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2022-08-02 02:00:05 L'Anticristo è l'opera forse più dissacrante di Nietzsche. Nella suddetta, nel paragrafo 4, egli va contro l'idea che oggi la società sia in progresso e progredita. Subito dopo afferma che il superuomo si manifesta sempre isolatamente come un caso raro e può coinvolgere intere generazioni e popoli.

«L'umanità non rappresenta uno sviluppo verso il migliore, o il più forte o il superiore, così come oggi si crede. Il «progresso» non è altro che un'idea moderna, vale a dire una idea sbagliata. L'europeo di oggi rimane, nel suo valore, profondamente al di sotto dell'europeo del Rinascimento; sviluppo ulteriore non è assolutamente, per chissà quale necessità, elevazione, crescita, rafforzamento. In un altro senso vi è nei più disparati angoli della terra e a partire dalle più diverse civiltà un continuo successo di casi isolati, attraverso i quali si manifesta, di fatto, un tipo superiore: un qualcosa che in rapporto all'umanità nel suo insieme è una sorta di superuomo. Simili casi fortunati di grande riuscita sono stati sempre possibili e forse sempre lo saranno. E perfino intere generazioni, stirpi, popoli possono, in determinate circostanze, rappresentare un siffatto caso vincente».

Friedrich Nietzsche, L'Anticristo, Newton Compton, Roma 2013, cit. p. 41.

A cura di Michael De Bartolo

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2022-07-25 15:35:55 Nel Capitolo sesto intitolato "La cura come essere dell'esserci, e in particolare nel § 43 Esserci, mondanità e realità di Essere e tempo, Martin Heidegger si interroga come si possa arrivare alla comprensione dell'essere dell'esserci.

«La domanda circa il senso di essere diventa possibile come tale, solo se qualcosa come comprensione d'essere è. Al modo d'essere di quell'ente, che chiamiamo esserci, appartiene comprensione d'essere. [...]».

L'esserci si dischiude nel suo essere-nel-mondo, essendo ente. Se comprendiamo l'esserci, abbiamo compreso anche il suo essere che gli appartiene; non tutto l'essere ma il suo essere specifico.

«Nella fattizia schiusura del mondo è insieme svelato l'ente intramondano. Ciò implica che: l'essere di questo ente viene in un certo modo già sempre compreso, anche se non adeguatamente concepito in termini ontologici. La comprensione preontologica dell'essere abbraccia bensì tutto quell'ente, che è essenzialmente dischiuso nell'esserci, ma la comprensione dell'essere ancora non si articola come tale secondo i diversi modi d'essere».

Non si parla ancora di comprensione ontologica bensì ontica, dell'ente quindi. Si può affermare quindi che:

«L'essere acquista il senso di realità».

Mentre:

«La determinazione fondamentale dell'essere diventa quella di sostanzialità. In corrispondenza con tale spostamento della comprensione dell'essere, anche la comprensione ontologica dell'esserci slitta nell'orizzonte di questo concetto d'essere».

Quindi:

«Anche l'esserci, come ogni altro ente, sarà realmente sottomano. È così che l'essere in assoluto acquista il senso di realità».

Martin Heidegger, Essere e tempo, Mondadori, Milano 2017, cit. pp. 286-287.

A cura di Michael De Bartolo

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2022-07-20 14:14:28 Secondo Immanuel Kant, l'artista, colui che crea l'arte bella è uomo di genio e ha talento naturale. Così egli si esprime nella Critica del Giudizio pubblicata nel 1790:

«Il genio è il talento (dono naturale), che dà la regola all'arte. Poiché il talento, come facoltà produttrice innata dell'artista, appartiene anche alla natura, ci si potrebbe esprimere anche così: il genio è la disposizione innata dell'animo (ingenium) per mezzo della quale la natura dà la regola dell'arte».

Immanuel Kant, Critica del Giudizio, Laterza, Bari 2011, cit. p. 291.

A cura di Michael De Bartolo

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2022-07-20 13:13:22 Chi più di Epicuro ci può consolare attraverso la sua filosofia edonistica e volta alla felicità interiore, dal male più grande quale è la morte? Egli infatti, nella Lettera a Meneceo, esprime un concetto che spesso viene citato dai più in modo semplicistico, ma che andrebbe considerato in modo più rigoroso.

«125. Nulla è infatti temibile nella vita per chi si sia saldamente convinto che nulla è temibile nel non vivere più. E così è sciocco chi dice di temere la morte non perché quando sopraggiungerà proverà dolore, ma perché prova dolore sapendo che sopraggiungerà: ciò che non ci fa soffrire nel momento in cui sopravviene, ci addolora nell'attesa. Dunque la morte, il più terribile dei mali, non è niente per noi: se noi ci siamo, la morte non c'è, se c'è la morte non ci siamo noi. Essa non riguarda i vivi e non riguarda i morti, perché per i primi non esiste, i secondi invece, non sono più. Ma la gente ora fugge la morte come il più grande dei mali, ora la cerca come rimedio dei mali della vita».

Epicuro, Lettera sulla felicità, Milano 2010, cit. pp. 19-21.

A cura di Michael De Bartolo

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2022-07-17 21:31:12 STOP , non segui ancora questi canali?! Rimedia subito!  

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