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DOPO LA CADUTA DI MUSSOLINI CHIEDEVANO LA LIBERAZIONE DEI PRIG | Contropotere 🏴

DOPO LA CADUTA DI MUSSOLINI CHIEDEVANO LA LIBERAZIONE DEI PRIGIONIERI. ERANO POLITICI, STUDENTI, INSEGNANTI E LAVORATORI: VENNERO FALCIATI DA REGIO ESERCITO, CARABINIERI E FASCISTI NELL’ECCIDIO DI BARI

Nella notte tra il 24 e il 25 luglio 1943 Benito Mussolini veniva sfiduciato dal Gran Consiglio del fascismo. La mattina seguente il Duce si recava nell’allora Villa Savoia per un colloquio con il Re il quale, alla fine dell’incontro, lo faceva arrestare da un manipolo di carabinieri.
Alla notizia della caduta di Mussolini migliaia di persone scesero in strada per festeggiare la fine del regime, chiedere l’armistizio e la liberazione dei prigionieri politici.
A Bari, il 28 luglio, un nutrito gruppo di cittadini (almeno 200) composto soprattutto da studenti e insegnanti ma anche da operai e apprendisti, si diresse verso il carcere cittadino per assistere alla liberazione dei detenuti politici antifascisti, di cui si vociferava fin dal 25 luglio. Mossi anche da alcuni titoli di giornale - “Escono, escono oggi!” titolava la Gazzetta del Mezzogiorno - intorno alle 13 i manifestanti partirono in corteo. Raggiunta via dell’Arca, sede provinciale del Partito Fascista, trovarono la strada sbarrata da esercito e carabinieri che presidiavano la zona.
Il corteo, totalmente pacifico, che vedeva al suo interno ragazzini e maestri elementari, venne raggiunto da alcuni colpi di armi da fuoco provenienti dalle finestre della federazione fascista. Seguì il fuoco, prima dei militari e poi dei carabinieri presenti. Ma invece che sparare verso le finestre della sede del PNF, i proiettili vennero indirizzati verso i manifestanti.
Si sparò ripetutamente, decine di colpi da varie armi. Rimasero a terra 20 persone, mentre i feriti furono 38. Molti furono colpiti alle spalle mentre fuggivano.
Nei giorni seguenti numerosi manifestanti sopravvissuti e altri antifascisti cittadini vennero cercati ed arrestati. Seguì un’indagine della procura che scagionò i manifestanti da ogni responsabilità, ma non perseguì né i militari né i fascisti per l’accaduto, incolpando dei “tragici eventi” l’incuria di un sergente, Domenico Carbonara, appartenente al battaglione San Marco, che per primo avrebbe sparato verso i manifestanti. Fatto che egli ha negato decisamente per il resto della propria vita.
Anche nel dopoguerra a lungo la strage rimase celata da quegli apparati repressivi dello stato che erano sopravvissuti alla caduta del fascismo, ma che da molti punti di vista erano in continuità storica con il regime. Solo più recentemente, con la soppressione del segreto di Stato, sugli eventi di Bari si è confermata una verità che sul piano storico era già nota. Si trattò di una strage immotivata, perpetrata nel clima di repressione che il governo Badoglio aveva instaurato proprio in quei giorni.