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Vicende politiche di ordinaria italianità raccontate e analizzate da giornalisti, economisti e blogger.
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Gli ultimi messaggi 2

2017-05-29 10:29:03 Terremoto 2016, la ricostruzione che non c’è

La primavera è arrivata, le casette no. La natura mantiene sempre le sue promesse, anche quando porta morte e devastazione come è accaduto dal 24 agosto 2016 in poi nelle terre del Centro Italia, piegate da uno dei terremoti più disastrosi e subdoli della storia d’Italia. Gli uomini, invece, si sono fatti cogliere impreparati.
Nove mesi dopo la prima scossa, la ricostruzione è una parola quasi cancellata dal vocabolario di chi ha subito danni. E le casette che, secondo i rosei scenari del governo, avrebbero dovuto ripopolare gli Appennini intorno ad aprile come le margherite, sono un miraggio: ne sono state consegnate circa il 5% del totale. Nel frattempo il numero dei Comuni coinvolti è raddoppiato, quello delle persone da assistere è aumentato di almeno dieci volte e questo tratto di Appennini è ancora un cumulo di macerie e abbandono interrotto da isole umane, le centinaia di persone che non hanno mai abbandonato il loro paese, a dispetto degli inviti ufficiali più o meno perentori, della neve, del ghiaccio della presenza di figli piccoli o di malattie.
Nel frattempo le popolazioni dei Monti Sibillini e delle montagne di Amatrice e dintorni hanno imparato a vivere con la valigia sempre pronta. Gran parte di chi è andato sulla costa ha dovuto accettare di lasciare il posto ai turisti estivi. La scadenza del contratto per gli ospiti del Natural Village di Porto Potenza Picena, secondo le istituzioni, è il 31 maggio; ma dei 180 ospiti soltanto in 12 hanno aderito in modo volontario al trasferimento, gli altri hanno deciso di rimanere. Monica Pierdomenico ha una casa inagibile a Ussita: «Ci hanno scaricato tutti, il proprietario dell’albergo, la prefettura. Ora sembra che chi rimane dovrà pagare. In realtà ancora oggi non sappiamo nulla di quello che accadrà, siamo balia degli eventi. Sono andata a vedere se potevo affittare qualcosa ma si è anche scatenata la caccia al terremotato esasperato, ci sono prezzi assurdi e case orrende. Ci hanno scaricato e ci stanno anche sfruttando».
C’è poco da fare: la macchina del dopo-terremoto è in forte ritardo. La colpa? Del governo che ha sbagliato tutto dall’inizio, sostengono i sindaci. Della burocrazia, sostiene Renzi.
Non c’è bisogno che qualcuno si affacci. Servono le Sae, le casette. Ovunque. A Norcia ne sono state consegnate 101 su 500. Ad Amatrice 25 su 595. Così sintetizza Sergio Pirozzi, il sindaco: «Per le abitazioni siamo in braccio a Cristo: il percorso è ancora lungo e servirebbero procedure da guerra in tempo di guerra» invece ci sono «più soggetti che si occupano delle abitazioni mentre dovrebbe essercene solo uno».
Quello che a Norcia e Amatrice è considerato ritardo, negli altri 18 Comuni distrutti dalle scosse dell’autunno è assenza totale. Nulla a Visso. Nulla a Ussita. Forse ne arriveranno 26 a giugno ad Arquata del Tronto. Il sindaco Aleandro Petrucci: «Se a settembre non ci saranno le abitazioni rischio di trovarmi in una situazione paradossale: avere una scuola donata dai privati ma nessuno che potrà tornare. In quel caso farò molto di più che dimettermi o andare a protestare con una tenda». Nel frattempo, della ricostruzione non se ne parla neanche più.

