. E alla fine Gaia, la terra senza più profondità, che ha perso ogni memoria della dimora sotterranea dei morti, è ora integralmente in balia della paura e della morte. Da questa paura potranno guarire solo coloro che ritroveranno la memoria della loro duplice dimora, che ricorderanno che umana è solo quella vita in cui Gaia e Ctonia restano inseparabili e unite.

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2023-03-27 05:30:36 Che chthon evochi l’idea di un varco e di un passaggio è evidente nell’aggettivo che in Omero e in Esiodo accompagna costantemente il termine: eyryodeia, che si può tradurre «dall’ampia via» solo se non si dimentica che odos implica l’idea del transito verso una meta, in questo caso il mondo dei morti, un viaggio che tutti sono destinati a fare ( è possibile che Virgilio scrivendo facilis descensus si sia ricordato della formula omerica).
A Roma un’apertura circolare detta mundus, che secondo la leggenda era stata scavata da Romolo al momento della fondazione della città, metteva in comunicazione il mondo dei vivi con quello ctonio dei morti. L’apertura, chiusa da una pietra detta manalis lapis, veniva aperta tre volte l’anno, e in quei giorni, nei quali si diceva che mundus patet, il mondo è aperto e «le cose occulte e nascoste della religione dei mani erano portati alla luce e rivelati», quasi tutte le attività pubbliche erano sospese. In un articolo esemplare, Vendryes ha mostrato che il significato originale del nostro termine “mondo” non è, come si era sempre sostenuto, una traduzione del greco kosmos, ma deriva appunto dalla soglia circolare che dischiudeva il “mondo” dei morti. La città antica si fonda sul “mondo” perché gli uomini dimorano nell’apertura che unisce la terra celeste e quella sotterranea, il mondo dei vivi e quello dei morti, il presente e il passato ed è attraverso la relazione fra questi due mondi che diventa possibile per essi orientare le loro azioni e trovare ispirazione per il futuro.
Non soltanto l’uomo è legato nel suo stesso nome alla sfera ctonia, ma anche il suo mondo e lo stesso orizzonte della sua esistenza confinano con i recessi di Ctonia. L’uomo è, nel senso letterale del termine, un essere del profondo.

II.

Una cultura ctonia per eccellenza è quella etrusca. Chi percorre sgomento le necropoli sparse nelle campagne della Tuscia percepisce immediatamente che gli etruschi abitavano Ctonia e non Gaia, non solo perché di essi ci è rimasto essenzialmente quanto aveva a che fare coi morti, ma anche e innanzitutto perché i siti che hanno scelto per le loro dimore – chiamarle città è forse improprio – se pure stanno in apparenza sulla superficie di Gaia, sono in realtà epichthonioi, sono di casa nelle profondità verticali di chthon. Di qui il loro gusto per gli antri e i recessi scavati nella pietra, di qui il loro prediligere le alte forre e le gole, le erte pareti di peperino che precipitano verso un fiume o un torrente. Chi si è trovato di colpo di fronte a Cava Buia presso Blera o nelle vie infossate nella roccia a S. Giuliano sa di non trovarsi più sulla superficie di Gaia, ma certamente ad portam inferi, in uno dei varchi che penetrano nei declivi di Ctonia.
Questo carattere inconfondibilmente sotterraneo dei luoghi etruschi, se paragonato ad altre contrade d’Italia, si può anche esprimere dicendo che ciò che abbiamo davanti agli occhi non è propriamente un paesaggio. L’affabile, consueto paesaggio che si abbraccia serenamente con lo sguardo e sconfina nell’orizzonte appartiene a Gaia: nella verticalità ctonia ogni paesaggio dilegua, ogni orizzonte scompare e lascia il posto al volto efferato e mai visto della natura. E qui, nelle rogge ribelli e nei baratri, del paesaggio non sapremmo che farcene, il paese è più tenace e inflessibile di ogni paesaggistica pietas – alla porta di Dite il dio si è fatto così vicino e tetragono da non esigere più religione.
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2023-03-27 05:30:36 Anche nella Teogonia di Esiodo la terra ha due facce. Gaia, «base salda di tutte le cose», è la prima creatura del Chaos, ma l’elemento ctonio è evocato subito dopo e, come in Ferecide, definito col termine mychos: «l’oscuro Tartaro nel profondo della terra dalle ampie vie (mychoi chthonos eyryodeies)». Dove la differenza stratigrafica fra i due aspetti della terra appare con maggior chiarezza è nell’ Inno omerico a Demetra. Già all’inizio, quando il poeta descrive la scena del rapimento di Persefone mentre raccoglie fiori, Gaia è evocata due volte, in entrambi i casi come la superficie fiorita che la terra volge verso il cielo: «le rose, i crochi, le belle violette in un tenero prato e gli iris, i giacinti e i narcisi che Gaia fa crescere secondo la volontà del dio» … «al profumo del fiore tutto il cielo in alto e la terra sorrisero». Ma proprio in quell’istante, «chthon dai vasti sentieri si spalancò (chane) nella piana di Nisio e ne uscì (orousen) coi suoi cavalli immortali il signore dai molti ospiti». Che si tratti di un movimento dal basso verso la superficie è sottolineato dal verbo ornymi, che vale «sorgere, alzarsi», quasi che dal fondo ctonio della terra il dio affiorasse su Gaia, la faccia della terra che guarda verso il cielo. Più avanti, quando è la stessa Persefone a narrare a Demetra il suo rapimento, il movimento si inverte e ad aprirsi è invece gaia (gaia d’enerthe koresen), perché «il signore dai molti ospiti» potesse trascinarla sotto terra col suo carro d’oro (vv.429-31). È come se la terra avesse due porte o aperture, una che si apre dal profondo verso Gea e una che da Gea conduce nell’abisso di Ctonia.

