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Giovedì è stata firmata la lettere di intenti con Invimit, per | Alessandra Clemente

Giovedì è stata firmata la lettere di intenti con Invimit, per la creazione di un fondo per la gestione di una parte dei beni pubblici della città che si ritiene possano creare valore per la città.

Il patrimonio immobiliare del comune di Napoli è costituito da circa 65mila unità, di cui la metà assolvono alla funzione di edilizia residenziale pubblica.

Questa parte, secondo quanto pare di capire dalle intenzioni espresse dell’amministrazione, non verrà coinvolta nell’operazione. Rimangono quindi circa 30mila beni comunali che saranno inseriti nel fondo per essere successivamente messi a valore tramite un fitto o definitivamente dismessi.

Tra questi la #GalleriaPrincipe, #PalazzoCavalcanti, lo #StadioMaradona, #VillaMedusa a Bagnoli e tantissimi pezzi di città che non sono dei semplici immobili di pregio ma piuttosto dei monumenti a costituzione dell’identità cittadina.

Sorge spontanea, data la rilevanza dei beni in causa, una domanda di carattere metodologico: come verranno selezionati i beni considerati di pregio per i quali il Comune deciderà di conservare la proprietà e quali invece potranno essere alienati? Come intende procedere il Comune nella selezione di quegli immobili che vengono definiti strategici e quali invece al contrario, per ammissione dello stesso sindaco potranno essere dismessi?
Andranno definiti dei criteri in tal senso?

Suggerisco che assieme al perimetro degli edifici che verranno inseriti nel Fondo possano essere individuate le finalità con le quali questi edifici saranno selezionati, se per essere fittati o venduti. In questo modo si darebbe un grande segnale di trasparenza, si potrebbe aprire un serio dibattito cittadino sulla destinazione che intendiamo ai beni strategici della città, a garanzia di un lavoro serio e realmente condiviso.

È necessario che il Consiglio venga fortemente coinvolto in tal senso.

Non è poi chiaro come si innesterà tutto questo complesso con il piano di dismissione e valorizzazione che il Comune già possiede e con il piano di riequilibrio siglato con la Corte dei conti.

Discorso a parte va fatto per quegli immobili che riteniamo di non voler in alcun modo sottoporre all’ingerenza dei privati. Quegli immobili ai quali riconosciamo un valore sociale, che seppur non creatori di valore strettamente economico restituiscono alla società in termini di assistenza e presenza civica sul territorio.

Sia chiaro: non abbiamo nessun pregiudizio ideologico, ben venga l’appoggio dei privati che devono creare ricchezza per la città e per loro stessi, laddove ci sono le condizioni perché questo avvenga. Verrà venduto ciò che si terrà giusto vendere e dato in uso quello che considereremo vantaggioso dare in uso, ma non tutto nasce per creare guadagno economico.

L’esperienza dei beni comuni ce lo ha insegnato: esistono realtà che riescono a restituire alla città molto di più che un canone di fitto, tramite il lavoro fatto con le persone e per i territori.

Soprattutto in questa città, dove il lavoro sociale fatto tramite i beni pubblici può significare salvare un ragazzo dalla delinquenza e dove la gratuità di un servizio che non è soggetto a logiche di profitto, perché erogato a costo zero, è per molte persone l’unico modo per poterne usufruire.

Non dimentichiamo quale è il ruolo del pubblico: è indispensabile la sostenibilità economica ma che vada di pari passo con la garanzia dei diritti al cittadino.

#fareNapoli #consigliocomunale #costruiAmoilfuturo #pateimonio #benicomuni