2023-04-15 12:13:56
Ormai prigioniero del regime più feroce, più geograficamente esteso è più capillare della storia planetaria, sono ben cosciente del fatto che esprimere opinioni che non sono allineate con il pensiero unico comporta rischi pesanti. Vedrò, allora, di essere quanto più lieve mi sia possibile.
Di certo io non sono stato un atleta da prima pagina, ma ho fatto sport fino a quando gli anni non hanno preteso un pedaggio impossibile da pagare, e l’ho fatto sempre nello spirito di onestà, di rispetto e di amicizia verso chi cercavo di battere e che, poi, cercava di battere me. Mi è capitato di competere, senza peraltro, e ovviamente, costituire elemento di preoccupazione, con campioni mondiali e campioni olimpici, e mai mi è passato per la testa di decidere la mia partecipazione alla gara in base alla loro provenienza, così come alla provenienza di chiunque.
I greci di tanti secoli fa erano attaccabrighe incalliti, e le guerricciole contro i vicini erano la norma. Quegli stessi attaccabrighe erano, però, anche sportivi appassionati (Platone era un eccellente giavellottista), e di fronte all’evento sportivo si metteva da parte ogni differenza. Si partecipava tutti, e fino alla fine dei giochi la guerra era accantonata. Poi, magari, botte da orbi, ma lo sport era sacro.
Oggi? Oggi no: oggi siamo imbevuti d’ipocrisia che rafforza un’ignoranza sempre più pervasiva.
Per evitare altre ritorsioni oltre a quelle che subisco da tempo immemorabile, non entrerò nella follia della guerra alla quale, nel più totale disprezzo della Costituzione (e delle tasche sempre più desolate dei contribuenti), noi partecipiamo.
Prescindendo da ciò, vecchio sportivo che sono, non riesco a non provare ribrezzo nei riguardi dei padroni dello sport, padroni che, spesso, lo sport non lo hanno mai praticato o che, comunque, dello sport non hanno la cultura.
Da quando è in corso la guerra in cui il mondo è trascinato, e questo nella più totale indifferenza di quali siano i fatti, oltre a ciò che milioni di terrestri sono costretti a subire in un numero imprecisabile di conflitti a macchia di leopardo dovunque che paiono non interessare nessuno, noi siamo ostaggi di un tale Volodymyr Oleksandrovyč Zelens'kyj che, prima di diventare il più eroico statista del secolo, deliziò il mondo esibendosi come virtuoso di pianoforte, strumento da cui cavava musiche affascinanti toccandone i tasti con un organo diverso da quello ormai obsoleto delle mani.
Grazie a lui, ora gli atleti russi e bielorussi sono additati al pubblico ludibrio togliendo loro la nazionalità. Medvedev e Rublev, tennisti classificati tra i primi 10 del mondo, appaiono come apolidi, e così le loro colleghe femmine Sabalenka (bielorussa) e Kasatkina. E con loro un’infinità di altri atleti di qualunque disciplina e di qualunque livello.
Ora c’è qualcuno tra i grandi burocrati dello sport che propone di lasciare graziosamente accesso alle olimpiadi prossime venture ai russi (ma non devono appartenere a squadre di militari come, ad esempio, le nostre Fiamme Oro, Fiamme Gialle o Fiamme Azzurre) sempre, però, senza bandiera: privati cittadini lì per caso.
Il Pianista, però, non gradisce e, appoggiato entusiasticamente da una trentina abbondante di nazioni (potevamo forse mancare noi?), si oppone fieramente, minacciando di boicottare la manifestazione. Lo sport affratella? Ma è proprio questo ciò che non si vuole!
Per quanto mi riguarda, e con grande dispiacere per gli atleti sudditi del divino Volodymyr perché so che cosa significa la rinuncia, io non mi dispererei se una nazione di quella levatura, e solo a causa del proprio comportamento, fosse (antisportivamente) esclusa dalle olimpiadi, così come da qualunque altra manifestazione sportiva in cui gli atleti non siano accolti tutti in condizione di assoluta parità morale. Quanto all’altra trentina di nazioni, credo che un corso di rieducazione per i loro padroncini potrebbe forse servire a non ricadere più in questo obbrobrio.
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