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Viaggiatori si diventa

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Indirizzo del canale: @viaggiatorisidiventa
Categorie: Viaggiando
Lingua: Italiano
Abbonati: 31
Descrizione dal canale

Questo canale racconta la storia di un viaggio...non solo come spostamento da un posto fisico all'altro, ma come ricerca interiore. L' esplorazione di sé stessi, una sorta di purificazione dalle tossine

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Gli ultimi messaggi 6

2021-09-08 20:14:47 Non solo: ogni volta in cui arrivava un treno da Assisi su cui viaggiavano ebrei che volevano prendere coincidenze per fuggire in altre parti d’Italia, Gino è andato al bar della stazione ferroviaria. Lì si è fatto vedere bene da tutti, si è messo in mostra per i tifosi e il caos creato dalla sua presenza ha fatto sì che la polizia fascista e i soldati tedeschi non riuscissero a controllare bene i documenti e facessero passare un po’ tutti.
E poi ancora, altri viaggi in bici, fino a Genova e in Svizzera, per prendere lettere e denaro. Senza contare un’intera famiglia ebrea che è nascosta da un anno nella cantina di una sua casa.
In tutti questi modi, in quegli anni, Bartali ha salvato la vita a un numero imprecisato ed enorme di persone.
Gino, però, mantiene la promessa fatta al Cardinale; non racconta nulla a nessuno, nemmeno ad Adriana e Andrea, per proteggerli. E anche dopo, a guerra finita, tiene il segreto per sé, perché crede che “quando fai un favore ci pensi per una notte, ma te ne dimentichi il giorno dopo”.
Solo quando il padre è ormai molto vecchio, il figlio Andrea, che ha sentito girare alcune voci su questa storia, riesce a farsi spiegare dal babbo come sono andate le cose.
“Ma tu non devi dirlo a nessuno, eh!” insiste il campione. "Il bene si fa, ma non si dice. E certe medaglie si appendono all'anima, non alla giacca".

(Riccardo Gazzaniga)
"Abbiamo toccato le stelle"
- Storie di campioni che hanno cambiato il mondo -
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2021-09-08 20:14:47 Gino Bartali e il sellino truccato