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2017-05-27 10:09:03 #Notiziedellasettimana

1. Cgia di Mestre: Pagamenti Pa, alle imprese mancano ancora 46 miliardi;
2. Banche venete, nuove spine per il governo;
3. Perché il Tar del Lazio ha giudicato illegittima la nomina dei cinque direttori (quattro italiani e uno austriaco);
4. "In alto mare", l'inchiesta di Report sull'"esperimento" Mose, il sistema di 79 paratie che dovrebbe proteggere Venezia dall'acqua alta
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2017-05-26 19:18:03 In alto mare

@ReportRai3 torna a occuparsi del Mose, il sistema di 79 paratoie mobili sommerse che in caso di acqua alta dovrebbero sollevarsi per proteggere Venezia. Quando lo finiscono? Funzionerà? Come stanno andando le cose, a tre anni dall'indagine della Procura di Venezia che nel 2014 scoperchiò un sistema di corruzione, travolgendo controllori, controllati, politica locale e nazionale? Lo Stato finora ha speso 5 miliardi e 493 milioni di euro per un'opera che secondo le promesse sarà consegnata solo nel 2021, con una decina di anni di ritardo sui tempi stabiliti.
I lavori vengono affidati al Consorzio Venezia Nuova, un insieme di aziende private che opera per conto dello Stato. Tutti i lavori sono in affidamento diretto. Capo del Consorzio, Giovanni Mazzacurati. Il costo dell'opera è passato da 1,3 a 5,4 miliardi in 20 anni. Solo per mantenere la struttura, la legge riconosce al Consorzio un 12 per cento in più. A cosa è servito lo racconta Giorgio Baita, l'ex presidente della Mantovani, la società capofila del Consorzio: "L'interesse del Consorzio non è fare i lavori. L'interesse del Consorzio è avere il 12 per cento". Cosa facevano con quei soldi? "Tutto quello che oggi è nel processo - continua Baita - consulenze, incarichi, spese personali, gratifiche ai dirigenti, libri, pubblicità".
Ad oggi il sistema ha partorito 100 indagati, 46 arresti, 32 patteggiamenti, 62 anni di reclusione, 43 milioni di fatture false, 21,5 milioni di tangenti. Il sistema corruttivo girava intorno alla figura di Mazzacurati e Baita.
Ora promettono che l'opera sarà pronta nel 2021 ma già oggi ci sono problemi e l'"esperimento" rischia di costare al contribuente una fortuna in manutenzione: dai 30 ai 100 milioni l'anno, perché il progetto prevede che ognuna delle 79 paratoie venga tirata su dall'acqua, portata all'Arsenale, ridipinta e rituffata in laguna. Inoltre il progetto nasce sbagliato perché piazza San Marco, dopo tutti i soldi spesi, andrà comunque sempre sott'acqua. Sì perché piazza San Marco va già sott'acqua quando la marea è alta 80 cm mentre le paratoie del Mose si dovrebbero alzare a 110 cm.
È l'ex commissario del Consorzio Venezia Nuova Luigi Magistro a denunciare che "per risolvere il problema di piazza San Marco non basta il sistema delle barriere mobili".
E mentre la Serenissima affonda con costanza di pochi millimetri l’anno, le colossali strutture in cemento armato che dovrebbero proteggerla stanno già sprofondando al ritmo di quattro centimetri l’anno: una subsidenza record che il progetto delle dighe mobili prevedeva in un secolo, non in pochi mesi.
Purtroppo non è tutto. "Un problema preoccupante - denuncia il giornalista di La Nuova Venezia Alberto Vitucci - è di corrosione di alcune parti del sistema a cominciare dalle cerniere (...) alcuni elementi di queste cerniere già presentano stato di corrosione dopo due, tre anni". Ne ha parlato anche l'Espresso, aggiungendo che è stato utilizzato acciaio diverso rispetto a quello impiegato per i test.
Il conduttore Sigfrido Ranucci: "Il commissario Magistro, un passato da servitore dello Stato, ha lasciato il Consorzio. Ufficialmente per 'motivi personali'. Immaginiamo però che il contesto non certo favorevole non ha contribuito a fargli cambiare idea. Il commissariamento si è rivelato un'arma spuntata. A creare affanno soprattutto il mancato arrivo nei tempi dovuti delle risorse da Roma per completare l’opera, laddove invece quando c’erano corrotti e corruttori, i finanziamenti arrivavano a pioggia. (...) Nel frattempo poi anche l’ex direttore tecnico del Consorzio Maria Teresa Brotto, accusata di corruzione, ha patteggiato una pena per due anni e mezzo, Magistro l’ha licenziata dal Consorzio, lei fatto ricorso al giudice del lavoro che le ha dato ragione. E ora chiede un risarcimento di 1,2 milione di stipendi arretrati, i premi. Beh, questo è quello che ha prodotto il Mose fino ad oggi". #Report #Mose #Grandiopere
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2017-05-25 19:38:45 Perché il Tar del Lazio ha giudicato illegittima la nomina dei cinque direttori (quattro italiani e uno austriaco)