In realtà non si tratta di due porte, ma di una sola soglia, che appartiene interamente a chthon. Il verbo che l’inno riferisce a Gaia, non è chaino, spalancarsi, ma choreo, che significa semplicemente «far posto». Gaia non si apre, ma fa posto al transito di Proserpina; l’idea stessa di un passaggio tra l’alto e il basso, di una profondità (profundus: altus et fundus) è intimamente ctonia e, come la Sibilla ricorda ad Enea, la porta di Dite è innanzitutto rivolta verso l’infero (facilis descensus Averno…). Il termine latino corrispondente a chthon non è tellus, che designa un’estensione orizzontale, ma humus, che implica una direzione verso il basso (cfr. humare, seppellire), ed è significativo che da esso sia stato tratto il nome per l’uomo (hominem appellari quia sit humo natus). Che l’uomo sia “umano”, cioè terrestre, nel mondo classico non implica un legame con Gaia, con la superficie della terra che guarda il cielo, ma innanzitutto un’intima connessione con la sfera ctonia della profondità.
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2023-03-27 05:30:36 #tradizione
Giorgio Agamben, Gaia e Ctonia.

I.

Nel greco classico, la terra ha due nomi, che corrispondono a due realtà distinte se non opposte: ge (o gaia) e chthon. Contrariamente a una teoria oggi diffusa, gli uomini non abitano soltanto gaia, ma hanno innanzitutto a che fare con chthon, che in alcune narrazioni mitiche assume la forma di una dea, il cui nome è Chthonìe, Ctonia. Così la teologia di Ferecide di Siro elenca all’inizio tre divinità: Zeus, Chronos e Chtonìe e aggiunge che «a Chtonìe toccò il nome di Ge, dopo che Zeus le diede in dono la terra (gen)». Anche se l’identità della dea resta indefinita, Ge è qui rispetto ad essa una figura accessoria, quasi un nome ulteriore di Chtonìe. Non meno significativo è che in Omero gli uomini siano definiti con l’aggettivo epichtonioi (ctonii, che stanno su chthon), mentre l’aggettivo epigaios o epigeios si riferisce solo alle piante e agli animali.
Il fatto è che chton e ge nominano due aspetti della terra per così dire geologicamente antitetici: chton è la faccia esterna del mondo infero, la terra dalla superficie in giù, ge è la terra dalla superficie in su, la faccia che la terra volge verso il cielo. A questa diversità stratigrafica corrisponde la difformità delle prassi e delle funzioni: chthon non è coltivabile né se ne può trarre nutrimento, sfugge all’opposizione città/campagna e non è un bene che possa essere posseduto; ge, per converso, come l’eponimo inno omerico ricorda con enfasi, «nutre tutto ciò che su è chthon» (epi chthoni) e produce i raccolti e i beni che arricchiscono gli uomini: per coloro che ge onora con la sua benevolenza, «i solchi della gleba che danno vita sono carichi di frutti, nei campi prospera il bestiame e la casa si riempie di ricchezze e essi governano con giuste leggi le città dalle belle donne» (v.9-11).

