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Per questo mi chiamo Giovanni: ricordiamo Falcone a 30 anni dalla morte

A trent'anni dalla strage di Capaci ricordiamo la morte di Giovanni Falcone, con un libro di grande lezione civile di Luigi Garlando, che torna ora in edicola con il Corriere della sera.

Con soddisfazione trovo in edicola il libro magnifico del giornalista e scrittore Luigi Garlando Per questo mi chiamo Giovanni (BUR, collegato al “Corriere della sera”, pp. 158) con un’intervista aggiornata a Maria Falcone, sorella del magistrato eroe che insieme a Paolo Borsellino e al generale Dalla Chiesa non è possibile dimenticare. Si tratta della trentasettesima edizione.

Il narratore è un bambino
Molto è stato già detto su questo libro apprezzato, scritto come un romanzo. Ma vorrei aggiungere alcune considerazioni. La prima: Garlando fa parlare un bambino, nato lo stesso giorno della strage di Capaci; usa un linguaggio comprensibilissimo, adatto alla mentalità di un ragazzino di dieci anni. Per esempio paragona il pool antimafia creato da Giovanni Falcone ai tre moschettieri di Dumas, “Uno per tutti e tutti per uno”, cosa che sa destare il giusto e inesauribile entusiasmo in una mente giovane, che va educata ai valori intramontabili: la giustizia, il coraggio, la ricerca della verità, la fedeltà allo Stato di cui un funzionario si considera un servitore, fedeltà alla democrazia, compiuta fino all’estremo sacrificio di sé, fino alla morte, ben sapendo, da parte di Giovanni, che il rischio riguardava anche i suoi cari. La madre preoccupata per lui morirà di crepacuore prima del figlio. Lo scrittore afferma che i bambini comprendono benissimo le cose quanto gli adulti, basta parlare nel modo adeguato, usare il loro stesso loro linguaggio colorato e metaforico.

La mafia paragonata a un carciofo
Nel dialogo del padre, commerciante di giocattoli, con il figlio (la voce narrante), la mafia viene paragonata a un carciofo.
Le foglie sono tutte collegate tra loro, la sommità del carciofo nel linguaggio botanico si chiama “cosca”, e cosche sono le famiglie e i clan mafiosi, strutturati in modo gerarchico: c’è un capo, un vicecapo, tre consiglieri, più sotto i capodecina, in fine i soldati o “picciotti”, gli esecutori. Sopra tutte le famiglie domina la “cupola”, che impone le regole a tutte le cosche.