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Le donne dei Calabri di Montebello di Simonetta Tassinari

Corbaccio, 2021 - Tassinari si conferma abile narratrice, componendo un credibile affresco di un periodo pieno di suggestioni come quello dell’Italia del XVII secolo, ma anche degli anni della rivoluzione scientifica, in bilico tra antico e moderno.

Le donne dei Calabri di Montebello (Corbaccio 2021) è una nuova saga familiare italiana, redatta dalla scrittrice Simonetta Tassinari, già autrice del volume La casa di tutte le guerre (Corbaccio 2015). La scrittrice nata a Cattolica e cresciuta tra la costa romagnola e Rocca San Casciano, sull’Appennino, vive da molti anni a Campobasso, in Molise, dove insegna Storia e Filosofia in un liceo scientifico. Molto attiva nella divulgazione filosofica, Simonetta Tassinari tiene conferenze e incontri in tutta Italia.
Nel 1657, la Firenze del Granducato di Toscana in mano a Ferdinando II de’ Medici (Firenze, 14 luglio 1610 – Firenze, 23 maggio 1670) era un’antica, malinconica, splendida città italiana che, politicamente parlando, non contava più niente. I suoi abitanti erano settantamila e tutto il granducato contava neanche un milione di sudditi. Ferdinando II, basso e con una grande testa, era un uomo molto prudente, il papa si fidava di lui e la sua devozione era portata ad esempio. Infatti a Palazzo Pitti era più facile incontrare tonache monacali che non dame scollate. Ma nel “Secolo di ferro”, la voglia di conoscenza era troppo forte e con uno sguardo puntato verso il futuro, in quell’afoso giugno di metà Seicento, Ferdinando II e suo fratello Leopoldo avevano invitato a Palazzo Pitti botanici, farmacisti, medici, fisici e matematici per fondare la nuova accademia delle scienze, l’Accademia del Cimento.

I tempi erano maturi per riprendere in mano le scienze sperimentali. Dopo la breve fioritura dei tempi di Galileo Galilei e di Gaetano Torricelli, la scienza toscana languiva e le Lettere avevano riconquistato il primato. Eppure il Granduca era un seguace di Galilei e proprio a causa di ciò Ferdinando in passato aveva avuto non pochi guai con la Chiesa cattolica, cercando inutilmente di proteggere Galileo. Nessuno dei futuri accademici aveva intenzione di passare sotto le grinfie della Santa Inquisizione, occorreva avere pazienza e rassegnarsi, accettando alcune palesi sciocchezze che a Roma venivano considerate fondamentali per il mantenimento del prestigio della dottrina cattolica. La Terra era rotonda, ma non lo si poteva dire, la Luna era un pianeta come tanti, ma neanche questa verità si poteva affermare chiaramente. Quanto al Sole, dopo Copernico, Keplero e Galileo, era ridicolo pensare che girasse intorno alla Terra, tuttavia si faceva finta di pensarlo.
Con la dedica “Ai miei avi tosco romagnoli, dei quali condivido l’aspetto e i difetti, ma non abbastanza le virtù”, l’autrice in queste pagine compone un romanzo storico di grande respiro, ambientato in una Firenze seicentesca inedita, solare (sfarzi e costumi) e oscura (povertà, ignoranza, sporcizia), dove sulla scena appaiono nobili e servi, scienziati e uomini di Chiesa, ricchi e poveri. Al centro di questa saga familiare splende la figura di Elisabetta Calabri di Montebello, detta Betta Bai, che vive tra i boschi dell’Appennino tosco-romagnolo, in una terra dalla natura selvaggia, boscosa, campagnola e sogna la vita fiorentina alla corte dei Medici nei domini dei Calàbri.

Simonetta Tassinari si conferma abile narratrice, componendo un credibile affresco di un periodo pieno di suggestioni come quello dell’Italia del XVII secolo, ma anche degli anni della rivoluzione scientifica, in bilico tra antico e moderno.