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Gli ultimi messaggi 12

2022-07-21 13:00:08 FERMATO CASUALMENTE DA DUE CARABINIERI IN BORGHESE MENTRE ANDAVA A CENA DA AMICI E VERRÀ TROVATO MORTO POCHE ORE DOPO NELLA SUA CELLA
“E non sapremo mai la verità perché gli è stata negata la presenza di un testimone. Sono consapevole che non avrò mai più indietro mio figlio, ma penso ora al futuro di tanti giovani e persone che potrebbero trovarsi nella stessa situazione per colpa di una legge. Certo fatti. però, oltre che non la legge andrebbero valutati con l’umanità.”
Con queste parole Bruno Frapporti commentava su un giornale locale la morte del figlio Stefano, detto Cabana. Stefano aveva 49 anni. Lavorava come carpentiere, era incensurato e viveva a Rovereto. Quella sera del luglio 2009 Stefano stava andando a cena di amici con la sua bicicletta. Ad un tratto viene fermato da alcuni agenti in borghese impegnati in un’operazione antidroga. Da questo momento in poi la storia si Stefano assume una piega a dir poco assurda. Una storia sulla quale ancora oggi, a oltre 10 anni di distanza, non si è fatta luce. Gli ultimi testimoni a vedere Stefano sono alcune persone presenti di fronte a un bar, che già offrono una versione dei fatti ben distante da quella dei carabinieri. Secondo questi ultimi, infatti, pur non avendo addosso sostanze di alcun tipo Stefano si autoaccusa del possesso di stupefacenti nella sua abitazione. Segue rapidamente una “perquisizione” della quale nessuno si avvede, né i vicini né la famiglia di Stefano che, in seguito, troverà l’appartamento perfettamente in ordine. Le quantità di sostanze rinvenute - hashish e cannabis - vengono ritenute compatibili con lo spaccio. Stefano viene portato quindi in caserma ma appare abbastanza tranquillo. In tarda serata è previsto un incontro con l’avvocato d’ufficio che però non può presentarsi in quel momento, facendo slittare l’incontro alla mattinata seguente. Poco prima di mezzanotte un secondino nota Stefano seduto nella sua cella. Venti minuti dopo lo stesso agente nota l’uomo in una posizione irregolare: Stefano viene ritrovato impiccato con un laccio che, secondo il verbale della perquisizione avvenuta all’ingresso in carcere, non doveva avere addosso. La famiglia saprà di Stefano solo molte ore dopo, alle 10 di mattina, quando per loro Stefano era a lavoro come tutti i giorni. Da quel momento in poi inizia la ricostruzione di una vicenda, da parte della polizia, che non ha né capo né coda, che giustifica il suicidio a causa della presenza nel sangue di Stefano di una (minima) quantità di cannabinoidi che possono essere “causa di instabilità emotiva”. Il caso, la storia e la vita di Stefano vengono archiviate così: ma non per la sua famiglia e i suoi amici che continuano a chiedere verità.

Sulla storia di Stefano e su quella di tante altre morti in carcere suggeriamo la lettura di “Impìccati”, di Luca Cardinalini, disponibile nella nostra libreria online a questo link: https://bit.ly/3Oo6FQR
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Aprire / Come
2022-07-21 13:00:08
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2022-07-21 12:05:35
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2022-07-21 11:48:57
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2022-07-20 23:20:44 LA MORTE DI CARLO GIULIANI, COM'È ANDATA VERAMENTE

