2020-02-12 14:00:40
Gli uomini di Trump per Israele
Ma è anche un sogno condiviso da molti esponenti dell’amministrazione Trump e da gran parte della sua base evangelica. Ciò rappresenta un’ulteriore elemento di israelizzazione, che trova spunto soprattutto nel personaggio di David Friedman, ex avvocato di Trump e noto sostenitore finanziario delle colonie israeliane, dal 2016 è ambasciatore Usa in Israele. Friedman, che ancora rifiuta di usare la parola occupazione, ha avuto un ruolo chiave nel definire la visione di Trump.
Lo hanno avuto anche Jared Kushner, il trentanovenne primo genero di Trump, e Jason Greenblatt, ex-impiegato della Trump Organization che sino al ottobre 2019 ricopriva il ruolo di inviato speciale Usa per la pace in Medio Oriente. Oltre alla mancanza di esperienza diplomatica, ciò che accomuna tutti i membri del team negoziale statunitense è la vicinanza a Israele e al movimento delle colonie.
Se aggiungiamo Sheldon Aldeson, magnete dei casinò americani e principale sostenitore finanziario di Trump e Netanyahu, il quadro diventa più chiaro. È lui che ha salvato il candidato Trump, donando milioni alla sua campagna elettorale, ed è lui che lo ha convinto ad annunciare il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele. Non a caso era seduto in prima fila durante l’annuncio della visione di Trump a Washington il 28 gennaio.
In realtà quindi questo progetto è un prodotto della destra israelo-americana. Scavando più a fondo, si avvicina molto alle proposte del gruppo Israeli Victory Project (Ivp), creato nel 2017 e diventato presto un feroce alleato di Trump e Netanyahu, rappresentato anche nei rispettivi partiti politici e parlamenti. L’obiettivo principale dell’Ivp, per loro stessa ammissione è quello di “influenzare la politica Usa e israeliana verso il sostegno ad una vittoria israeliana contro i palestinesi per risolvere il conflitto”.
Ma forse è lo stesso Daniel Pipes, presidente del Middle East Forum che gestisce l’Ivp, a rendere meglio l’idea, catturando anche l’essenza della visione di Trump su Israele. Lo ha fatto durante un discorso dell’aprile 2017, nel quale annunciava il lancio del filone congressuale dell’Ivp: “Tutte le parti sono d’accordo sul fatto che 25 anni di processo di pace sono stati un fallimento spettacolare […] Forse è giunto il momento di provare qualcosa di nuovo, focalizzandosi sull’essenza del problema, il rifiuto dei palestinesi. Forse è giunto il momento di abbandonare la nozione post-moderna di arricchimento e di ritornare concetto consolidato di vittoria. Forse è giunto il momento della vittoria per il nostro alleato Israele, e il momento per i palestinesi di avere la possibilità di migliorare le proprie vite”
La visione di Trump, quindi, non è altro che una dichiarazione di vittoria dell’occupazione israeliana, mentre ai palestinesi viene concessa la “qualità della vita” sotto occupazione. Per questo è una visione che va fermata e rigettata, perché sarà impossibile risolvere le molteplici fratture regionali in Medio Oriente senza dare risposta al legittimo diritto di autodeterminazione palestinese. Per fare ciò sarà necessario districarsi dal dominio statunitense sul processo di pace e respingere al mittente la concezione di una politica occidentale esclusivista o preferenziale nei confronti di Israele.
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