Quando i fascisti lo convocano, quel giorno, Gino Bartali ha paura.
Ma non può non andare, sanno dove abita, ha un bimbo piccolo.
Non che non lo abbiano mai controllato, dopo lo scoppio della guerra: durante gli allenamenti tra Firenze e Assisi era facilissimo che lo fermassero. Ma ogni volta che vedevano la sua faccia e riconoscevano il campione già vincitore del Giro d'Italia e del Tour de France e della Milano Sanremo e di tante altre gare, tutto filava liscio.
Quel giorno è diverso, perché lo hanno convocato a Villa Triste, come è soprannominato il palazzo dove è alloggiata la Banda Carità che lo cerca.
La banda, che prende il nome dal comandante Mario Carità, è una delle più crudeli formazioni fasciste, specializzata in rastrellamenti, torture e infiltrazioni dentro i gruppi partigiani per arrestarne e ucciderne i componenti.
Villa Triste è famosa per le grida che provengono dalle vittime che i fascisti torturano.
A volte, dalle sue stanze, arriva la musica di un pianoforte, suonato per coprire le urla dei poveretti.
Appena arriva, Bartali viene condotto nelle cantine, dove capisce che è tutto vero quanto ha sentito dire: vede esposte armi, bastoni e vari strumenti di tortura che sembrano medioevali e con cui si fanno parlare le persone, quando le botte non bastano.
Anche Gino, un uomo durissimo e capace di soffrire ogni tormento sui pedali, è spaventato.
"Erano tempi in cui la vita non costava niente. Era appesa a un filo, al caso, agli umori degli altri", dirà.
E la sua vita, quel giorno, è appesa agli umori del terribile Mario Carità.
Il gerarca ha intercettato delle lettere, indirizzate a Bartali, che vengono dal Vaticano e lo ringraziano per il suo aiuto.
Le lettere sono lì, sul tavolo.
“Di che aiuto si tratta, Bartali? Cosa ha fatto per meritarsi i ringraziamenti del Vaticano? Ha portato armi?"
“Io nemmeno so sparare!".
"E allora ha portato altre cose! Lo confessi".
"Ho solo mandato caffè, farina e zucchero e altro cibo ai bisognosi".
"E lei mi vuole far credere che il Vaticano scriverebbe a un campione come lei per ringraziarla di aver mandato caffè, farina e zucchero?".
“Questa è la verità" insiste Bartali.
Carità lo fissa con i suoi occhi da rettile.
"Vediamo se in cella si schiarisce le idee".
Gino finisce incarcerato per due giorni, nelle stanze di Villa Triste.
Al terzo giorno lo riportano in cantina, ma Carità non è solo, si è portato tre altri militari. L'aguzzino fascista gli rifà la stessa domanda.
"Cosa ha fatto per il Vaticano, Bartali? Portava armi? O altro?".
Gino insiste: "Caffè, farina e zucchero".
Carità perde la pazienza, urla, ma uno dei tre ufficiali con lui è un militare che ha avuto Gino al suo servizio, ai tempi della leva.
“Conosco Bartali, è sempre stato uno sincero, uno che dice la verità. Se i ringraziamenti erano per farina e zucchero, allora è vero. Non perdiamo tempo con lui”.
Carità, riluttante, si convince a liberare il ciclista, anche perché gli americani si avvicinano a Firenze e c’è bisogno di lui e dei suoi uomini per combatterli.
Gino esce tutto intero da Villa Triste, incredulo di essersi salvato per le parole di quel militare che pensava di conoscerlo così bene.
Ma sbagliava, perché Gino ha mentito.
Non sono caffè, farina e zucchero, i motivi per cui il Vaticano lo ringrazia.
Per tutto il tempo in cui ha corso lungo la Firenze – Assisi, nel telaio della bicicletta cui si accede staccando il sellino, Bartali ha nascosto fotografie e altre carte necessarie a fabbricare documenti falsi destinati a centinaia di ebrei da salvare.
Lo ha fatto per conto del Vescovo di Firenze Elia Dalla Costa, l’uomo che ha celebrato il suo matrimonio e che ha pensato a Bartali come unica possibilità di passare i controlli.
“Ma non devi dire nulla a nessuno, Gino! Nemmeno alla tua famiglia. O quelli ammazzano tutti”.
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2021-08-26 01:20:03
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2021-08-26 01:19:48 "Se cresci
senza nessuno che ti dica
che sei bello o che sei bravo,
senza una parola di conforto
che ti rassicuri
dandoti il tuo posto al sole
nel mondo,
niente sarà mai abbastanza
per ripagarti di quel silenzio.
Dentro
resterai sempre
un bambino
affamato di gentilezza,
che si sente brutto,
incapace e manchevole,
qualsiasi cosa accada.
E non importa se,
nel frattempo,
sei diventato
la piu‌ bella delle creature."

Ferzan Ozpetek"
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2021-08-06 08:38:52
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2021-08-05 15:31:45
Il pinguino più chiaro è una femmina anziana il cui compagno è morto quest'anno. Il più scuro è un pinguino più giovane che ha perso la sua partner due anni fa. I biologi li hanno seguiti quando si incontrano tutte le sere per consolarsi a vicenda. Passano ore insieme a guardare le luci. Il fotografo Tobias Baumgaertner ha catturato questa immagine dei due pinguini che guardano l'orizzonte di Melbourne. Ha vinto un premio agli Ocean Photography Awards 2020 della rivista Oceanographic.

I pinguini si accoppiano una sola volta nella loro vita.
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2021-08-03 14:51:18 Finché c’è gente così possiamo guardare avanti con fiducia. Il corridore keniota Abel Mutai era a pochi metri dal traguardo, ma si è confuso con i segnali e si è fermato, pensando di aver concluso la gara. Ivan Fernandez, (parlando spagnolo) era proprio dietro di lui e, rendendosi conto di quello che stava succedendo, ha iniziato a gridare al Keniota di continuare a correre. Mutai non conosceva lo spagnolo e non capiva.

Rendendosi conto di quello che stava succedendo, Fernandez ha spinto Mutai alla vittoria.

Un giornalista ha chiesto ad Ivan: ′′ Perché hai fatto questo?" Ivan ha risposto: ′′ Il mio sogno è che un giorno potremo avere una sorta di vita comunitaria in cui spingiamo noi stessi e anche gli altri a vincere."

Il giornalista insistette ′′ Ma perché hai lasciato vincere il Kenya?" Ivan rispose: ′′ Non l'ho lasciato vincere; stava per vincere. La gara era sua."

