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Il principe, che cercava di soffocare i rimorsi negli usati sp | Fiabe per tutti

Il principe, che cercava di soffocare i rimorsi negli usati spassi della caccia, aveva paura di riveder la moglie, come si avrebbe paura di rivedere una tigre cui fosse stato strappato il tigrotto. Eppure non trovò in lei che dolcezza, buone maniere, e perfino un affetto sincero come nei primi giorni della loro unione. A tanta bontà, più acerba sentì la punta del rimorso; ma cedendo ancora una volta, per debolezza di carattere, ai sospetti che lo torturavano, pensò di dare alla poveretta un novello colpo, e venne un giorno ad annunziarle che la bimba, pur troppo, era morta.

All'improvvisa notizia, poco mancò che Griselda non tramortisse; se non che, visto impallidire il marito, fece forza a se stessa, ingoiò le lacrime e non pensò ad altro che a rendergli meno amaro il dolore. Il principe, dal canto suo, commosso da tanta bontà, fu lì lì per confessare il vero, per dirle che la bimba era sempre viva e sana; ma gliene mancò il coraggio, e gli sembrò forse anche utile di prolungar la prova incominciata.

Da quel momento, l'affetto dei due sposi crebbe sempre più, e così si mantenne, senza mai stancarsi un momento, per quindici anni di fila.

La principessina intanto cresceva in senno e in ingegno; dalla madre aveva ereditato la bontà, dal padre il nobile contegno. Era anche bella come una fata; ed un gentiluomo di corte vistala per caso dietro la grata del convento, se ne invaghì perdutamente.

La principessa, per l'istinto che è proprio delle donne, si accorse della simpatia destata; e dopo avere un po' resistito, per convenienza, la ricambiò con egual calore.

Il giovane era bello, valoroso, nobile; e già da un pezzo il principe pensava di darlo in sposo alla figlia. Fu dunque lietissimo di sapere che si amavano; ma il capriccio gli venne di far loro comprare a caro prezzo la maggior felicità della vita.

"Li contenterò, disse, ma bisognerà prima che il tormento ne accresca l'amore; eserciterò anche, nel tempo stesso, la pazienza di mia moglie, non già per geloso sospetto, ma perché rifulgano agli occhi di tutti la bontà di lei, la dolcezza, il senno, tutti i pregi per cui la terra dev'esser grata al cielo."

Dichiara dunque pubblicamente che, non avendo eredi ed essendo morta l'unica figlia avuta dal suo folle matrimonio, ei deve cercare altrove miglior fortuna; che la sposa scelta è d'illustre prosapia e che finora è stata educata in convento.

Figurarsi come questa notizia suonò amara ai due innamorati! In seguito, senza ombra di rammarico, egli annunziò alla moglie che era indispensabile separarsi; che il popolo, indignato de' bassi natali di lei, lo costringe a contrarre più degne nozze.

"Ritiratevi, dice nella vostra capanna, dopo aver ripreso le vostre vesti di pastorella."

Tranquilla e muta, la principessa ascoltò la sentenza. Il dolore la rodeva dentro, spremendole grosse lacrime dagli occhi, e rendendola più bella: così, a primavera, cade la pioggia mentre splende il sole.

"Voi siete il mio sposo e il mio padrone, rispose con un sospiro, e per terribile che sia la sorte che mi aspetta, vi mostrerò che la mia gioia maggiore è quella di obbedirvi".

Andò in camera sua, si spogliò delle ricche vesti, riprese in silenzio gli umili abiti di un tempo, e di nuovo si presentò al principe, dicendo:

"Non so staccarmi da voi senza che mi perdoniate i dispiaceri che forse vi ho dato; posso sopportare la mia miseria, non già il vostro sdegno. Fatemi questa grazia, ed io vivrò contenta nell'umile mia dimora, senza che mai il tempo possa mutare il mio rispetto e il mio amore per voi."

Poco mancò che tanta sottomissione e tanta magnanimità non rimuovessero il principe dal suo proposito. Commosso, quasi piangendo, egli stava sul punto di abbracciarla, quando di botto la caparbietà la vinse e gli fece dire con asprezza:

"Del passato non mi ricordo più. Sono contento di vedervi pentita. Andate!"