Nomina giudicata illegittima con due sentenze a causa di criteri di valutazione non trasparenti, prove orali tenute a porte chiuse e deroghe non previste dalla legge

Innanzitutto va ricordato che i giudici amministrativi hanno il compito di valutare gli atti amministrativi in rapporto alla legislazione vigente; hanno la funzione di garantire i diritti e gli interessi dei cittadini nei confronti della pubblica amministrazione. Sono la garanzia della legalità, cioè del rispetto della legge votata in Parlamento.
Secondo i giudici della sezione seconda-quater del Tar le procedure di selezione sono viziate in più punti, come è stato evidenziato nella disamina dei due ricorsi.
Nella prima e più articolata sentenza (n. 6171/2017) i magistrati hanno puntato il dito contro i criteri di valutazione dei candidati ammessi, dopo la selezione dei titoli, al colloquio, dal quale è scaturita, per ciascun museo, una terna sulla base della quale il ministro e il direttore generale dei musei hanno poi scelto il direttore. Criteri dalla natura "magmatica", che non consentono, hanno scritto i giudici, di "comprendere il reale punteggio attribuito a ciascun candidato". Censura riproposta anche nell’altra decisione (la n. 6170).
Ci sono, però, altri due motivi proposti dalla prima ricorrente e ritenuti fondati dal Tar. Intanto, il fatto che il colloquio sia avvenuto a "porte chiuse" (alcuni candidati sono stati sentiti, senza la presenza di uditori estranei, via Skype, quindi senza assicurare i "principi di trasparenza e parità di trattamento dei candidati"). "A rafforzare la sostenuta illegittimità della prova orale - si legge nella sentenza - la circostanza che questa ultima si sia svolta a porte chiuse".
Perché, dunque, i colloqui per la selezione dei direttori dei musei si sono svolti senza consentire ad alcuno di potere assistere? Vi è qualche principio derogatorio o ragione eccezionale che possa giustificare tale condotta?
Infine, rilevano ancora i giudici, "il bando della selezione non poteva ammettere la partecipazione al concorso di cittadini non italiani in quanto nessuna norma derogatoria consentiva di reclutare dirigenti pubblici fuori dalle indicazioni tassative espresse dall'articolo 38". L'art. 38 del D.Lgs 165/2001 dispone che i cittadini sprovvisti di cittadinanza italiana possono accedere solo a posti della pubblica amministrazione "che non implicano esercizio diretto o indiretto di pubblici poteri, ovvero non attengono alla tutela dell’interesse nazionale".
E il Ministero dei Beni Culturali stabilisce infatti che "l’insieme dei musei statali è composto da 30 Musei di rilevante interesse nazionale, dotati di autonomia speciale".
Per maggiore chiarezza tra i direttori "bocciati" solo uno non è italiano: Peter Assmann del Palazzo ducale di Mantova. Anche se in realtà il ricorso era stato presentato anche contro la nomina del Parco Archeologico di Paestum, ma il suo direttore, Gabriel Zuchtriegel, si è salvato per errore di notifica del provvedimento. Tutte le altre nomine annullate attengono alla "magmaticità" (confusione, vaghezza) dei criteri di selezione, l'incomprensibilità dei punteggi attribuiti e l'assenza di trasparenza dei colloqui a porte chiuse. In pratica tutto quello che in una selezione per la pubblica amministrazione non si dovrebbe fare.
La conseguenza è che le selezioni dei musei sono annullate, con "inevitabile travolgimento 'di riflesso'" degli atti di nomina dei direttori.
Contenta per l’esito del ricorso è Giovanna Paolozzi Strozzi, una delle ricorrenti, sovrintendente ad Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Parma e Piacenza. Dice al Corriere della Sera: "In Italia ci sono delle norme che devono essere rispettate. Invece di fare polemica bisognerebbe chiedersi se le cose sono state fatte in modo corretto".
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2017-05-24 10:19:05 Banche venete, nuove spine per il governo