Il cronista insistette e chiese ancora: ′′ Ma potevi vincere!" Ivan lo guardò e rispose: ′′ Ma quale sarebbe il merito della mia vittoria? Quale sarebbe l'onore di questa medaglia? Cosa ne penserebbe mia madre?" I valori si trasmettono di generazione in generazione. Quali valori insegniamo ai nostri figli e quanto ispirate agli altri? La maggior parte di noi approfitta delle debolezze delle persone invece di contribuire a rafforzarle.
#giovannidercole
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2021-08-02 04:50:07
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2021-08-02 04:50:00 I suoi due compagni di batteria prendono un clamoroso abbaglio: si buttano in acqua pima dello start. Squalificati.
Eric rimane al suo posto, aspetta il segnale di partenza e si tuffa in acqua in modo un po’ sgraziato.
Solo.
Con 17.000 spettatori che lo fischiano e ridono.
Eric percorre la prima vasca a tutta birra, o per lo meno con quella che è la sua versione di “a tutta birra”: ben diversa da come siamo abituati a vedere alle olimpiadi, ma con un certa innegabile cazzimma.

Arriva alla sponda dei 50 mt, vira in modo abbastanza dignitoso, ed inizia il ritorno.
Il lunghissimo ritorno.
Eric sembra aver bruciato tutte le sue energie nei primi 50 mt, e affronta la seconda vasca decisamente affaticato.
Più aumenta la fatica, più la sua azione perde efficacia. Dapprima si scoordinano le gambe, poi le braccia e infine la testa. Gli ultimi 25 metri le gambe quasi non le usa più, devono essergli diventate dei pezzi di legno, e le braccia e la testa sembrano mosse dalla forza della disperazione.

Ma Eric non molla.
E’ solo, qualunque sia l’esito comunque non si qualificherà, il suo dovere ormai l’ha fatto, gambe e braccia devono bruciargli da morire e immagino quanto gli manchi il respiro. I cordoli delle corsie sono lì a portata di mano, e sarebbe tanto facile aggrapparsi e porre fine all’agonia.

Ma Eric non molla, e continua a buttare lì bracciate scoordinate, che sono ognuna un inno alla sofferenza.
E qui il miracolo dello sport: il pubblico se ne accorge, smette di ridere ed inizia ad applaudirlo.

Eric lo sente, e sospinto dal calore della gente, trova la forza di concludere gli ultimi penosissimi 15 mt. Intanto la regia in mondovisione mostra il tempo di Eric (siamo oltre 1 minuto e 50) mentre come in tutti gli arrivi olimpici si vede in sovrimpressione il tempo del World record (all’epoca 48 secondi), amplificando l’effetto tragicomico, quasi a ricordarci che quel ragazzone nero che stenta a mantenersi a galla sta concorrendo per le Olimpiadi
Eric tocca l’agognata sponda come se fosse un naufrago che raggiunge la riva, e lo stadio del nuoto di Sidney esplode in un boato. La regia ci mostra il primo piano del volto di Eric deformato dalla fatica, con lui che a stento riesce ad alzare un braccio per salutare il pubblico che ormai lo adora.

Ed io nel mio piccolo quando ho visto il video in un primo momento ho riso (perché inevitabilmente la scena si presta a facili ironie). Poi mi sono ricordato la mia sofferenza nella gara coi bambinetti, quando decisi che dovevo dare tutto. E ho sentito di nuovo su di me il bruciore nei muscoli pieni di acido lattico che non ce la facevano più, e i polmoni che sembravano scoppiare, e il senso di fatica prossimo al collasso quando mi aggrappai al bordo alla fine del supplizio.

E ho pensato che è facile fare i fenomeni, se nasci Michael Phelps. Ed è bello immedesimarsi in Phelps quando nuota come un motoscafo e colleziona medaglie su medaglie, mangiandosi gli avversari.
Ma ognuno deve giocare la partita con le carte che gli sono state servite, e ogni giorno deve confrontarsi con le prove che la vita gli mette davanti, anche senza essere particolarmente dotato o preparato per superarle.

Anzi a molti di noi comuni mortali a volte tocca affrontare i problemi della vita con lo stesso sguardo con cui Moussombani ha visto per la prima volta la piscina olimpinica: qualcosa di enorme e apparentemente insuperabile.

E allora nuota Eric. Nuota per tutti noi, gente normale.
L’hanno capito i 17.000 dello stadio di Sidney, e oggi l’ho capito anch’io: in ogni tua bracciata affannata c’è lo sforzo di chi lotta con ostinazione per arrivare a fine giornata.
In palio non ci sono medaglie, né onori.
In premio per chi non molla c’è solo la soddisfazione di avercela fatta, e il rispetto di chi ti vuole bene.
Il che, a ben pensarci, può essere una motivazione sufficiente a smuovere il mondo.

