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98. La grotta magica di mammafelice Era successo un giorno al | Favole della buonanotte

98. La grotta magica di mammafelice

Era successo un giorno alla volta, un’ora alla volta.
Inizialmente nessuno se n’era preoccupato: in fondo faceva comodo a tutti, un’ora in più di
luce. Un’ora in più per cenare tutti insieme la sera, per finire i compiti, per leggere un libro.
Due ore in più? Poco male! Ci sarebbe stato il tempo di guardare quella serie TV che non
avevano mai avuto il tempo di finire.
E così, poche ore alla volta, la luce aveva vinto il buio. Il tramonto era solo un ricordo: il
rosso rubino che si mescolava all’arancio intenso, svanito.
Il cielo adesso era terso e luminoso come le mattine estive all’alba, con quella luce
orizzontale che ti colpisce negli occhi filtrando dalle persiane, proprio mezz’ora prima che
suoni la sveglia.
I desideri dei bambini possono essere molto potenti.
Perché i bambini credono nella magia: nella loro innocenza c’è il potere di cambiare il
mondo, invertire la direzione del vento, spegnere la luce della luna, cambiare il corso dei
fiumi.
- Non andremo mai più a dormire!
Questo dicevano i bambini. In ogni quartiere, dietro i vetri delle loro camerette, non potevano
impedire a se stessi di gioire per il grande risultato ottenuto: non ci sarebbe più stato il buio,
la nanna sarebbe stata solo un ricordo.
- Perché noi vogliamo giocare! Non abbiamo tempo di dormire!
Questa la silenziosa protesta che aveva generato la ribellione antinotturna. Basta
ninnenanne, basta pigiamini, basta spazzolini per lavarsi i denti prima di dormire.
Il vantaggio in effetti sembrava notevole: i bambini avrebbero potuto trascorrere più tempo
con i genitori, la sera. Se la notte non esisteva, si poteva stare insieme di più!
Non c’erano più le contrattazioni: una fiaba e mezza, anzi tre fiabe e una canzone, anzi tre
fiabe una canzone e un bell’abbraccio.
Nessuno avrebbe più ricevuto la buonanotte, perché la notte non esisteva più!
I primi problemi nacquero dopo alcuni giorni: conclusa l’euforia iniziale, subentrò un po’ di
stanchezza. I bambini non lo ricordavano più, ma un tempo amavano trascorrere le calde
ore del pomeriggio facendo un riposino sul divano della nonna. Con quell’arietta fresca che
entrava dalle finestre socchiuse e dava sollievo dalla calura estiva e il rumore delle auto di
passaggio per la strada che conciliava il sonno con la sua litania.
A ripensarci, lo sciopero della nanna non era stata un’idea così vincente.
Il panettiere smise di fare il pane: per la stanchezza, aveva scordato la ricetta.
Negli uffici postali era tutto bloccato: i postini si erano addormentati nel magazzino della
corrispondenza, dopo aver formato materassi pieni di letterine e pacchetti regalo.
E Babbo Natale?
All’improvviso i bambini realizzarono di aver perso le notti più importanti della loro vita.
L’arrivo di Babbo Natale a mezzanotte, quando il cielo è buio e scuro, costellato da gelide e
tremolanti stelle.
La notte prima degli esami, quando sogni Ungaretti e all’esame ti chiedono Carducci.
La notte di Halloween: basta caramelle!
La notte di San Lorenzo: senza stelle cadenti, come avrebbero potuto esprimere il desiderio
che la scuola chiudesse per sempre e che la pace nel mondo diventasse reale?
I genitori iniziarono presto ad essere provati; da quando i bambini avevano iniziato lo
sciopero del sonno, le mamme e i papà avevano iniziato a ciondolare come manichini
appesi alle grucce: spalle cadenti, occhi da panda, sguardo inebetito e incapacità di ridere
come prima.
Non avevano più energie per giocare con i figli.
E se l’obiettivo di questo sciopero del sonno era proprio poter trascorrere più tempo
giocando con mamma o papà, allora i bambini avevano fallito!
Mattia, 7 anni, era stato uno dei leader della protesta.
Aveva coordinato i ragazzini della prima e della seconda, i quali avevano coinvolto i loro
fratelli più grandi, finché la catena si era estesa così tanto da sfuggirgli di mano.
Si sentiva impazzire: suo fratello Gerardo, di tre mesi, aveva iniziato a lamentarsi tutto il
giorno.
Tra uno ueee ueee e un ghee gheee, Gerardo aveva perso il senso del tempo: non potendo