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FERMATO CASUALMENTE DA DUE CARABINIERI IN BORGHESE MENTRE ANDA | Contropotere 🏴

FERMATO CASUALMENTE DA DUE CARABINIERI IN BORGHESE MENTRE ANDAVA A CENA DA AMICI E VERRÀ TROVATO MORTO POCHE ORE DOPO NELLA SUA CELLA
“E non sapremo mai la verità perché gli è stata negata la presenza di un testimone. Sono consapevole che non avrò mai più indietro mio figlio, ma penso ora al futuro di tanti giovani e persone che potrebbero trovarsi nella stessa situazione per colpa di una legge. Certo fatti. però, oltre che non la legge andrebbero valutati con l’umanità.”
Con queste parole Bruno Frapporti commentava su un giornale locale la morte del figlio Stefano, detto Cabana. Stefano aveva 49 anni. Lavorava come carpentiere, era incensurato e viveva a Rovereto. Quella sera del luglio 2009 Stefano stava andando a cena di amici con la sua bicicletta. Ad un tratto viene fermato da alcuni agenti in borghese impegnati in un’operazione antidroga. Da questo momento in poi la storia si Stefano assume una piega a dir poco assurda. Una storia sulla quale ancora oggi, a oltre 10 anni di distanza, non si è fatta luce. Gli ultimi testimoni a vedere Stefano sono alcune persone presenti di fronte a un bar, che già offrono una versione dei fatti ben distante da quella dei carabinieri. Secondo questi ultimi, infatti, pur non avendo addosso sostanze di alcun tipo Stefano si autoaccusa del possesso di stupefacenti nella sua abitazione. Segue rapidamente una “perquisizione” della quale nessuno si avvede, né i vicini né la famiglia di Stefano che, in seguito, troverà l’appartamento perfettamente in ordine. Le quantità di sostanze rinvenute - hashish e cannabis - vengono ritenute compatibili con lo spaccio. Stefano viene portato quindi in caserma ma appare abbastanza tranquillo. In tarda serata è previsto un incontro con l’avvocato d’ufficio che però non può presentarsi in quel momento, facendo slittare l’incontro alla mattinata seguente. Poco prima di mezzanotte un secondino nota Stefano seduto nella sua cella. Venti minuti dopo lo stesso agente nota l’uomo in una posizione irregolare: Stefano viene ritrovato impiccato con un laccio che, secondo il verbale della perquisizione avvenuta all’ingresso in carcere, non doveva avere addosso. La famiglia saprà di Stefano solo molte ore dopo, alle 10 di mattina, quando per loro Stefano era a lavoro come tutti i giorni. Da quel momento in poi inizia la ricostruzione di una vicenda, da parte della polizia, che non ha né capo né coda, che giustifica il suicidio a causa della presenza nel sangue di Stefano di una (minima) quantità di cannabinoidi che possono essere “causa di instabilità emotiva”. Il caso, la storia e la vita di Stefano vengono archiviate così: ma non per la sua famiglia e i suoi amici che continuano a chiedere verità.

Sulla storia di Stefano e su quella di tante altre morti in carcere suggeriamo la lettura di “Impìccati”, di Luca Cardinalini, disponibile nella nostra libreria online a questo link: https://bit.ly/3Oo6FQR