Anche se hanno fatto meno rumore del Monte dei Paschi, le due banche venete che come Mps hanno chiesto la “ricapitalizzazione precauzionale” stanno diventando una corona di spine per il governo Gentiloni. Oggi l’ad Fabrizio Viola è atteso a Bruxelles, dopo che la Commissione Ue ha fatto sapere – notizia anticipata dal Sole 24 Ore – che deve essere trovato almeno un miliardo di fondi privati per accedere alla misura di salvataggio. Del resto, anche durante le recenti assemblee di Popolare di Vicenza e di Veneto Banca, Alessandro De Nicola di Atlante ha detto a chiare lettere che sono necessarie “nuove e ingenti ricapitalizzazioni”. Specificando che il fondo Atlante ha esaurito le risorse a disposizione, che pure hanno evitato, per ora, il “salvataggio interno” (bail-in) con i consueti, pesanti effetti collaterali per azionisti e sub-obbligazionisti.
Così ieri, al termine dell’Ecofin, a Piercarlo Padoan è stato chiesto quanto sia complicata la situazione delle due banche venete. “Posso garantire che stiamo lavorando e stiamo facendo progressi ha risposto diplomaticamente il ministro economico e finanziario del governo Gentiloni – facendo delle operazioni nell’assoluto rispetto delle regole che consentono l’utilizzo di questo meccanismo di ricapitalizzazione precauzionale”.
Il problema sono i numeri del “buco” presentati al cospetto di Bruxelles: nelle due assemblee di fine aprile sono stati approvati bilanci in profondissimo rosso, 1,5 miliardi di perdita per Veneto Banca e 1,9 per la Popolare di Vicenza, così da azzerare la munizioni di Atlante. Per giunta la Banca centrale europea ha rilevato che, per la definitiva messa in sicurezza dei due istituti di credito, è necessario un fabbisogno complessivo di 6,4 miliardi di euro, 3,3 per Vicenza e 3,1 per Montebelluna. E dopo il caso Mps con la sua ricapitalizzazione precauzionale da 8 miliardi e passa (di cui più della metà con fondi pubblici), la Commissione appare molto meno accomodante, anche perché per le due banche venete non si è potuto invocare il rischio sistemico che invece aveva il Monte dei Paschi.
“Un miliardo si può trovare”. Appare ottimista Flavio Lorenzin, presidente di Apindustria Confimi Vicenza, che risponde così all’ipotesi che intervengano gli imprenditori veneti per soddisfare le richieste di Bruxelles: “Non ci vogliono moltissime aziende per mettere insieme un miliardo – aggiunge Lorenzin – e credo che tutto il territorio debba mettersi insieme, a partire dall’aiuto che può dare la Regione, per ricostruire un sistema bancario di rappresentanza delle imprese e del sistema locale”.
Intanto però Adusbef e Federconsumatori lanciano l’ennesima, fondata denuncia:
“I risparmiatori di Banca Popolare di Vicenza e di Veneto Banca hanno accettato una vera e propria elemosina in relazione a quanto investito: gli azionisti di Bpvi hanno ricevuto 9 euro a fronte di un valore massimo delle azioni che raggiunse quota 62,50 euro, e quelli di Veneto Banca hanno riavuto in tasca 6,10 euro a fronte di azioni che raggiunsero quota 40,75 euro. Ora per giunta si trovano a fronteggiare il rischio che quel misero risarcimento sia anche eroso dal fisco”. Insomma il territorio, quello vero, ha già dato a sufficienza. E non è ancora finita, perché nel piano industriale preparato da Fabrizio Viola, e inviato alla Commissione Ue, assieme ai minori rischi e al riequilibrio tra raccolta e impieghi ci sono anche le “azioni di efficientamento”. In altre parole la riduzione di sportelli e soprattutto la riduzione del personale. #Banche

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2017-05-22 10:39:04 Pagamenti Pa, alle imprese mancano ancora 46 miliardi

