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Omelia di sant'Agostino Vescovo. Trattato 87 su Giovanni. Nell | Christus vincit

Omelia di sant'Agostino Vescovo.
Trattato 87 su Giovanni.
Nella lezione del Vangelo precedente, il Signore aveva detto: «Non siete voi che avete scelto me; ma son io che ho scelto voi, e vi ho designati, perché andiate, e produciate frutto, e il vostro frutto sia duraturo: così tutto quello che chiederete al Padre in nome mio, egli ve lo darà» (Joann. 15:16). Qui invece dice: «Questo io vi ordino, che vi amiate l'un l'altro» (Joann. 15:17). Questo deve farci comprendere che il nostro frutto è quello di cui dice: «Sono io che ho scelto voi, perché andiate, e produciate frutto, e il vostro frutto sia duraturo». E quanto a ciò che aggiunse: «Così tutto quello che chiederete al Padre in nome mio, egli ve lo darà», questi ce lo darà certamente, se ci ameremo l'un l'altro; avendoci dato lui stesso questo precetto, scegliendoci mentre eravamo senza frutto, dacché senza che noi l'avessimo scelto, egli ci ha designati perché produciamo frutto, cioè ci amiamo l'un l'altro.
Il nostro frutto dunque è la carità, quella che l'Apostolo definisce: «Da un cuore puro e da una buona coscienza, e da una fede non finta» (Tim. 1:5). Con questa amiamoci l'un l'altro, con questa amiamo Dio; perché non ci ameremo l'un l'altro di vero amore, se non amiamo Dio. Infatti allora uno ama il suo prossimo come se stesso, quando ama Dio. Perché, se non ama Dio, non ama se stesso; e in questi due precetti dell'amore «si contiene tutta la legge e i profeti» (Matth. 22:40). Questo dunque è il nostro frutto. Perciò ingiungendoci di produr frutto, dice: «Questo io vi ordino, che vi amiate l'un l'altro» (Joann. 15:17). Quindi anche l'Apostolo Paolo, volendo raccomandare i frutti dello spirito in opposizione alle opere della carne, comincia da questo amore: «Il frutto, dice, dello spirito è la carità» (Gal. 5:22); e poi enumera tutti gli altri, siccome da essa derivanti e con essa collegati, cioè «il gaudio, la pace, la longanimità, la benignità, la bontà, la fede, la mansuetudine, la continenza, la castità».
Ora, ha egli una gioia ragionevole chi non ama il bene onde gioisce? Chi può avere vera pace con uno, se non con quello che ama sinceramente? Chi è longanime e paziente e perseverante nella pratica del bene, se non si è accesi d'amore? Chi è benevolo, se non si ama colui che si assiste? Chi buono, s'egli non lo diviene amando? Chi crede salutevolmente, se non per quella fede che opera mediante la carità? Chi utilmente mansueto, se non lo regola l'amore? Chi s'astiene da ciò che disonora, se non si ama ciò che onora? Con ragione dunque il buon Maestro raccomanda sì frequentemente la carità, come se non dovesse prescriversi ch'essa sola, senza di cui non possono servire gli altri beni, e che non si può avere senza avere anche gli altri beni, che rendono l'uomo veramente buono. 

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