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Arthur Schnitzler - Le diverse forme della solitudine 'Esisto | Mondo filosofia

Arthur Schnitzler - Le diverse forme della solitudine

"Esistono diverse forme di solitudine più genuine, più dolorose, più profonde di quelle che siamo soliti definire tali. Non ti è mai accaduto di trovarti in una compagnia numerosa e all'improvviso, dopo esserti sentito assolutamente e piacevolmente a tuo agio, tutti i presenti ti sono sembrati degli spettri e tu solo l'unica persona reale tra loro? O nel mezzo di una discussione quanto mai stimolante con un tuo amico non ti sei mai reso conto della totale inconsistenza di tutte quelle parole e dell'improbabilità di riuscire a capirvi? O mentre giacevi beato tra le braccia della tua amata non hai mai avvertito d'improvviso, con assoluta certezza, che dietro la sua fronte passavano pensieri di cui non sapevi nulla?

Tratto da
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Tutto questo è solitudine, una solitudine peggiore di ciò che comunemente definiamo l'essere soli con se stessi. Perché, commisurato con le altre solitudini reali in cui c'è inquietudine, pericolo e disperazione, questo tipo di isolamento rappresenta una condizione così innocentemente contemplativa che forse dovremmo percepire lo stare con noi stessi come la forma più dolce e piacevole di socievolezza. Il termine  "Solitudine", dal latino "solitudo-inis", non indica esclusivamente uno status momentaneo relativo alla mancanza di compagnia. Esso è più volte concepito dall'uomo sia come una condizione esistenziale involontaria, sia come una scelta di vita. Molti studiosi, letterari, filosofi hanno approfondito tale tematica.

Secondo lo psicanalista e sociologo Erich Fromm è una condizione che provoca ansia nell'essere umano, dettata dall'impossibilità di condivisione delle gioie e dei dolori quotidiani.

Per Kierkegaard, la solitudine è una caratteristica della passione per il pensiero. Danzando da solo  forma se stesso. Esclude quindi qualsiasi compagno d’avventura.
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Occorre ballare da soli per conquistare il pensiero (e quindi la verità e la fede). Soltanto da solo il «singolo» uomo conquista la fede; il «singolo» (da solo) giunge – ballando - alla fede (che è compresa nel pensiero). L’importante è essere da soli in questa avventura esistenziale".

Aristotele, considera che la vita dell’uomo solitario non possa essere considerata davvero umana. La vita lontana dalla comunità non appartiene propriamente parlando agli uomini ma solo, appunto, alle bestie e agli déi. Secondo questa lettura la condivisione dell’esistenza è, dopo tutto, un peso, un’esigenza strutturale qualcosa di cui non ci si può liberare, come non ci si può liberare di una parte di noi stessi.

Martin Heidegger sosteneva che la solitudine rappresenti la condizione dell’autenticità.
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La solitudine è la condizione attraverso la quale ci si può riappropriare della vita_". Questo perché in essa siamo rimessi all’angoscia della nostra, diceva lui, «gettatezza», "lo spaesamento proprio di chi scopre che qualsiasi ragione per vivere non è altro che una maschera. E tolta la maschera, se ne trova un’altra."

Marco Aurelio rivolge un monito non solo a se stesso, ma all’umanità intera. Dice così: "siete degli illusi se pensate di trovare la tranquillità da qualche parte fuori di vuoi. Là fuori nel mondo c’è solo caos, disordine, distruzione, ed è sciocco pensare di poter risolvere i problemi che ci si porta dentro cambiando il tetto sotto il quale si vive. È sciocco perché ci si condanna a inciampare, di nuovo, in ciò da cui si sfugge – ossia, appunto, di noi stessi.
È nell’animo, nell’interiorità, invece, che si trova la pace autentica. La solitudine è un luogo edificato all’interno di noi stessi, al quale fare ritorno per riportare ordine nell’animo"
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Se guardiamo alla solitudine da questa prospettiva, considerandola cioè non come una disposizione dell’animo ma come un luogo di esso, ricaviamo una visione delle cose diversa.

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