La denuncia della Cgia di Mestre: "La dimensione è ormai surreale, perché pur essendoci l'obbligo di fatturazione elettronica non si conosce il dettaglio di quanto lo Stato deve ancora ai fornitori"

Più governi hanno provato a smaltire l'arretrato di fatture da saldare della Pubblica amministrazione. Qualcosa si è mosso e anche i tempi di pagamento medio si sono messi in una corsia di lenta decrescita. Ma da fare c'è ancora molto: nel 2016, tra gli acquisti di beni e servizi e gli investimenti fissi lordi, la Pa italiana ha fatturato ai propri fornitori e alle imprese appaltatrici 160 miliardi di euro. "In totale assenza di dati ufficiali, si stima che una parte di questi non siano stati saldati e che questa fetta oscilli tra un valore minimo di 32 miliardi fino a un massimo di 46 miliardi", denuncia la Cgia di Mestre.
Come è stato calcolato questo numero? L'associazione degli artigiani spiega che "suddividendo in via puramente teorica i 160 miliardi di euro nell'arco dell'anno e 'pesandolì su 12 mensilità nel caso delle Pa che pagano a 30 giorni e in 6 mensilità per quelle che invece saldano a 60 giorni (come la sanità), si ottiene la cifra di 19 miliardi di debiti fisiologici che non vengono onorati nell'arco dell'anno perché non sono ancora scaduti i termini di pagamento previsti dalla legge. In realtà, lo stock da onorare è molto superiore. Secondo l'Istat l'importo - riferito solo ai debiti di parte corrente che l'istituto ha notificato alla Commissione europea per l'anno 2016 - è di 51 miliardi di euro; la Banca d'Italia, invece, stima un importo pari a 65 miliardi di euro (anno 2015). Di conseguenza, l'ammontare dei debiti per i ritardi di pagamento che la Pa dovrebbe saldare oscilla, secondo una nostra stima tra un valore minimo di 32 miliardi (dato dalla differenza tra 51 e 19) e un valore massimo di 46 miliardi (importo risultante dalla differenza tra 65 e 19)".
Quello che stupisce, sottolinea il coordinatore dell'Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo, è che ormai da due anni chi lavora con la Pa deve emettere la fattura elettronica. Eppure la digitalizzazione dei rapporti non è ancora bastata a fare chiarezza sull'ammontare degli arretrati "per il semplice fatto che una buona parte dei committenti pubblici, in particolar modo quelli periferici, effettuano i pagamenti senza transitare per la piattaforma e con scadenze ben oltre quelle stabilite per legge. Una vicenda che ha dell’incredibile". A ciò si aggiunge - per l'associazione - la "beffa" dello split payment, che prevede il versamento dell'Iva all'Erario direttamente dall'acquirente di un bene o servizio: un mancato incasso per l'impresa che, pur essendo in sostanza una partita di giro, peggiora la situazione della liquidità.
Nel precedente rapporto di gennaio la Cgia denunciava che nel confronto internazionale la nostra Pa presenta un livello di debiti commerciali nettamente superiore, inoltre la Commissione Ue non ha ancora archiviato la procedura di infrazione avviata nel giugno del 2014 nei confronti dell'Italia a seguito della non corretta applicazione della direttiva Ue. La nostra Pa, infatti, è accusata di saldare i conti in ritardo e non come previsto dalle regole Ue entro 30-60 giorni dall'emissione della fattura.
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2017-05-20 10:09:04 #Notiziedellasettimana

1. Lavoro, Bce: “I disoccupati sono il doppio di quanto dicono i dati ufficiali”;
2. Istat: più disuguaglianze, ritmo ripresa insufficiente;
3. Lavoro, aumentano licenziamenti e contratti a termine;
4. "L'Intesa": Report ripercorre la vicenda Alitalia dal 2008 fino ai giorni nostri, crisi dopo crisi, commissariamento dopo commissariamento
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2017-05-19 19:18:03 L'Intesa

