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Gli ultimi messaggi

2020-02-24 14:38:42
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Aprire / Come
2020-02-24 14:38:26 ULTIMI POSTI DISPONIBILI per la XIV Edizione della WINTER SCHOOL in Geopolitica e Relazioni Internazionali - "Un mondo post-americano? Sfide e sfidanti dell’ordine liberale"

. BAICR - Via di Porta Labicana 17, Termini

. 12 incontri/ 7 marzo - 30 maggio 2020

. education@geopolitica.info

Cos’è la Winter School? La Winter School in Geopolitica e Relazioni Internazionali è il programma di formazione di Geopolitica.info pensato per fornire nuove competenze e capacità di analisi a studenti e professionisti sui principali temi della politica internazionale.

Le lezioni sono divise in 5 moduli (USA, UE, Russia e Spazio post-sovietico, Medio Oriente e Asia-Pacifico) pensati per fornire una panoramica ampia e coerente dell’evoluzione del sistema internazionale.

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2020-02-21 14:19:36 Tant’è che sono in molti a parlare della necessità di recuperare nuove risorse. Le quali, tuttavia, non potranno che venire da un aumento dei livelli di tassazione. Poi si potrà discutere su chi incidere: se sulle grandi multinazionali del web, o sulle stesse imprese europee. Ma sempre di tasse ed imposte si dovrà trattare, quando invece si potrebbe parlare d’altro. Di come accrescere il ritmo di sviluppo complessivo dell’intero continente, ad esempio. Consapevoli del fatto che solo così le scelte successive (la ripartizione) sarebbero indolori. È realistica questa soluzione?

Se guardiamo ai dati a nostra disposizione, la risposta è evidente. Dal 1992 (firma del Trattato di Maastricht) ad oggi, l’Unione europea, nonostante la nascita del mercato unico, non è stata in grado di reggere, a differenza degli Stati Uniti, al dinamismo dell’economia mondiale. Fino al 2003, ad esempio, mentre il tasso di crescita del Pil americano era stato di quasi il 50 per cento, del tutto in linea con gli andamenti dell’economia mondiale, quello europeo risultava essere pari a meno della metà. Negli anni successivi, poi la situazione è addirittura peggiorata. Anche gli Usa perdevano terreno, rispetto alla concorrenza delle economie emergenti (Cina in testa). Ma per l’Europa era addirittura uno spiazzamento, senza possibilità di recupero. Crescita cumulata al 2020 dell’economia mondiale 285 per cento. Europa: 155.

Basterebbero questi elementi, ma è meglio insistere. Nel 1991 il peso dell’Europa sul prodotto complessivo, a livello mondiale, era pari a circa il 27 per cento. Tenendo naturalmente conto della diversità del potere d’acquisto. Gli Usa pesavano per poco più del 21 per cento e la Cina per il 4,3. Nel 2019 i nuovi indicatori: Europa 15,8; Usa 14,9; Cina 19,7. È la dimostrazione di quanto potente sia stato questo stress. L’Europa si è trovata in una morsa: da un lato il maggior dinamismo americano. Checché ne dica Donald Trump. Dall’altro il maglio cinese che, con il suo sistema unfair, ha colpito entrambi i colossi del vecchio Occidente.

Materia di riflessione sul perché si sia giunti a questa situazione, quando si parla, come ha fatto il presidente del Consiglio delle nuove “grandi sfide”, non dovrebbe mancare. A condizione, tuttavia, che l’orizzonte, alla fine, non sia solo quelle delle beghe di cortile tra le diverse forze della sua composita maggioranza.