Il 20 luglio del 2001 nel corso del G8 di Genova è previsto un corteo delle “tute bianche”: 15.000 persone, partendo dallo stadio Carlini, dovrebbero arrivare a piazza delle Americhe. Alle due e mezza del pomeriggio il corteo arriva in via Tolemaide, lungo rettilineo chiuso su un lato dalla ferrovia. Nel frattempo la centrale operativa della questura chiede al primo dirigente della polizia di stato Mario Mondelli di prendere la compagnia di carabinieri al suo comando e dirigersi prima in piazza Verdi, poi verso il carcere di Marassi. I 200 uomini comandati da Mondelli però non lo fanno. Alle 14.50 incrociano su Via Tolemaide il corteo delle Tute Bianche. Dovrebbero transitare velocemente, e invece Mondelli ordina ai suoi di scendere dai mezzi e di caricare il corteo, spezzando rapidamente il muro di plexiglass posto all’inizio dello stesso. Molti manifestanti, non riuscendo a tornare indietro, si disperdono nelle vie e piazze laterali. I carabinieri li inseguono, li caricano con i blindati lanciati ad alta velocità, sparano colpi di pistola, lacrimogeni ad altezza uomo e lanciano oggetti. Alcuni manifestanti allora cercano di bloccare le strade con i cassonetti e attaccano i blindati. Un altro gruppo di carabinieri, compagnia Echo, prova a caricare il corteo che defluisce da via Tolemaide attraverso una via laterale. Quando i CC si ritirano, senza apparente motivo, uno dei due defender che li seguivano rimane bloccato, ostacolato dalla manovra dell’altro e da un cassonetto che non può spingere via perché dietro c’è un carabiniere che spruzza liquido urticante. In questa fase un manifestante con caschetto giallo si avvicina al defender e gli lancia contro un estintore, che colpisce una gomma e rotola a 4 metri. Dal retro del defender emerge una pistola, che punta nella direzione dei manifestanti che hanno circondato il veicolo. Allora, solo allora, Carlo Giuliani prende in mano l’estintore che era caduto a terra. Si trova a quattro metri di distanza dal veicolo quando viene colpito allo zigomo da un proiettile. Sono le 17 e 25 e il defender, prima di allontanarsi passerà due volte sul corpo del ragazzo. Poi il corpo viene circondato dai carabinieri che erano rimasti a qualche decina di metri dal defender attaccato. Nell’attesa di un'ambulanza inutile, il vicequestore Adriano Lauro si scaglierà contro i pochi manifestanti rimasti sostenendo che sia stato un loro sasso ad uccidere Carlo.
Il corpo giungerà in ospedale solo verso le 20-20,30. L’unica autopsia sarà quella richiesta dalla magistratura e il corpo verrà cremato per volontà della famiglia, con l'autorizzazione del giudice. Per l’omicidio di Carlo Giuliani la giustizia italiana, senza effettuare alcun processo, scagionerà il carabiniere Mario Placanica, avallando la tesi della legittima difesa.
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Aprire / Come
2022-07-20 23:20:44
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Aprire / Come
2022-07-20 13:51:05
Carlo Giuliani
The activist was shot in the head by a Carabinieri during the anti-globalization demonstration against the 2008 8G summit
/ #July 20 2001 /
/ Genove – Italy /
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2022-07-19 18:05:32 “UNO DUE TRE VIVA VIVA PINOCHET,
QUATTRO CINQUE SEI A MORTE GLI EBREI,
SETTE OTTO NOVE IL NEG*ETTO NON COMMUOVE!”
COSÌ CANTAVANO LE FORZE DELL’ORDINE MENTRE TORTURAVANO I CIVILI INERMI NELLA CASERMA DI BOLZANETO

Il 19 luglio comincia il G8 di Genova. Dimostranti, alcuni feriti che avevano lasciato i propri dati al pronto soccorso, manifestanti che stavano ai margini dei cortei, fotografi, giornalisti, persone che cercavano rifugio nei pochissimi bar aperti, sono centinaia le persone fermate nel corso del forum. I principali centri di raccolta per i manifestanti sono due. Uno è gestito dalla polizia penitenziaria, e si trova nella zona nord di Genova: è la caserma di Bolzaneto.
Gli arrestati, secondo la legge italiana, dovrebbero solo essere immatricolati, visitati e poi portati in sede carceraria. Ma questo non avviene.
Vengono accolti dal grido “benvenuti ad Auschwitz”, e ci mettono poco a capire che quello che li aspetta è una situazione di sospensione di ogni elementare diritto, degna dei peggiori regimi totalitari.
“Qualcuno dovrà morire”, dicono le guardie. “Put*ana” è l’epiteto rivolto alla donne in stato di fermo, oggetto di incessanti minacce di stupro.
Molti degli arrestati vengono lasciati in piedi per ore e poi messi faccia al muro, con la testa inclinata. Vengono costretti a voltarsi, a fare il saluto romano mentre gli agenti gli urlano sorridenti “guarda ora come sono belli questi comunisti”, cantano canzoncine come quella riportata nel titolo del post, e inneggiano a Mussolini. Il personale sanitario non è da meno. I fermati vengono visitati spesso completamente nudi, in stanze sovraffollate, trattati come fossero internati di un lager.
E poi ci sono le violenze fisiche. Sigarette spente sui corpi, arti fratturati, dita divaricate fino a scarnificare le ossa, schiaffi, calci, pedate, anche sui genitali.
C’è puzza a Bolzaneto. Puzza di sangue raffermo, di urina figlia della paura, di vomito, di morte.
“Pensavamo ad un golpe, ad un colpo di stato” diranno in molti. E invece no, sono agenti della Repubblica italiana quelli che torturano civili inermi.
E lo fanno sistematicamente, lasciando emergere un substrato culturale che dovrebbe far tremare ognuno di noi.
Almeno 100 reati, secondo la pubblica accusa di uno dei processi per i fatti di Bolzaneto, sono compiuti contro circa 200 fermati da più di 40 agenti di polizia. Alla fine di un lungo iter processuale, che aveva visto in appello 44 condanne, la Cassazione emetterà solo sette condanne definitive. Il grosso dei reati nel 2013 era già caduto in prescrizione.
Qualcuno ha detto che quello che che al G8 di Genova “c’è stata la più grave violazione di diritti umani in un paese democratico dal dopoguerra in poi”. Per noi non è sufficiente.
Quello che è accaduto a Bolzaneto è un crimine contro l’umanità, per cui non c’è mai stata giustizia.
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