Da Report del 12.10.2008: "Nel 2008 Alitalia è al tracollo, salta la trattativa con AF e la parte buona la compra Cai: cioè Banca Intesa, Colaninno, Benetton, Ligresti, Tronchetti Provera, Riva, Marcegaglia e Toto che ha 1mld di perdite, e conferisce l’Air One e nuovi aerei, ma coi leasing da pagare. La cordata paga 1 miliardo e 52 milioni, ma tolto l’accollo di debiti, cash saranno circa 400 milioni".
Da Report del 25.11.2013: "Nel 2011 Fantozzi, che da Cai ha incassato cash solo 252 milioni, e dalla bad company circa 1 miliardo, sta facendo il piano per pagare quanto può i creditori, e l’azione di responsabilità ai vecchi manager, ma il governo Berlusconi lo sostituisce con altri 3 commissari: Ambrosini, Brancadoro e Fiori. Intanto Cai accumula perdite: a fine 2012 meno 280 milioni". Nella lista dei 40 nomi dei presunti responsabili individuati da Fantozzi c’è anche quello di Laghi: dal 2005 al 2008 è stato membro e poi presidente del collegio sindacale della vecchia Alitalia in dissesto. Ma oggi è commissario per raddrizzarla.
@ReportRai3 segue Alitalia dal 2008 e ci torna adesso: sembra di essere da capo. Alitalia è di nuovo insolvente, ripartono le trattative, gli esuberi sarebbero 1.700. L’azienda è di nuovo in amministrazione straordinaria. Il governo ha nominato altri tre commissari mentre la vecchia procedura è ancora aperta. Parla Domenico Cempella, che a fine anni ’90 aveva chiuso l’ultima grande alleanza possibile con KLM: “Fu Treu a chiamarmi all’ultimo per bloccarla. E fu un peccato per l’intero Paese”. Parla anche il ministro Graziano Delrio: “Il governo ha concesso un prestito di 600 milioni, che andrà restituito, nella speranza che riescano a salvare il salvabile”. L'obiettivo è di evitare di cedere Alitalia a prezzi di saldo, quindi anche di rimediare agli errori degli ex manager, compresi quelli di Etihad. Il commissario Gubitosi da parte sua conferma: “Stiamo lavorando duro e in fretta, partendo dal cercare di rivedere i contratti sul carburante e sui leasing degli aerei, che erano troppo onerosi”.
In cinque anni le perdite sono più̀ di un miliardo, che vuol dire capitale azzerato. Il Cda delibera una manovra da 500 milioni: e in soccorso dei soci arrivano Intesa e UniCredit con un prestito di 200 milioni, ed entra Poste Italiane con 75 milioni. Abbiamo privatizzato un'azienda e ci troviamo cinque anni dopo a dover rimetterci i soldi.
Tutto questo non è stato sufficiente. Così nell’agosto 2014 il governo Renzi accoglie in grande stile l'ingresso gli arabi di Etihad, la compagnia di bandiera degli Emirati Arabi. Prendono il 49%, mettendo 600milioni. I capitani coraggiosi rimasti a bordo dopo il naufragio son rimasti con quote vicine all’1%. Il resto lo avevano messo le banche: in testa Intesa e Unicredit, Banca Popolare di Sondrio, Monte Paschi di Siena. I manager sono stati Cramer Ball e il presidente Montezemolo. Ora anche gli arabi non ce l’hanno fatta e hanno lasciato. È la situazione è che, da una parte, ci sono ancora i vecchi tre commissari che stanno ancora gestendo la famigerata bad company con dentro delle cosettine che rimangono da vendere per dare delle briciole ai fornitori rimasti beffati; dall’altra il governo ha nominato tre nuovi commissari, che devono occuparsi della good company che nel frattempo è diventata bad anche lei. E devono occuparsi delle sorti di 12 mila dipendenti e altri 20 mila dell’indotto. Ecco ricominciato da dove eravamo rimasti. Siamo ritornati al punto di partenza però ogni volta in una situazione che è peggiorata rispetto alla precedente. E quindi rispetto alla gestione Cai quella di Etihad è stata persino peggiore: i manager arabi che si erano presentati come una compagnia seria invece poi se ne vanno portandosi via in saldo i preziosi slot di Alitalia all’aeroporto di Londra.
Siamo sempre lì: investimenti sbagliati e un piano industriale che non c’è. Alitalia perde 2 milioni di euro al giorno. E l’incapacità di chi l’ha gestita è costata allo Stato circa 8 miliardi di euro. #Report
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2017-05-19 10:19:03 Lavoro, aumentano licenziamenti e contratti a termine