#PrismaPolitica #UE #Economia #Analisi #FormicheNet
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2020-02-21 14:19:03 Perché il bilancio Ue non piace a nessuno (e come ci siamo arrivati). L’analisi di Polillo

Quando si parla, come ha fatto il presidente del Consiglio, delle nuove “grandi sfide” non dovrebbe mancare una riflessione. A condizione, tuttavia, che l’orizzonte, alla fine, non sia solo quelle delle beghe di cortile tra le diverse forze della sua composita maggioranza
L’Italia ed il dramma dell’Europa. Di un’Europa, secondo l’immagine data dal presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che non riesce ad affrontare “sfide” particolarmente “complesse”, che gli sono di fronte. Come “la transizione verde, il governo europeo dei flussi migratori, il rilancio della crescita e dell’occupazione”. In una fase, come quella appena trascorsa, che è stata caratterizzata da “una lunga crisi economica, che ha accentuato le disparità territoriali e acuito le disuguaglianze”. Per cui “la politica di coesione” dovrebbe “più che in passato, contribuire a ripristinare la convergenza fra territori e assicurare maggiori e più dignitose opportunità di lavoro, soprattutto per i più giovani”. Parole sacrosante, rese di fronte all’Assemblea di Palazzo Madama.

Oggetto del rammarico: il Consiglio europeo di domani dove si discuterà di un’ipotesi di bilancio – quello relativo al periodo 2021 – 2027- che non sembra piacere a nessuno. Non a Ursula Von Der Leyen, né a David Sassoli. Come del resto non era piaciuta la bozza precedente, curata sotto la presidenza finlandese e ora riproposta, con piccole correzioni ritenute del tutto insufficienti, dal Presidente del Consiglio europeo Charles Michel. Tensione, quindi, alle stelle. Al punto che quella che si ipotizzava essere una riunione conclusiva, in grado di licenziare il programma, rischia di trasformarsi in una piccola grande bolgia. Ed era forse anche a questo che pensava un Giuseppe Conte, ormai gasato, al termine di un dibattito che aveva visto un forte ricompattamento della sua maggioranza, quando ha detto, ai giornalisti: “la notizia è che vi sorprenderemo perché nei prossimi giorni ci sarà una cura da cavallo per il sistema Italia”.

In attesa di scoprire cosa ci riserva il destino, è bene non dimenticare che questo primo scotto – non è bello dover constatare come proposte comunque meditate da parte dei supremi organi europei siano considerate spazzatura – è solo la prima conseguenza della Brexit. L’uscita della Gran Bretagna ha fatto diminuire le risorse finanziarie a disposizione dell’Europa, comportando un’inevitabile limatura dei possibili programmi d’intervento. Con un budget più contenuto era inevitabile che qualcosa dovesse essere sacrificato. Si poteva, in alternativa, produrre una rimodulazione delle precedenti priorità. Vale a dire spostare risorse dai programmi più tradizionali, verso le nuove priorità. Ma anche questa seconda ipotesi è stata subissata dalle critiche. Si vorrebbe, in altre parole, la botte piena e la moglie ubriaca. Cosa non facile da ottenere: né in Italia, né altrove.
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2020-02-18 16:03:03 #PrismaPolitica
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2020-02-18 16:02:55 TENSIONI CRESCENTI

I decreti sicurezza sono stati la scusa per una nuova posizione critica di Italia Viva visto che il partito di Matteo Renzi ha colto l’occasione per chiedere una riscrittura del memorandum sulla Libia, ma Conte ha rinviato ad altra sede perché non era all’ordine del giorno. L’ipotesi di un decreto apposito sulla sicurezza apre a prospettive diverse perché non dovrebbe contenere solo una correzione dell’oltraggio al pubblico ufficiale, mantenendo l’abolizione della tenuità del fatto solo per le forze dell’ordine, ma dovrebbe allargarsi alle periferie e al decoro urbano: temi enormi di cui si parla da anni e non è certo secondario che il Pd abbia perso voti proprio nelle periferie a vantaggio della Lega. Modalità di intervento e finanziamenti saranno decisivi.

