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«Diritto alle cure, non alla morte» Mai avallare l’idea che al | UTIM Nichelino

«Diritto alle cure, non alla morte»
Mai avallare l’idea che alcune condizioni di salute trasformino il malato in un peso

di MARIO MELAZZINI, Medico e Presidente AriSla-Associazione italiana ricerca per la Sclerosi laterale amiotrofica - AVVENIRE - 23 Giugno 2022

La Giornata mondiale sulla Sla, celebrata il 21 giugno, riporta l’attenzione sulle necessità e i bisogni delle persone che ogni giorno affrontano la sfida con una malattia così difficile: solo in Italia circa 6mila. E mai come in questo momento emerge l’esigenza di condividere quanto sia forte il desiderio di vita di queste persone, nonostante tutto. Perché può succedere – ne sono anch’io testimone – che una malattia o una grave disabilità che mortifichi e limiti il corpo, anche in maniera molto evidente, possa rappresentare una vera e propria medicina per chi deve convivere con essa.

La malattia può davvero disegnare, nel bene e nel male, una linea incancellabile nel percorso di vita di una persona. O, ancora meglio, edificare una serie di Colonne d’Ercole superate le quali ci è impossibile tornare indietro. Ma se lo si vuole ci è ancora consentito di guardare avanti. Ed è proprio questo il nocciolo della questione. Il livello più profondo della realtà, dove la realtà diventa 'io' e prende coscienza di sé. La consapevolezza della realtà aiuta a rendersi conto che nella vita non bisogna dare nulla per scontato, neppure bere un bicchiere d’acqua senza soffocare. Ma a volte siamo così concentrati su noi stessi che non ci accorgiamo della bellezza delle persone e delle cose che abbiamo intorno da anni, magari da sempre. In piena salute nessuno di noi, naturalmente, vorrebbe immaginare una vita condizionata da malattie, dipendenza da altri negli atti quotidiani della vita. E quando si è colpiti da una malattia, una grave disabilità, qualunque essa sia, può accadere di trovarsi smarriti di fronte a una diagnosi inattesa. A prima vista potrebbe apparire impossibile se non insensato coniugarla con il concetto di salute. Ancora di più se si tratta di malattie inguaribili, rare, poco conosciute e di cui, allo stato attuale, non si conoscono terapie efficaci per guarirle. Di fronte a ciò è inevitabile chiedersi: quando la vita è degna di essere vissuta e continuata?

La risposta non può essere la parola 'fine' ma 'bene'. È una questione di sguardi, e di ciò che realmente si vuol vedere o non vedere. E sono ancora una volta le storie umane, di grande sofferenza e dolore, a porci di fronte a riflessioni importanti sul valore della vita e sul suo significato, sul perché si decida di intraprendere determinati percorsi.

È proprio in questi tempi, in cui si parla sempre più – con scarsa chiarezza – di diritto alla morte, del principio di autodeterminazione, di autonomia del paziente, che diventa prioritario rimettere al centro del dibattito pubblico il diritto di ricevere cure e assistenza adeguate, di essere ascoltati, di essere aiutati non a eliminare la propria vita ma a gestire il dolore e a superare l’angoscia e la disperazione. Alcuni strumenti esistono già. La medicina, i servizi sociosanitari e, più in generale, la società, forniscono quotidianamente risposte ai differenti problemi posti dal dolore e dalla sofferenza. Pensiamo alle cure palliative e alla terapia del dolore: risposte che vanno e devono essere implementate e potenziate, e che sono l’esplicita negazione dell’eutanasia, del suicidio assistito e di ogni forma di abbandono terapeutico e di supporto vitale.