La teogonia di Ferecide contiene la più antica testimonianza del rapporto fra Ge e Chthon, fra Gaia e Ctonia. Un frammento conservatoci da Clemente Alessandrino, definisce la natura del loro legame precisando che Zeus si unisce in nozze con Chthonìe, e, quando, secondo il rito nuziale degli anakalypteria, la sposa si toglie il velo e appare nuda allo sposo, Zeus la ricopre con «un manto grande e bello», in cui «ha ricamato con vari colori Ge e Ogeno (Oceano)». Chthon, la terra infera, è dunque qualcosa di abissale, che non può mostrarsi nella sua nudità e la veste con cui il dio la ricopre non è altro che Gaia, la terra superna. Un passo dell’Antro delle ninfe di Porfirio ci informa che Ferecide caratterizzava la dimensione ctonia come profondità, «parlando di recessi (mychous), di fossi (bothrous), di antri (antra)», concepiti come le porte (thyras, pylas) che le anime varcano nella nascita e nella morte. La terra è una realtà doppia: Ctonìa è il fondo informe e nascosto che Gaia copre col suo variegato ricamo di colline, campagne fiorite, villaggi, boschi e greggi.
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2023-03-13 00:03:15 Dunque, volendo sintetizzare; Apollo è il Dio della Luce e la sua energia scende dall’alto, dagli strati più sottili dell’etere (lo Aether) verso il basso, verso noi mortali; mentre Ercole è l’uomo che, attraverso un lungo processo di crescita. di purificazione e di autoanalisi – così come è simbolizzato dalle dodici fatiche – risale dalla mortale condizione umana verso quella immortale e divina e rappresenta dunque l’uomo che si fa dio. Un processo che sembra alludere proprio alla via ermetica, all’Alchimia.

Plotino ha scritto:

«Sta agli Déi di venire a me: non a me di andare ad essi.
Agli Déi bisogna farsi simili: non già agli uomini da bene.
Non l’essere esenti dal peccato, ma l’essere un Dio – è il fine.»

Questa filosofia di vita, questo modo di intendere la spiritualità starebbero forse dietro al mito del vello d’oro e alla lingua parlata dagli Argonauti, l'argonautica e, infine, alla stessa Arte Gotica? Ercole, l’uomo che ha raggiunto il fine, lascia al “giovane” Giasone il compito di guidare la pericolosa spedizione. Giasone è l’io dell’Alchimista. L’Alchimista deve sapere che la strada che vuole intraprendere è densa di ostacoli e di pericoli e che dovrà cavarsela da solo: ad Apollo potrà chiedere la Luce e la Conoscenza, ad Ercole, l’energia vitale e la forza, ma la risorsa principale dovrà trovarla in se stesso.

Nel suo cammino, troverà la strada sbarrata da Tifone, il titano, eterno nemico di Ercole, di Giasone e dell’uomo. Tifone è il simbolo dell’arroganza, della prepotenza, della tracotanza, della superbia, l’orgoglio, in una parola è il simbolo di ciò che i Greci chiamavano hybris.

4) Alchimia a parte: perché la linea energetica? Abbiamo dunque assodato la natura parzialmente pagana della cattedrale o forse addirittura essenzialmente pagana. E’ arrivato finalmente il momento di chiederci:

1 - Che scopo avevano le linee d’energia che investivano la cattedrale?

2 - Poiché abbiamo ipotizzato la natura Romana della scienza dell’Animazione e abbiamo anche detto che in ogni Animazione i Romani erano in grado di immettere una sorta di Impronta Divina, e che ogni loro Dio aveva la sua speciale Impronta Divina, come una firma divina, una segnatura, ci chiediamo quali siano (o siano state) le Divinità presenti in Notre-Dame di Parigi.