L’Osservatorio sul precariato dell’Inps ha dimostrato, una volta di più, che a marzo 2017, il mercato del lavoro era precario e lo resta ancora oggi. Con gli incentivi pubblici alle imprese agli sgoccioli, le assunzioni a tempo indeterminato calano ancora e aumentano i licenziamenti disciplinari. Il mercato del lavoro non solo è stagnante, ma la poca occupazione esistente è il prodotto del boom dei contratti a termine.
Un'occhiata ai dati diffusi ieri è utile per capire cosa sta succedendo. Nel primo trimestre 2017 le nuove assunzioni a tempo indeterminato sono state 398 mila con un calo del 7,4% sul 2016. Questo dato va analizzato attentamente perché non è composto da contratti di lavoro stabili, come di solito viene fatto credere. Da questa cifra vanno sottratte le trasformazioni da contratto a tempo determinato a tempo indeterminato, incluse le prosecuzioni a tempo indeterminato degli apprendisti: sono 89 mila, con una riduzione del 6,8% rispetto allo stesso periodo del 2016. Vanno poi esclusi 40 mila contratti di apprendistato e, soprattutto 315 mila contratti precari, inclusi quelli stagionali. I contratti a tempo indeterminato veri e propri sono 22 mila. L’Inps sottolinea che le cessazioni dei contratti sono state 381 mila. Il saldo è di 17.537 unità per di più in calo rispetto al primo trimestre del 2016 quando il saldo era di 41 mila unità e gli sgravi erano a pieno regime. Rispetto allo stesso periodo del 2015 c’è un abisso: il saldo era di oltre 214 mila unità.
Questo andamento decrescente del mercato del lavoro attesta che i 18 miliardi di euro destinati dal governo Renzi al finanziamento degli sgravi alle imprese per i neo-assunti sono serviti a occultare il dato strutturale del mercato del lavoro italiano: il lavoro precario con il contratto a termine, l’iceberg del continente sommerso del lavoro precario, intermittente o grigio. A questo proposito l’analisi della dinamica dei flussi è esplicita. Tra gennaio e marzo le assunzioni sono state complessivamente oltre 1 milione e 439 mila. Sono aumentate del 9,6% rispetto allo stesso periodo del 2016.
Ma cosa, di preciso, è aumentato? L’assistenzialismo di stato al capitale non può oggi nascondere che il maggior contributo all’aumento dell’occupazione è stato dato dagli apprendisti (+29,5%), ovvero da coloro che dopo il periodo di prova o di formazione professionale potrebbero essere non confermati sul posto di lavoro. Dopo di loro ci sono i tempi determinati (+16,5%). mentre calano i contratti “fissi” del 7,6%. I settori dove crescono i contratti sono quelli del commercio, turismo e ristorazione, lì dove la rotazione della forza lavoro a basso tasso di competenze e produttività è più alta.
Negli stessi settori l’Inps ha registrato un boom di un’altra forma di precariato: le assunzioni in apprendistato sono aumentate del 35% ed è significativa la crescita dei contratti di somministrazione (+14%). Si tratta del vecchio «lavoro interinale» che passa dalle agenzie private che selezionano il personale alla bisogna. Tutte queste forme non sono «stabili» né «a tempo indeterminato», diversamente da quanto annunciato.
L'Inps conferma anche un’altra tendenza, ormai nota da mesi: crescono i licenziamenti per motivi disciplinari (giusta causa o giustificato motivo soggettivo) tra i dipendenti a tempo indeterminato nelle aziende oltre i 15 dipendenti. L’abolizione dell’articolo 18 voluta è coincisa con un aumento in un anno del 14,4% da 16.004 a 18.349. Rispetto al 2015 sono aumentati del 44%. Nei primi tre mesi di quest’anno le aziende hanno licenziato 143 mila persone con un aumento del 2,8 rispetto al 2016. #Lavoro

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2017-05-17 19:19:02 Istat: più disuguaglianze, ritmo ripresa insufficiente

Non esiste più la classe operaia, si fa fatica a rintracciare il ceto medio, e sempre di più nelle famiglie italiane la "persona di riferimento" è un anziano, magari pensionato. La disuguaglianza aumenta e non è legata a ragioni antiche, al censo, ai beni ereditati, ma in gran parte ai redditi.

