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« Nessuno mi può costringere ad essere felice a suo modo (come | Mondo filosofia

« Nessuno mi può costringere ad essere felice a suo modo (come cioè egli si immagina il benessere degli altri uomini), ma ognuno può ricercare la sua felicità per la via che a lui sembra buona, purché non rechi pregiudizio alla libertà degli altri di tendere allo stesso scopo, in guisa che la sua libertà possa coesistere con la libertà di ogni altro secondo una possibile legge universale (cioè non leda questo diritto degli altri). »

Così scrive Immanuel Kant nel suo saggio del 1793 "Sopra il detto comune: questo può essere giusto in teoria, ma non vale per la pratica”.
In questa prospettiva per Kant la felicità del singolo individuo si ricollega al problema della libertà in quanto ogni cittadino costituisce sempre un uomo vivente nell’ambito di una specifica società civile, formata da cittadini dotati di pari diritti. Alla luce del passo scritto sopra, per Kant non può quindi mai scindersi il problema della felicità da quello della libertà. 

La conquista della propria felicità deve quindi attuarsi, nell’ambito di una società civile, nel rispetto della legge universale che tutela la libertà della ricerca della felicità per tutti i cittadini.
Per Kant felicità e libertà rappresentano così due lati della medesima medaglia, al punto che secondo la sua ottica prospettica non è mai possibile considerare una sola componente del problema trascurando il suo legame diretto e costitutivo, con l’altro aspetto.

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