3 - Che tipo d’Impronta Divina era presente in Notre-Dame?

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2023-03-13 00:03:12
#illustrazioni #alchimia
La Soluzione, Notre-Dame de Paris.
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2023-03-13 00:03:09 3 - Dopo molte avventure e alcuni morti tra gli Argonauti, Giasone viene sottoposto ad una doppia prova, prima della quale la principessa Medea, maga ed innamorata di Giasone, fa bere al giovane un calice con il sangue di Prometeo, l’eroe amico degli uomini. Prometeo rappresenta l’ardire dell’uomo, che tutto sfida pur di trovare la conoscenza, il sapere. E’ la nostra inestinguibile sete che spesso ci fa perdere nel labirinto. Giasone deve bere il sangue di Prometeo, ma deve essere capace di dominare la curiosità, il bisogno di possedere la conoscenza per ricordare da dove è iniziata la sua storia: la via apollinea è quella che porta verso una strada diversa, quella dell’essere e non dell’avere.

4 - Dopo duelli contro tori dalle narici fiammeggianti e un drago figlio di Tifone il titano nemico dell’uomo, Giasone finalmente entra in possesso del vello d’oro ed inizia un lungo viaggio di ritorno.

Non ci si può non chiedere cosa c’entri tutto ciò con l’Alchimia, a parte l’oro … Il vello d’oro è solo il simbolo dell’arricchimento «per Giasone, in un periodo in cui si afferma lo sviluppo mercantile e protocapitalista della Grecia arcaica» come scrive Lawrence Sudbury in Per una semiotica del Santo Graal o c’è di più? Difficile dirlo. Bisognava chiederlo a tempo debito allo stesso Fulcanelli, ma ormai è troppo tardi.

3) Apollo ed Ercole: due facce della stessa medaglia? In molti, oltre lo stesso Fulcanelli, hanno dimostrato che Notre-Dame di Parigi, come l’altra altrettanto strabiliante cattedrale, quella di Chartres, altro non siano se non libri di pietra dell’Alchimia. I costruttori sembrano averci voluto lasciare dei testi muti dell’intera Opera. Guidati da chi ha decriptato queste immagini, concludiamo che l’anima impressa nelle cattedrali fosse molto più pagana di quello che vorrebbero le guide ufficiali… Diceva l’alchimista Julien Champagne nella sua Alchimie expliquée (L’achimia spiegata) del 1972: «L’eterna alchimia è immutabile sul suo trono e riceve, contro il suo petto, la scala del Libro muto, lungo la quale salgono e scendono i messaggeri, nel loro desiderio di bere alle onde superiori e celestiali». Ed è sempre l’Alchimia che leggiamo nel gran libro di pietra …

Per ora, possiamo dunque concludere che le cattedrali furono molto di più di chiese cristiane e che numerosi furono i segni che vi lasciarono impressi i loro ignoti costruttori del loro amore verso l’Alchimia. In poche parole: i segni della occulta natura pagana delle cattedrali. L’ipotesi di Fulcanelli circa l’etimologia stessa di Arte Gotica o argotica, lingua degli Argonauti, accenna molto chiaramente a questa natura pagana.

È lecito chiedersi, a questo punto, che c’entri la mia tesi circa l’origine romana della scienza che guidò i costruttori delle cattedrali. O non piuttosto, un’origine greca, come dice Fulcanelli? Indubbiamente quei riferimenti ad Eracle-Ercole ed ad Apollo presenti nel mito di Giasone e degli Argonauti meritano di più delle poche righe che gli ha dedicato lo stesso Fulcanelli. Intanto, va considerata la coppia Ercole – Apollo come una sorta di dualità: Ercole è l’uomo che si fa Dio attraverso le 12 fatiche, che altro non sono se non l’aspetto simbolico del Conosci Te Stesso attraverso il fare, attraverso l’azione. Ma il Conosci Te Stesso è proprio l’insegnamento più prezioso e più profondo del Dio Apollo, Dio della Saggezza, della Conoscenza e della Luce.
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2023-03-13 00:03:05
#illustrazioni #alchimia
La Congiunzione, Notre-Dame de Paris.
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2023-03-13 00:03:02 #alchimia
Roberto Zamperini,
Ritorno a Notre-Dame: come uccidere l’anima di una città (2).
Continua dall'articolo precedente.