#StorieDaCaffè
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2021-08-02 04:49:59 Ognuno deve giocarsi le carte che ha...


IL PEGGIOR NUOTATORE DELLA STORIA

Il peggior nuotatore della storia non sono io.
O meglio, probabilmente lo sono, ma non ho guadagnato questo titolo a livello internazionale.

Questa pregiata onoreficenza spetta ad un ragazzone della Guinea Equatoriale che risponde al nome di Eric Muossambani, ma sento davvero che anch’io ho qualcosa in comune con lui.
Io che ho avuto in dono dal buon Dio un fisico poco portato per lo sport in generale, e decisamente “poco acquatico” nel particolare.
Io che quando ero piccolo i miei decisero che dovevo fare un po’ di nuoto (all’epoca non è che lo sport te lo sceglievi) perchè faceva bene al fisico, dicevano;
Io che avevo una sorella cinque anni più piccola, e mia madre per ottimizzare gli accompagnamenti in piscina cercò due corsi che si svolgessero contemporaneamente;
Io che ebbi la sfiga che a quell’ora c’era un solo corso adatto al mio livello, che disgraziatamente coincideva con quello di mia sorella; e cosi io quattordicenne e lei novenne finimmo nello stesso corso popolato da bambini di dieci anni;
Io che ero una frana a nuotare, tanto che nelle vasche a rana (quanto l’ho odiata la rana) i bambinetti per superarmi nella corsia mi superavano passando sott’acqua;
Io che nelle dannatissime garette di fine corso ebbi un moto di orgoglio e decisi che almeno a stile libero, dovevo salvare la faccia e arrivare davanti ai mocciosi, costi quel che costi. Così in acqua quel pomeriggio diedi tutto quello che avevo, e forse rischiai anche un po’ la pelle, e ancora ricordo quelle due vasche a stile come uno degli sforzi maggiori della mia vita;

Io che avevo rimosso questo ricordo, finchè non ho sentito la storia che adesso vi vado a raccontare. E quando ho visto il video -che trovate nel primo commento- ho potuto sentire sulla mia pelle lo sforzo eroico di ogni bracciata di Eric Moussambani, detto “l’anguilla”.

Moussambani era un pallavolista amatoriale, nato e cresciuto nella Guinea equatoriale, e fino all’età di 21 anni non aveva mai imparato a nuotare.
Poi nel 2000 la Giunea rientra in un programma per l’incentivazione dello sport nei paesi in via di sviluppo, e ottiene una Wild Card per il nuoto per le Olimpiadi di Sidney, quelle del nuovo millennio.
Eric impara a nuotare alla meno peggio, un po’ in mare, un po’ nei fiumi, un po’ nell’unica piscina che ha a disposizione, quella dell’Hotel Ureca a Malabo.
Con questo pregevole curriculum, forse unico nuotatore del suo paese, Eric parte per Sidney, partecipa alla cerimonia di apertura come portabandiera per la Guinea, e si presenta in piscina il giorno della gara: 100 mt stile libero.

E’ una gara di qualificazione, per accedere alle fasi finali bisogna rientrare in un certo tempo, gli organizzatori lasciano da soli un’ultimissima batteria i tre “desperados” possessori di Wild card: Karim Bare dalla Nigeria, tale Farkod Oripov dal Tagikistan, ed il nostro valoroso Eric. E’ una gara apparentemente senza senso, nessuno dei tre ha speranze di rientrare nei tempi per accedere alle finali, ma si svolge comunque nello stadio del nuoto, davanti a 17.000 spettatori.
In una piscina olimpionica di 50 mt.

Eric una piscina di 50 mt non l’ha mai vista, quella dell’Hotel Ureca sarà grande si e no una quindicina, e la cosa deve aver influito nella scelta della gestione delle energie.
Bene, in questi giorni di Olimpiadi abbiamo tutti negli occhi una gara di nuoto olimpica: atleti in tutine iperaderenti che salgono in pedana, sciogono i muscoli, sistemano cuffia e occhialini, poi si tutffano e partono con un ritmo indiavolato che va crescendo nel corso della gara, negli ultimi metri sembrano motoscafi.

Eric sale in pedana con l’aria del condannato al patibolo: non ha tutine aderenti, non ha cuffia. Ha solo un costume mutanda slacciato e degli occhialini con l’elastico che svolazza.
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