LA DIFESA DI SALVINI SULLA OPEN ARMS

Salvini, nel frattempo, ha depositato presso la Giunta delle immunità la memoria difensiva per il caso Open Arms il cui voto è previsto per il 27 febbraio. La linea dell’ex ministro dell’Interno si basa sul fatto che il comandante della nave dell’ong spagnola Pro Activa Open Arms fece rotta sull’Italia dopo aver “deliberatamente rifiutato” il porto sicuro indicato da Madrid. Spagna e Malta, infatti, furono i primi due Paesi a essere contattati essendo rispettivamente lo Stato di bandiera e quello più vicino. Secondo Salvini, al contrario di quanto sostenuto dal Tribunale dei ministri di Palermo, “è sicuramente lo Stato di bandiera della nave che ha provveduto al salvataggio che deve indicare il Pos nei casi di operazioni effettuate in autonomia da navi ong”.

Dopo che il 1° agosto 2019 il decreto firmato dai ministeri dell’Interno, della Difesa e delle Infrastrutture impediva alla Open Arms ingresso, sosta e transito nelle acque italiane, secondo il leader leghista il decreto del Tar del Lazio del 14 agosto non modificava la situazione: “Non si può confondere l’ingresso in acque territoriali, a fini di sicurezza e navigazione e di assistenza alle persone bisognevoli, con il diritto allo sbarco e all’attracco” e gli stessi legali di Open Arms il 19 agosto chiesero una integrazione  al precedente decreto cautelare del Tar per consentire approdo e sbarco.

“FU COLPA DEL COMANDANTE”

In sintesi la responsabilità del comandante dell’Open Arms si è manifestata nella scelta dell’Italia anziché di Spagna, Malta o Tunisia, nel rifiuto del porto sicuro offerto da Madrid il 18 agosto e nel rifiuto dell’assistenza della Capitaneria di porto italiana che avrebbe scortato la nave in Spagna. Dunque, secondo Salvini “è paradossale affermare che, per il solo fatto di essere entrata in acque italiane senza aver ottenuto il Pos, possa configurarsi il reato di sequestro di persona. Gli eventi dell’agosto 2019 sono simili a quelli del 16 marzo 2018, che avevano coinvolto Open Arms e lo stesso comandante e rispetto ai quali la procura di Ragusa aveva già chiesto il rinvio a giudizio”. Le accuse sono violenza privata e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina con il Viminale quale parte lesa.

Nella linea difensiva non ci sono riferimenti ai contrasti nel governo, anche a causa della crisi aperta l’8 agosto, con il duro scambio di lettere con il presidente Conte. Per la prima volta, dopo i casi Diciotti e Gregoretti, non si può parlare di scelta collegiale e anche su questo si dipanerà il dibattito nella Giunta.
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2020-02-18 16:02:31 Governo diviso, perché le modifiche ai decreti sicurezza sono più lontane

Si è chiuso ieri il primo tavolo di lavoro del governo sui temi dell'immigrazione. Sono emerse differenze nella maggioranza sull'eventuale modifica ai decreti sicurezza voluti da Matteo Salvini. Intanto il leader della Lega ha depositato in Senato la memoria difensiva sul caso Open Arms

La modifica dei decreti sicurezza voluti da Matteo Salvini non poteva essere una passeggiata, come si voleva far intendere con il cambio di governo, e passeggiata non sarà. Il primo vertice (anzi, “tavolo”) sul tema si è chiuso con la certezza che saranno scritti due decreti, uno sulla sicurezza e uno sull’immigrazione, e parecchie incertezze su che cosa conterranno, quindi non si sa quando i testi saranno pronti. Le differenze nella maggioranza di governo vengono fuori con le parole di Vito Crimi, capo politico reggente del Movimento 5 Stelle: “I decreti sicurezza hanno rappresentato un grande passo in avanti, tornare indietro vanificherebbe i positivi risultati raggiunti”. I 5 Stelle li condivisero quando erano al governo con la Lega e non possono smentirsi mentre gli attuali alleati, come una parte del Pd e LeU, vorrebbero una controrivoluzione.