2) L’Alchimista e il libro di pietra dell’Alchimia. «Se, spinti dalla curiosità, o per dare uno scopo piacevole alla passeggiata senza meta d’un giorno d’estate, salite la scala a chiocciola che porta alle parti alte dell’edificio, percorrete lentamente il paesaggio, scavato come un canale per lo smaltimento delle acque, sulla sommità della seconda galleria. Giunti vicino all’asse mediano del grande edificio, all’altezza dell’angolo rientrante della torre settentrionale, noterete, in mezzo ad un corteo di chimere, il sorprendente rilievo d’un grande vecchio di pietra. E’ lui, è l’Alchimista di notre Dame. Col capo coperto dal cappello Frigio, attributo dell’Adeptato, posato negligentemente sulla lunga capigliatura dai grandi riccioli, il saggio, avvolto nel leggero camice di laboratorio, s’appoggia con una mano alla balaustra, mentre, con l’altra, accarezza la propria barba, abbondante e serica. Egli non medita, osserva. L’occhio è fisso; lo sguardo possiede una straordinaria acutezza. Tutto, nell’atteggiamento del Filosofo, rivela una estrema emozione. La curvatura delle spalle, lo spostamento in avanti della testa e del busto tradiscono, infatti, una grande sorpresa. In verità, questa mano pietrificata sembra animarsi. E’ forse un’illusione? Sembra di vederla tremare… Che splendida figura questa del vecchio Maestro che scruta, interroga, curioso ed attento, l’evoluzione della vita minerale, e poi, infine, abbagliato, contempla il prodigio che solo la propria fede gli faceva intravedere! E come sembrano misere le moderne statue dei nostri scienziati – che siano colate in bronzo o scolpite nel marmo – in confronto a questa raffigurazione venerabile, dal realismo così potente nella sua semplicità!»

Così scriveva il Fulcanelli nel suo “Il Mistero delle Cattedrali”. Ma lo stesso andava oltre, convintissimo che l’etimologia di “Arte Gotica” andasse ricercata in argot, ovvero in quella sorta di «linguaggio particolare di tutti quegli individui che sono interessati a scambiarsi le proprie opinioni senza essere capiti dagli altri» che deriverebbe addirittura dagli «argonauti, i quali andavano sulla nave Argo, parlavano la lingua argotica, – la nostra lingua verde – navigando verso le fortunate rive della Colchide per conquistare il famoso Vello d’Oro». Credo che mai Fulcanelli sarebbe stato d’accordo con me e con le mie tesi e mai avrebbe ammesso che la sapienza di coloro che costruirono le sue amate cattedrali affondasse principalmente – anche se non esclusivamente – in quella Roma che doveva proprio detestare, se alla stessa non dedica mai neppure un rigo del suo celebre libro! (A proposito: mi dicono che le sue opere siano ormai introvabili in Francia, se non nelle librerie d’usato. Spero non sia vero, perché sarebbe cosa gravissima).

In ogni caso e quale che sia la nostra opinione sulle sue idee o la sua sulle nostre, quella di Fulcanelli è una tesi interessante e degna di essere approfondita. Allora chiediamoci: chi erano gli Argonauti e cosa hanno fatto? Come sarebbero finiti in una cattedrale gotica o addirittura in un intero periodo storico dell’architettura francese? Secondo la Mitologia Greca, gli Argonauti erano una cinquantina di eroi che, guidati da Giasone, a bordo della nave Argo, se ne andarono per mare alla volta dell’ostile Colchide per conquistare il vello d’oro. La storia è lunga e complessa, ma ci basterà mettere in luce alcuni particolari.

1 - Intanto ecco che nella storia vediamo subito comparire Eracle (Ercole) che viene proposto come comandante, ma, al suo rifiuto, è il giovane Giasone che se ne occupa e proprio su indicazione dello stesso Ercole.

2 - E c’entra anche Apollo al quale i 50 sacrificano, prima ancora di alzare l’ancora, per propiziarsi il viaggio?
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