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Facebook censura l’arte: se questo è un algoritmo

Un vecchio motto tra le startup della silicon Valley era “Don’t be evil” ma a quanto pare non tutte le ciambelle vengono con il buco.

L’ennesima dimostrazione di questo è quanto continua ad accadere con l’algoritmo di censura di Facebook.
L’obiettivo del sistema è di bloccare automaticamente i contenuti ritenuti offensivi, violenti o sessualmente espliciti. A quest’ultima categoria che si possono associare le cantonate più plateali.

Le opere di incommensurabili artisti del calibro di Raffaello e Leonardo hanno subito la scure della censura preventiva.
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Madonna d’Alba, Raffaello Sanzio, 1510 circa, Dipinto a olio su tavola trasportata su tela, National Gallery of Art, Washington D.C.
Questa censura è solo in parte paragonabile a quanto avveniva quando papa Pio IV chiese a Daniele da Volterra di coprire le nudità michelangiolesche del Giudizio Universale. Suo malgrado, l’allievo prediletto del Buonarroti passò alla storia con il soprannome di Braghettone.

Sotto la falce della censura di Facebook sono caduti gli affreschi di Pompei e la Venere preistorica di Willendorf, le Donne alla toilette di Picasso e la Sirenetta di Copenaghen.
Perché mai? Come abbiamo imparato in questi anni, a decidere il destino di un’immagine sui social non è un essere umano, ma un algoritmo di intelligenza artificiale addestrato attraverso l’esposizione a milioni di esempi. Chi si occupa di educare le reti neurali? Con quali criteri e competenze? Dov’è il confine tra il bello, il vero e l’osceno? Al momento, è difficile pensare a un algoritmo esperto in storia delle immagini, capace di distinguere la pornografia da un’opera d’arte o da una tavola anatomica. Capita così che l’Angelo incarnato di Leonardo da Vinci, subisca la stessa sorte dei seni di una porno star.  Nell’ultimo decennio sono stati in molti a sollevare la questione e Facebook ha annunciato più volte di voler cambiare le regole del gioco
A fare le spese di un meccanismo di riconoscimento per certi versi rudimentale sono quindi gli operatori culturali, musei in primis, e il loro pubblico. Eccone alcuni esempi. Il primo risale a pochi giorni fa.
Raffaello Sanzio, Madonna d’Alba, 1510 circa, Dipinto a olio su tavola trasportata su tela, National Gallery of Art, Washington D.C. La Madonna d’Alba di Raffaello Sanzio. Per diffonderla in rete è stato necessario tagliarla nella parte inferiore.

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Antonio Canova, Le Tre Grazie, 1812-1816, Marmo, 103 x 64 x 182 cm, San Pietroburgo, Museo Statale Ermitage,
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Pieter Paul Rubens, Innalzamento della Croce, 1610, Olio su tela, 642 x 341 cm, Anversa, Cattedrale di Nostra Signora.
Il Trittico dell’Innalzamento della Croce di Pieter Paul Rubens Cattedrale di Anversa è stato oscurato dal famigerato algoritmo insieme ad altre opere postate su Facebook da VisitFlanders, l’ente del turismo fiammingo. La risposta è una lezione di ironia: in un video diventato virale, il servizio d’ordine della Rubenshuis di Anversa invita i visitatori iscritti al social network a lasciare immediatamente le sale per proteggersi da glutei abbondanti e scollature pericolose.
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Il Bacio di Auguste Rodin “Mostra eccessivamente il corpo e contiene allusioni di natura sessuale”, questa la spiegazione fornita dalla società di Zuckerberg al curatore Marco Goldin nel 2017, quando la scure della censura si è abbattuta sul capolavoro scelto per rappresentare l’esposizione allestita a Treviso per i 100 anni di Rodin. Tra[...]