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85. La principessa Splendore (fiaba olandese) C'era | Favole della buonanotte

85. La principessa Splendore

(fiaba olandese)



C'era a quei tempi, in un regno dell’Europa meridionale (forse la Spagna), una principessa che aveva nome Splendore. E in verità più splendida non avrebbe potuto essere: era bella come una rosa di maggio. Se non chè... É risaputo che i popoli meridionali amano molto la luce, il colore, il movimento, il frastuono; ma la principessa portava all’ esasperazione questa passione. Per lei non c’erano mai colori troppo sgargianti per vestirla, né luci abbastanza vive per vederci, tanto che la balia, a furia di star sempre con lei, era diventata cieca; e gli strumenti che coi loro suoni dovevano rallegrarla non sonavano mai abbastanza forte, tanto che il direttore d’orchestra era diventato sordo. Infine la principessa gesticolava parlando, come gesticolano le pescivendole in piazza. E non conoscendo le sfumature nemmeno nei sentimenti, passava dal riso più sfrenato al pianto più straziante, più angoscioso, senza alcun trapasso.
La fama della sua bellezza aveva superato i confini del regno, e non passava giorno che da qualche parte del mondo non arrivasse qualche pretendente alla sua mano. Ma, dopo pochi giorni di permanenza in quella Corte cosi fragorosa e abbagliante, se ne fuggivano via storditi e spaventati.
Un giorno però arrivò alla Corte il principe Discreto. Veniva dalla terra d’Olanda, dove il cielo, le acque, le campagne, il mare, tutto ha colori delicati e tenuissimi; dove tutti i suoni sono fievoli, ovattati, soffocati; e il sole stesso brilla con moderazione. Questo principe (i suoi occhi erano azzurri come il fiore del lino e la sua voce scendeva soave al cuore) senti subito un vivo affetto per la bella Splendore: fu si anche lui stordito dalle troppe luci e dai troppi suoni, anzi forse ne soffri più degli altri, venendo da un ambiente tanto diverso; ma, anziché fuggire spaventato, si senti avvinto maggiormente alla principessa da un sentimento di gentile pietà: oh, che cosa avrebbe dato per insegnare la grazia del sorriso a quella povera creatura esasperata, che sapeva solo piangere o ridere, che non conosceva la gioia dei toni blandamente degradanti, dei tocchi leggieri, dei passaggi sottili, dei rumori attutiti, delle modulazioni vellutate!
Il primo giorno che aveva visto Splendore, le aveva regalato un fiore, niente altro che un fiore. Era un gesto gentile e pudico, di cui la principessa purtroppo non poteva capire tutto il valore.
— E’ un fiore del mio paese — aveva sussurrato.
Era un grappolo di piccoli fiori simili a campanelli, di color ambra verdognola; e dai sottili filamenti che uscivano fuori dallo stelo si capiva che doveva trattarsi di una pianta rampicante. Splendore aveva riso rumorosamente prendendo quel fiore, e aveva condotto l’ospite a visitare i suoi giardini, tutti pieni di colori sgargianti, di fragranze intense, snervanti. Uccelli con piume variopinte svolazzavano tra i rami degli alberi, nel fulgore squillante di un sole sfacciato. Tanto poco la fanciulla apprezzava il languido fiore olandese, che a un certo punto le cadde di mano, ed ella neppure se ne accorse.
Passarono i giorni, le settimane. Un bel mattino, il principe (sempre più fisso nella sua idea d’insegnare a Splendore il sorriso) aggirandosi solo soletto pel giardino, si accorse con commozione che il ramoscello della pianta rampicante che aveva regalato alla principessina, e che questa aveva lasciato cadere al suolo, si era abbarbicato tenacemente al terriccio della aiuola nella quale era caduto, e adesso aveva preso a germogliare. Discreto ne fu intenerito, e da quel giorno curò con particolare amore la pianticella che si ostinava a crescere anche in terra d’esilio: le diede a sostegno un arbusto di cedro, e dopo qualche tempo, piccoli grappoli di fiori con le corolle di color ambrato dondolarono dolcemente ai soffi degli zeffiri.
E una sera, verso il crepuscolo, Discreto volle condurre Splendore nel luogo dove prosperava la pianta delicata.