Get Mystery Box with random crypto!

Da uomo comune a killer, l’ordinarietà del crimine in Simenon | #VentagliDiParole

Da uomo comune a killer, l’ordinarietà del crimine in Simenon
Graziella Pulce
Alias Domenica ~ Il Manifesto
25.07.2021


#diVisteERiviste

Mentre si accendevano i fuochi del maggio francese, i parigini affezionati al poliziesco portavano a casa l’ennesimo Simenon, La main, che ovviamente di tutte quelle tensioni sociali, politiche e culturali non recava la minima traccia.
Incomparabilmente più difficile che ricordare tutti i titoli dei film di Totò o dei romanzi di Balzac è tenere sotto controllo la lista delle opere di Georges Simenon, l’autore più prolifico che si conosca, considerato che il corpus dei suoi scritti oltrepassa i 400 titoli. Proseguendo un’impresa avviata nel 1985 con Le finestre di fronte, Adelphi «Biblioteca» manda in libreria il cinquantacinquesimo volume simenoniano, La mano (pp. 172, € 18,00), del 1968, appunto, preceduto di qualche settimana da La fattoria del Coup de Vague, del 1938 (pp. 142, € 18,00), entrambi nella traduzione di Simona Mambrini. I trent’anni che li separano hanno però lasciato tracce non troppo consistenti, giacché alla fine degli anni trenta Simenon ha già messo a punto il suo stile e attivato la macchina di una scrittura ‘dura’, all’insegna della quale si è congedato dai romanzi popolari che aveva pubblicato fino ad allora, e già a ritmo forsennato, sotto vari pseudonimi. Nel ’31 ha infatti dato alle stampe il primo romanzo dichiaratamente letterario, precisamente un poliziesco con il commissario Maigret, il primo di una lunghissima e fortunata serie di romanzi, tutti accolti da un grande successo di pubblico. Nello stesso anno vengono realizzati due film tratti da due suoi romanzi. La rapidità e l’ampiezza del successo stupiscono per primo l’autore che non cessava di meravigliarsi di fronte agli entusiasmi dell’amico e «maestro» André Gide, tra i primi a riconoscere in lui lo scrittore di talento.
Anche in Italia la fortuna di Simenon è precoce e prende inizio già nel 1932, quando Mondadori pubblica quattro titoli dello scrittore belga. E siccome le vendite danno subito un riscontro positivo l’anno successivo vengono proposti altri 13 romanzi, seguiti nel ’34 da ulteriori 15 traduzioni. Un successo inequivocabile confermato dalle successive ristampe e un dato da tenere in considerazione quando si analizza il corso delle traduzioni allestite durante il fascismo e la storia della lettura in Italia.

[.]

Un fattore del perdurante successo di Simenon consiste certamente nel fatto che le sue storie mostrano in modo inequivocabile come in qualsiasi scialbo avvocato americano, quanto nel più ordinario impiegato francese, sia annidato un possibile criminale, capace di irrompere all’improvviso sulla scena senza neanche la necessità di dover ricorrere alle misteriose pozioni inventate dal dr. Jekill. Come si legge ne La mano, si tratta di «una specie di risveglio», un riassetto della percezione che potremmo anche chiamare epifania e che va a frantumare decenni di convinzioni date per assodate una volta per tutte. Il crimine rappresenta la dimostrazione più lampante della assoluta solitudine e del fatale fallimento cui l’uomo è condannato da sempre, come lo stesso Simenon ebbe a dichiarare apertamente. Alberto Savinio, che riconosceva in Simenon la maestria dello scrittore di razza, notava già nel 1932: «Qui non c’è eccesso di terrore. Il delitto è un delitto di modeste dimensioni e niente affatto singolare… Racine ha imborghesito la tragedia. Ingres ha imborghesito la forma classica della pittura. Restava da imborghesire il romanzo poliziesco. Grâce à Dieu, anche questo è fatto».

[.]

Dunque in entrambi i romanzi i personaggi agiscono spinti da motivazioni che restano implicite e sfuggenti, ma mentre la dimensione della coscienza e della volontà si mantiene latente, quella del denaro e degli agi a esso connessi resta sempre ben solida, visibile e operativa per tutta la durata delle storie. E questo qualcosa pure significa.