DIFFICILE MEDIAZIONE

Il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, da tecnico qual è ha avuto da subito un approccio di mediazione badando al sodo e non alle posizioni ideologiche anche se, pur con l’appoggio di Giuseppe Conte, sa che non sarà facile portare a casa un risultato soddisfacente. È molto probabile che le multe alle Ong saranno ridimensionate dall’attuale massimo di 1 milione di euro a 50mila, anche perché nelle sue osservazioni il presidente Sergio Mattarella fece riferimento a una sentenza della Consulta sulla proporzionalità tra sanzioni e comportamenti, oltre al fatto che “non è stato introdotto alcun criterio che distingua quanto alla tipologia delle navi, alla condotta concretamente posta in essere, alle ragioni della presenza di persone accolte a bordo e trasportate”. Si ipotizza un ampliamento dei permessi speciali di soggiorno senza tornare all’eccesso della vecchia protezione umanitaria, ma anche su questo le opinioni sono diverse. Un altro elemento di scontro potrebbe essere l’intenzione di impedire l’immediata confisca della nave utilizzata per salvare i migranti e si parla di rafforzare l’accoglienza diffusa.
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2020-02-12 14:00:40 Gli uomini di Trump per Israele
Ma è anche un sogno condiviso da molti esponenti dell’amministrazione Trump e da gran parte della sua base evangelica. Ciò rappresenta un’ulteriore elemento di israelizzazione, che trova spunto soprattutto nel personaggio di David Friedman, ex avvocato di Trump e noto sostenitore finanziario delle colonie israeliane, dal 2016 è ambasciatore Usa in Israele. Friedman, che ancora rifiuta di usare la parola occupazione, ha avuto un ruolo chiave nel definire la visione di Trump.

Lo hanno avuto anche Jared Kushner, il trentanovenne primo genero di Trump, e Jason Greenblatt, ex-impiegato della Trump Organization che sino al ottobre 2019 ricopriva il ruolo di inviato speciale Usa per la pace in Medio Oriente. Oltre alla mancanza di esperienza diplomatica, ciò che accomuna tutti i membri del team negoziale statunitense è la vicinanza a Israele e al movimento delle colonie.

Se aggiungiamo Sheldon Aldeson, magnete dei casinò americani e principale sostenitore finanziario di Trump e Netanyahu, il quadro diventa più chiaro. È lui che ha salvato il candidato Trump, donando milioni alla sua campagna elettorale, ed è lui che lo ha convinto ad annunciare il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele. Non a caso era seduto in prima fila durante l’annuncio della visione di Trump a Washington il 28 gennaio.

In realtà quindi questo progetto è un prodotto della destra israelo-americana. Scavando più a fondo, si avvicina molto alle proposte del gruppo Israeli Victory Project (Ivp), creato nel 2017 e diventato presto un feroce alleato di Trump e Netanyahu, rappresentato anche nei rispettivi partiti politici e parlamenti. L’obiettivo principale dell’Ivp, per loro stessa ammissione è quello di “influenzare la politica Usa e israeliana verso il sostegno ad una vittoria israeliana contro i palestinesi per risolvere il conflitto”.

Ma forse è lo stesso Daniel Pipes, presidente del Middle East Forum che gestisce l’Ivp, a rendere meglio l’idea, catturando anche l’essenza della visione di Trump su Israele. Lo ha fatto durante un discorso dell’aprile 2017, nel quale annunciava il lancio del filone congressuale dell’Ivp: “Tutte le parti sono d’accordo sul fatto che 25 anni di processo di pace sono stati un fallimento spettacolare […] Forse è giunto il momento di provare qualcosa di nuovo, focalizzandosi sull’essenza del problema, il rifiuto dei palestinesi. Forse è giunto il momento di abbandonare la nozione post-moderna di arricchimento e di ritornare concetto consolidato di vittoria. Forse è giunto il momento della vittoria per il nostro alleato Israele, e il momento per i palestinesi di avere la possibilità di migliorare le proprie vite”