In Italia nel 2016 si contano circa 3 milioni 590 mila famiglie senza redditi da lavoro, ovvero dove non ci sono occupati o pensionati da lavoro. Lo rileva l’Istat nel Rapporto annuale. Si tratta del 13,9% del totale, con la percentuale più alta che si registra nel Mezzogiorno (22,2%). Nel 2008 queste famiglie erano 3 milioni 172 mila, il 13,2% del totale. «La ripresa, a causa dell’intensità insufficiente della crescita economica, stenta ad avere gli stessi effetti positivi diffusi all’intera popolazione» ha detto il presidente dell’Istat, Giorgio Alleva, nella presentazione del Rapporto annuale al Parlamento. E ha aggiunto: «L'Italia ha consolidato il processo di ripresa iniziato nel 2015», ma «nella fase di ripresa attuale il processo di crescita stenta tuttavia ad affermarsi pienamente».
Italia ancora maglia nera in Ue per giovani Neet
Ma l’Italia è ancora maglia nera nella Ue anche per i Neet, acronimo inglese che sta per giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano, non studiano e non seguono corso di formazione. Anche se sono scesi a 2,2 milioni nel 2016, con un’incidenza che passa al 24,3% dal 25,7% dell’anno prima. Nonostante il calo si tratta ancora della quota «più elevata tra i paesi dell’Unione» europea, dove la media si ferma al 14,2%.
Spesa famiglie più ricche doppia rispetto più povere
La fotografia scattata dall’Istat segna anche un aumento delle disuguaglianze. La spesa per consumi delle famiglie ricche, della cosiddetta “classe dirigente”, è infatti più che doppia rispetto a quella dei nuclei all'ultimo gradino della piramide disegnata dall'Istat, ovvero “le famiglie a basso reddito con stranieri”. Il Rapporto annuale dell'Istituto per le prime rileva esborsi mensili pari a 3.810 euro, contro i 1.697 delle fascia più svantaggiata economicamente. E una capacità di spesa ridotta significa anche meno opportunità.
«Malgrado una maggiore partecipazione al sistema di istruzione delle nuove generazioni dei gruppi svantaggiati rispetto a quelle più anziane, le differenze sono ancora significative». Ecco che «i giovani con professioni qualificate sono il 7,4% nelle famiglie a basso reddito con stranieri e il 63,1% nella classe dirigente». Le fratture che caratterizzano il Paese vengono confermate: «persiste il dualismo territoriale: nel Mezzogiorno sono più presenti gruppi sociali con profili meno agiati». D’altra parte, spiega il Rapporto, «la capacità redistributiva dell'intervento pubblico è in Italia tra le più basse di Europa»
Più disuguaglianze anche all’interno delle classi sociali
Ma la diseguaglianza sociale, rileva l’Istat, «non è più solo la distanza tra le diverse classi, ma la composizione stessa delle classi». Per l'Istituto nazionale di statistica, infatti, «la crescente complessità del mondo del lavoro attuale ha fatto aumentare le diversità non solo tra le professioni ma anche all'interno degli stessi ruoli professionali, acuendo le diseguaglianze tra classi sociali e all’interno di esse». E si assiste a una «perdita dell'identità di classe, legata alla precarizzazione e alla frammentazione dei percorsi lavorativi».
Imprese sopravvissute grazie a export
Quanto al mondo delle imprese, la sopravvivenza delle imprese alla crisi è legata alla capacità di esportare e di mettere in atto forme di internazionalizzazione complessa. Nel periodo 2014-2016, secondo il Rapporto Istat 2017, a fronte di un incremento delle esportazioni in valore delle società di capitale pari all'1,1%, si osserva una contrazione del 6,4% per le imprese “a rischio”.
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