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TRENT’ANNI FA, LA STRAGE DI CAPACI Il 23 maggio 1992, a Capac | Sinistra Classe Rivoluzione - Tendenza Marxista Internazionale

TRENT’ANNI FA, LA STRAGE DI CAPACI

Il 23 maggio 1992, a Capaci vicino a Palermo, la mafia faceva saltare in aria l’auto dove viaggiava Giovanni Falcone, che perse la vita insieme alla moglie e a tre agenti della scorta.
In occasione dell’anniversario, sui media si sprecano fiumi di parole e di retorica. Per comprendere cos’è la mafia e cosa ha rappresentato il movimento antimafia, che nei momenti più alti è sempre stato legato alla lotta di classe, consigliamo la lettura dell’opuscolo:
“Contro Mafia e capitalismo, l’alternativa dei comunisti”.
Eccone alcuni passaggi:
Sono proprio gli anni ottanta quelli della nascita di un nuovo movimento antimafia che assume basi di massa in Sicilia e parzialmente anche in Calabria. È questo movimento che fornisce una base di appoggio alle inchieste del Pool antimafia guidato da Antonino Caponnetto. Proprio dall’impegno di Falcone, Borsellino e degli altri magistrati del pool portò alla condanna di centinaia di mafiosi, tra cui i principali capi di Cosa Nostra
I vertici mafiosi reagiscono violentemente a queste condanne ed al “tradimento” dei vertici della Democrazia Cristiana, e scatenano la stagione degli attentati e delle stragi dell’inizio degli anni novanta. Ci sono le stragi di Capaci e di via D’Amelio, gli attentati di Firenze, Roma e Milano: in un momento di grandi cambiamenti con la crisi della Dc, la mafia inaugura una vera e propria “strategia della tensione” per cercare di indirizzare la transizione italiana.
A prima vista, questa strategia darà risultati fallimentari: vengono arrestati
Totò Riina e altri boss mafiosi importanti e sulla base dell’emergenza vengono approvate altri leggi molto severe contro le associazioni mafiose. Il colpo è duro e sotto la direzione di Bernardo Provenzano,Cosa Nostra cambia strategia: non colpisce più bersagli importanti e sembra ripiegare su se stessa.
Allo stesso tempo, penetra sempre più nella società:
“La mafia è bianca”. Si riferisce non solo ai camici bianchi, i mafiosi della sanità siciliana (e calabrese e campana) che fanno affari miliardari sulla pelle e con i soldi della povera gente, ma anche al fatto che la mafia non si vede, perché bianca e quindi dappertutto.
La cosiddetta
“criminalità organizzata” esercita un controllo sociale totale in molte zone di questo paese. Questo perché è una potenza economica enorme. Questo perché la crisi economica di questi anni, lo smantellamento dello stato sociale, l’aumento della disoccupazione l’ha fatta diventare l’unica rete di protezione sociale per il sottoproletariato (e per settori di proletariato) di tante zone del Meridione. E questo anche perché le organizzazioni sindacali e i partiti della sinistra si sono molto indeboliti e sono incapaci di opporsi allo strapotere mafioso. (...)
Quando parliamo della mafia e di come combatterla, quindi, non possiamo limitarci a proposte di piccolo cabotaggio, e non basta nemmeno condannare questo o quel mafioso, finché la struttura rimane intatta. La controinformazione, il lavoro antimafia nelle scuole, la confisca e il riutilizzo dei beni strappati ai mafiosi sono tutte proposte importanti ma possono essere solo ausiliarie a un programma più complessivo. Non stiamo parlando di un sistema semplicemente culturale, più o meno arretrato e arcaico, ma della spietata realtà della modernità capitalistica italiana, in cui la collusione di mafie, stato e finanza ne fa un baluardo a difesa dell'ordine borghese.”

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