La visione di Trump, quindi, non è altro che una dichiarazione di vittoria dell’occupazione israeliana, mentre ai palestinesi viene concessa la “qualità della vita” sotto occupazione. Per questo è una visione che va fermata e rigettata, perché sarà impossibile risolvere le molteplici fratture regionali in Medio Oriente senza dare risposta al legittimo diritto di autodeterminazione palestinese. Per fare ciò sarà necessario districarsi dal dominio statunitense sul processo di pace e respingere al mittente la concezione di una politica occidentale esclusivista o preferenziale nei confronti di Israele.

#PrismaPolitica #USA #Israle
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2020-02-12 14:00:39 Israele-Palestina: Trump spiana la strada all’annessione

Il cosiddetto Accordo del Secolo di Donald Trump sulla pace tra Israele e Palestina rappresenta l’apice di un lungo processo di ‘israelizzazione’ della politica estera Usa in Medio Oriente, un processo che ha portato alla quasi completa assimilazione tra il partito Repubblicano di Trump e il Likud di Benjamin Netanyahu. I due sono uniti dal populismo nazionalista e da un’attenta coltivazione della destra religiosa, nonché dagli stessi sostenitori finanziari politici e da simili guai giudiziari.

L’israelizzazione della politica statunitense in Medio oriente
Con la parola israelizzazione si intende un processo graduale, svoltosi dagli Anni 70 a oggi, attraverso il quale Washington, geograficamente molto distante dal Medio Oriente, approccia la regione quasi esclusivamente attraverso una lente israeliana. Il coordinamento politico, l’adozione di simili definizioni giuridiche e strategiche e l’accavallamento delle percezioni delle minacce e dei rischi hanno aumentato l’interdipendenza tra Israele e gli Usa in Medio Oriente.

Il risultato è quello di offuscare le reali ed effettive distinzioni tra interessi statunitensi e israeliani in Medio Oriente, una narrativa che consente a Israele – anche ma non solo attraverso i propri alleati politici e di lobby negli Usa – di influenzare la politica statunitense nella regione. Per Israele l’obiettivo è sempre stato uno: consolidare la propria ‘special relationship’ con gli Stati Uniti, normalizzando l’idea di un’alleanza esclusivista in Medio Oriente a cui venga sempre riconosciuta la precedenza rispetto ad altri interessi o alleanze degli Stati Uniti nella regione.

L’ultimo capitolo di questo processo di israelizzazione è l’annuncio della visione di Trump per la “pace e prosperità” in Medio Oriente. Una visione che, oltre a mirare al consolidamento del sostegno politico, ha più a che vedere con il grande, tradizionale, obiettivo della politica Usa in Medio Oriente che con la pace e la riconciliazione tra israeliani e palestinesi.

L’ambizione è quella di spianare la strada ad un accordo regionale di pace con i Stati Arabi, iniziando da Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita. Anche qua, però, il calcolo di Trump non sembra essere dei migliori, visto il deciso rifiuto della Lega Araba e ora anche dell’Organizzazione della Cooperazione Islamica di sostenere tale visione.

Il rischio è che Israele usi questa opportunità per annettere una volta per tutte gran parte della Cisgiordania occupata, stabilendo ancora una volta un fait accompli che difficilmente sarà revocabile. L’annessione di oltre il 60% della Cisgiordania (Area C), che include la Valle del Giordano e tutte le principali colonie israeliane, rappresenta il sogno nel cassetto della destra nazional-religiosa in Israele.
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2020-02-11 14:00:25 Free Market or Socialism: Have Economists Really Anything to Say?
By Andrea Attar and Thomas Mariotti

On the Modern Economic Theory of Incentives, Markets, and Socialism

#PrismaPolitica #Economia #Teoria #Keynes #NeoLiberismo

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