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Dal libro di sant'Ambrogio Vescovo sull'Apologia di David. Apo | Christus vincit

Dal libro di sant'Ambrogio Vescovo sull'Apologia di David.
Apologia 1 cap. 2.
Ciascun di noi quante colpe commette a tutte le ore! E tuttavia nessuno di noi, che siamo il popolo, pensa all'obbligo di confessarle. David, questo re sì grande e potente, non poté tenere in sé neppure un piccolo momento il peccato che pesa sulla coscienza; ma con una pronta confessione e con un dolore immenso si scaricò del suo peccato davanti al Signore. Mi troveresti ora facilmente un ricco ed onorato il quale, rimproverato di qualche colpa, non lo soffra con molestia? Egli invece, nello splendore della potenza reale, encomiato sì sovente dalle sante Scritture, allorché un uomo privato gli rimprovera un grave delitto, non freme di sdegno, ma confessa la sua colpa e ne geme con dolore.
Ed il Signore fu così tocco da questo intimo dolore, che Natan disse: Perché ti sei pentito, anche il Signore ha cancellato il tuo peccato. La prontezza del perdono dimostra che il pentimento del re era ben profondo, per cancellare così l'offesa d'un tal traviamento. Gli altri uomini, quando vengono ripresi dai sacerdoti, aggravano il loro peccato sia col cercare di negarlo, sia di scusarlo; e commettono così una colpa maggiore proprio là dove si sperava di vederli rialzarsi. Ma i santi del Signore, che bramano di continuare il pio combattimento e di correre la via della salute, se talvolta, uomini quali sono, avviene loro di mancare più per fragilità di natura che per proposito di peccare, si rialzano più ardenti alla corsa, e stimolati dall'onta della colpa, la compensano con più rudi combattimenti; così che la caduta, invece di aver causato loro qualche ritardo, non ha servito che a stimolarli e a farli avanzare di più.
David peccò, cosa che accade spesso ai re; ma fece penitenza, pianse, gemé, ciò ch'è assai raro nei re. Confessò la sua colpa, ne implorò il perdono prostrato a terra, deplorò la sua fragilità, digiunò, pregò, e, manifestando così il suo dolore, trasmise ai secoli futuri la testimonianza della sua confessione. La confessione che i privati si vergognano di fare, non si vergognò di farla questo re. Coloro che sono soggetti alle leggi, osano negare il loro peccato, sdegnano di domandare questo perdono, che sollecitò un sovrano che non era soggetto alle leggi di nessun uomo. Peccando, egli diede segno della sua fragile condizione; supplicando, diede prova d'emenda. Il cadere è cosa di tutti, ma confessarsene è di pochi. L'essersi macchiato di colpa dimostra fragilità di natura: l'averla lavata dimostra virtù.